In tema di contratti bancari, la clausola contenuta nei contratti di apertura di credito in conto corrente, che preveda l’applicazione di un determinato tasso sugli interessi dovuti dal cliente e con fluttuazione tendenzialmente aperta, da correggere con sua automatica riduzione in caso di superamento del c.d. tasso soglia usurario, ma solo mediante l’astratta affermazione del diritto alla restituzione del supero in capo al correntista, è nulla ex art. 1344 c.c., perché tesa ad eludere il divieto di pattuire interessi usurari, previsto per il contratto di mutuo dall’art. 1815, comma 2 c.c.
Cass. civ. Sez. I, Sent., 22-06-2016, n. 12965
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPPI Aniello – Presidente –
Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –
Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Intesa San Paolo s.p.a., in persona del proc.spec., come da procura Notaio E.Morone di Torino, rappr. e dif. dagli avv. Alfredo Bianchini, Giovanni Coli, Gabriele Pafundi, elett. dom. presso lo studio del terzo in Roma, viale Giulio Cesare n.14, come da procura a margine dell’atto e poi atto di costituzione, per la incorporazione di Cassa di Risparmio di Venezia s.p.a.;
– ricorrente –
contro
Fallimento Sirio di S.C. & C. s.a.s. e S.C., in persona del curatore, rappr. e dif. dall’avv. Giovan Candido di Gioia, elett dom. presso il suo studio in Roma, piazza Mazzini n. 27, come da procura in calce all’atto;
– controricorrente –
per la cassazione del decreto Trib. Venezia 15.7.2010, n. 4937/2008 RG;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 31 maggio 2016 dal Consigliere relatore Dott. Massimo Ferro;
uditi gli avvocati G.Pafundi per il ricorrente e B.Rosati per il controricorrente;
udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale Dott. SALVATO Luigi che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Intesa San Paolo s.p.a., già incorporante l’originaria ricorrente Cassa di Risparmio di Venezia s.p.a., impugna il decreto Trib.
Venezia 15.7.2010 R.G. 4937/2008, con cui venne respinto il proprio reclamo avverso il decreto del giudice delegato del fallimento Sirio di S.C. & C. s.a.s. e S.C. che aveva negato l’ammissione al passivo del credito dell’istante, vantato quanto ad Euro 33.533,40 a saldo di conto corrente negativo e dunque a debito della società e del socio, nonchè Euro 35.224, quale saldo passivo di altro conto corrente garantito da fidejussione del debitore fallito.
Ritenne il tribunale che fondatamente il decreto di esecutività dello stato passivo aveva respinto le domande, per la mancata produzione dei documenti idonei a dimostrare che il saldo dei due conti si era determinato con il computo di oneri finanziari conformi ai limiti di cui alla L. n. 108 del 1996, posto che, in antecedenza, il fallito ne aveva contestato la superiorità rispetto alle soglie d’usura. Parimenti veniva dichiarata inammissibile la domanda riconvenzionale della curatela, estranea al perimetro delle domande proponibili ex art. 99 l.f., pur apprezzandosene la difesa come idonea a suffragare il giudizio di superamento e violazione dei parametri di cui alla cit. L. n. 108 del 1996, artt. 1 e 2, avendo i saldi dei due conti oltrepassato, prima del loro congelamento dovuto a revoca degli affidamenti, i tassi soglia. In particolare rilevò il tribunale che anche la commissione di massimo scoperto (CMS), pur se non priva di causa, dovesse essere inclusa tra gli elementi da conteggiare tra le “remunerazioni” in decisivo collegamento con l’erogazione del credito, così entrando nella commisurazione del tasso usurario, quale costo sostenuto dal finanziato, finendo con il coincidere il tasso d’interesse, ai fini della normativa applicata, con il costo del denaro.
Dalla conseguente CTU espletata il tribunale ravvisò che il superamento del tasso soglia, totale per un conto e parziale per l’altro, già da parte del TAEG, implicava che gli importi percepiti dalla banca erano superiori al credito insinuato, dunque da non ammettere al passivo, stante la violazione dell’art. 1815 c.c., comma 2 sin dall’origine del rapporto e l’inapplicabilità di un diverso principio di conservazione parziale del medesimo, tra l’altro mai praticato in costanza di relazione contrattuale.
Il ricorso è affidato a tre motivi, cui resiste con controricorso il fallimento. La banca ha depositato memoria.
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione di legge, quanto agli artt. 1372, 1322, 1418, 1343 e 2033 c.c., oltre che il vizio di motivazione, laddove il decreto, non riconoscendo l’operatività della clausola contrattuale che riconduceva le condizioni economiche del rapporto ai limiti interni ai tassi soglia al momento della chiusura del medesimo, ne ha negato la portata conservativa pur se voluta dalle parti, errando anche ove è stata valorizzata la dazione dei supposti maggiori interessi come motivo di nullità della clausola.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione di legge, quanto all’art. 1815 c.c., art. 14 preleggi, art. 1418 c.c., oltre che il vizio di motivazione, avendo errato il tribunale estendendo la norma di azzeramento degli interessi anche a contratti diversi dal mutuo, secondo un’interpretazione censurabile della eccezionalità della norma.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione di legge, quanto all’art. 644 c.p., L. n. 108 del 1996, artt. 1 e 2, oltre che il vizio di motivazione, avendo errato il tribunale includendo la CMS in un coacervo di elementi non considerati nel diverso metodo di calcolo fornito dalla Banca d’Italia, che imponeva il raffronto tra elementi di volta in volta omogenei.
1. Rileva preliminarmente il Collegio, condividendo l’eccezione del P.G., che va dichiarata la nullità dell’atto di costituzione di Intesa Sanpaolo s.p.a., già incorporante l’originaria ricorrente Cassa di Risparmio di Venezia s.p.a., posto che, essendo stato iniziato il giudizio di primo grado anteriormente al 4 luglio 2009 (data di entrata in vigore della L. n. 69 del 2009), non trova applicazione l’art. 83 c.p.c., nel nuovo testo in allora modificato, vigendo pertanto il principio per cui nel giudizio di cassazione, la procura speciale può essere rilasciata a margine o in calce solo del ricorso o del controricorso trattandosi degli unici atti indicati, con riferimento al giudizio di legittimità, dall’art. 83 c.p.c., comma 3, sicchè, ove non sia rilasciata in occasione di tali atti, il conferimento deve avvenire, ai sensi del secondo comma del citato articolo, con atto pubblico o con scrittura privata autenticata che facciano riferimento agli elementi essenziali del giudizio, quali l’indicazione delle parti e della sentenza impugnata, senza che ad una diversa conclusione possa pervenirsi nel caso in cui sopraggiunga la sostituzione del difensore (Cass. 13329/2015).
2. I primi due motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati. I giudici di merito hanno dato atto che il superamento del tasso soglia è costantemente avvenuto in corso di rapporto, apparendo – ai fini qui di interesse – sufficiente la conferma della circostanza per via della modalità di insinuazione al passivo, ciononostante avanzata dalla banca, che ha chiesto anche al giudice concorsuale importi conteggiati con quella metodologia vietata. Nè la questione, afferente a debiti da apertura di credito, attiene a rapporti completamente esauriti prima dell’entrata in vigore della L. 7 marzo 1996, n. 108 e dunque regolati secondo la disciplina della successione delle leggi nel tempo ovvero incisi dalla legge di interpretazione autentica 28 febbraio 2001, n. 24. Non può invece instaurarsi alcuna differenza tipologica fra un contratto che preveda o anche solo consenta il superamento del tasso usurario ed un altro che, in astratto, ne ipotizzi la riconduzione al limite legale, ma già in concreto ometta di restituire una sua costante sensitività al predetto principio: appare così del tutto errata la pretesa controprova invocata dalla banca, rispetto alla diversità di fattispecie regolata da Cass. 21080/2010, come se davvero lo spostamento sul diritto di restituzione, e il conseguente rinvio alla legittimazione attiva in capo al correntista, potessero far mutare di segno al contratto, da interpretare invece, come correttamente avvenuto, alla luce del complesso delle previsioni testuali e della condotta delle parti, anche successiva alla stipulazione e risultato, per tali ragioni, diretto ad eludere una norma imperativa, dunque nullo perchè comunque in frode alla legge ai sensi dell’art. 1344 c.c.. E’ principio costante, infatti, che il giudice deve collegare e confrontare fra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato, tenendo altresì conto del comportamento, anche posteriore ed esecutivo, delle parti (Cass. 19779/2014), che nella fattispecie non hanno evidenziato alcuna restrittiva conservazione del contratto alle sole clausole di presunta conformità alla disciplina normativa, e ciò soprattutto in una materia in cui l’apprezzamento giudiziale è condizionato da regole di officiosità, come ribadito anche di recente ove questa Corte ha confermato che la nullità delle clausole che prevedono un tasso d’interesse usurario è rilevabile anche di ufficio, non integrando gli estremi di un’eccezione in senso stretto, bensì una mera difesa, che può essere proposta anche in appello, nonchè formulata in comparsa conclusionale, sempre che sia fondata su elementi già acquisiti al giudizio (Cass. 350/2013) ovvero appartenere ad una domanda di nullità parziale (Cass. 2910/2016), rilevabile d’ufficio anche per l’esorbitanza dai limiti legali della commissione di massimo scoperto (Cass. 10516/2010).
Può dunque enunciarsi il principio per cui la clausola contenuta nei contratti di apertura di credito in conto corrente, che preveda l’applicazione di un determinato tasso sugli interessi dovuti dal cliente e con fluttuazione tendenzialmente aperta, da correggere con sua automatica riduzione in caso di superamento del cd. tasso soglia usurario, ma solo mediante l’astratta affermazione del diritto alla restituzione del supero in capo al correntista, è nulla ex art. 1344 c.c., perchè tesa ad eludere il divieto di pattuire interessi usurari, previsto dall’art. 1815 c.c., comma 2, per il mutuo, regola applicabile per tutti i contratti che prevedono la messa a disposizione di denaro dietro una remunerazione.
3. Nè la ricostruzione in fatto, operata con adeguata istruttoria, trova ammissibile censura in questa sede, quanto alla qualificazione del contratto, osteggiata più da vicino con il secondo motivo, ma in realtà irrilevante ove sia invocata una distinzione tra apertura di credito (la fonte del debito nella vicenda di causa) e mutuo (alla cui riconduzione entro i tassi soglia avrebbero provveduto le norme qui in discussione): già Cass. 15621/2007 ebbe infatti a sancire che “è, anzitutto, privo di giuridico fondamento il rilievo che la L. 28 febbraio 2001, n. 24 di interpretazione autentica della L. 7 marzo 1996, n. 108, si applichi solo ai contratti di mutuo (e non quindi a quelli di conto corrente). Di vero, la norma prescinde dalla qualificazione del rapporto in cui siano convenuti interessi usurari e il generale richiamo all’art. 644 c.p. ne estende il campo di applicazione a tutte le fattispecie negoziali in concreto penalmente sanzionabili” (ribadita sul punto da Cass. 27009/2008, 9532/2010, 11632/2010, 6550/2013 laddove, occupandosi della disciplina intertemporale, non hanno più revocato in dubbio la citata latitudine espansiva oltre i mutui in senso stretto ed attinente ai finanziamenti bancari con restituzione della sovvenzione). La pattuizione di interessi usurari non è, infatti, eventualità che si verifica nei soli contratti di mutuo, bensì in qualsivoglia contratto avente funzione creditizia al quale può essere associata la corresponsione di interessi, compresa dunque l’apertura di credito in conto corrente.
4. A conclusioni diverse, avendo riguardo al terzo motivo, che è fondato, può giungersi quanto alla contemplazione diretta nel calcolo del tasso usurario altresì della commissione del massimo scoperto, secondo la disciplina ratione temporis intesa e per come avvenuto nella vicenda, cioè secondo la metodologia di conteggio ivi praticata (il punto oggetto di censura in questa sede): è vero che la sua valenza di fattore di costo di restituzione del finanziamento attiene a questione di fatto, per la quale tuttavia il decreto lagunare ha presupposto che, alla stregua del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 2bis, conv. nella L. 28 gennaio 2009, n. 2, la previsione espressa d’inclusione ivi fissata operasse in una norma di carattere non innovativo, dunque piuttosto d’interpretazione autentica. Tale premessa decisiva non è condivisibile.
5. La commissione di massimo scoperto (CMS) venne introdotta nei contratti bancari a partire dalle norme bancarie uniformi (NBU) adottate dal 1 gennaio 1952, pur osservandosi, in fatto, che di essa sia mancata una definizione legislativa, come pure un’univoca prassi applicativa. Anche in dottrina tradizionalmente la commissione di massimo scoperto era definita come il corrispettivo dell’obbligazione assunta dalla banca di tenere a disposizione del cliente una determinata somma di denaro per un periodo di tempo (determinato o indeterminato), indipendentemente dal suo effettivo utilizzo, mentre nella pratica se ne registravano almeno due forme: a) una commissione di mancato utilizzo (CMU) rilevata e percepita in principio trimestralmente, consistente in una somma espressione di una percentuale calcolata sull’accordato (la disponibilità concessa al cliente) al netto dell’utilizzato, ove la commissione ha funzione di compensare la disponibilità del denaro che la banca si impegna a mantenere in favore del cliente, e quindi i costi industriali e finanziari di essa, non confondibile con gli interessi, perchè prescinde dall’effettivo utilizzo della liquidità, dandosi un autonomo valore alla messa a disposizione della somma non utilizzata;
b) una commissione di massimo scoperto (CMS), più frequente, rilevata e percepita negli stessi termini trimestrali, sull’ammontare massimo dell’utilizzo nel periodo, quando esso sia durato un minimo di tempo, per cui la commissione è calcolata sul picco più elevato della somma prelevata dal cliente in certo arco temporale, con la funzione di remunerare la banca non tanto per disponibilità concessa al cliente (accordato), quanto piuttosto per quella dallo stesso effettivamente utilizzata. Nel tempo, tuttavia, è stato parimenti rilevato che, perdurante l’assenza di una definizione legale univoca, la prassi bancaria si è allontanata dallo schema originario, applicando la commissione di massimo scoperto al cd. massimo scoperto del periodo, nonchè ai cd. fidi di fatto (scoperti e sconfinamenti di conti correnti, anche senza formale apertura di credito). Così strutturata, la commissione di massimo scoperto è venuta, di fatto, a rappresentare per il cliente un costo ulteriore rispetto agli interessi pattuiti, assimilabile a questi sotto il profilo economico, essendo calcolata sulla medesima somma (il cd. utilizzato).
In dottrina, alla ricerca di una causa giustificatrice di tale voce di costo, si è ritenuto che tale commissione, alternativamente, andasse a remunerare il maggior rischio della banca di recupero del credito derivante dall’incremento dell’esposizione debitoria del cliente nel periodo o il costo sostenuto dalla banca per far fronte a richieste di denaro improvvise e ulteriori rispetto alla media di utilizzazione del finanziamento.
6. Con l’evoluzione del contenzioso tra correntisti e banche, a seguito dell’arresto di Cass. 2374/1999 sul divieto dell’anatocismo bancario (conf. Cass. 12507/1999, 15706/2001, 1281/2002, 6263/2001, 8442/2002, 4498/2002, 11772/2002), la giurisprudenza è stata così chiamata a pronunciarsi in controversie che avevano per oggetto la stessa debenza di tale commissione e la domanda di ripetizione degli importi versati a tale titolo. Ripercorse natura della CMS (remunerazione dovuta dalla banca per aver immobilizzato e tenuto a disposizione del cliente una determinata somma; corrispettivo per il rischio crescente assunto dalla banca in proporzione all’utilizzo dei fondi concessi in fido; onere accessorio da assimilare agli interessi passivi) e questioni di sua dubitata validità nelle varie tesi (nullità per mancanza di causa, perchè calcolata con una modalità del tutto coincidente con quella propria degli interessi, comportando un ulteriore aumento del costo effettivo del credito; assenza di causa se calcolata su importi entro il limite del fido oppure in relazione a conto corrente chiuso, dunque mancante, ovvero esaurito, l’impegno della banca a garantire la disponibilità del credito;
nullità ex art. 1346 c.c. per il caso di rinvio ai cd. usi su piazza, in tema di contrattualistica precedente alla L. n. 154 del 1992 – la quale ebbe a sancire che i contratti, redatti in forma scritta, dovessero indicare il tasso di interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati e che le clausole contrattuali di rinvio agli usi fossero nulle), con riferimento ai contratti stipulati successivamente all’entrata in vigore della normativa in materia di trasparenza bancaria, è stata sostenuta la nullità della CMS per indeterminatezza dell’oggetto, allorquando nel contratto non ne siano indicati sia il tasso sia le modalità di calcolo sia la periodicità, mentre per altre tesi non era sufficiente l’indicazione della CMS e dei suoi criteri di applicazione nei documenti informativi previsti dalla disciplina di trasparenza, divenendo conseguentemente nulla, ex art. 1346 c.c. e D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 117, comma 4 -Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (TUB), la pattuizione della commissione di massimo scoperto, pure indicata nel foglio allegato al contratto, nel caso di assenza dell’indicazione di tale onere nelle condizioni generali di contratto.
Chiamata a pronunciarsi, per la prima volta, sulla natura della CMS, la Corte di Cassazione ebbe a sostenere argomentativamente che “o tale commissione è un accessorio che si aggiunge agli interessi passivi – come potrebbe inferirsi anche dall’esser conteggiata, nella prassi bancaria, in una misura percentuale dell’esposizione debitoria massima raggiunta, e quindi sulle somme effettivamente utilizzate, nel periodo considerato, che solitamente è trimestrale, e dalla pattuizione della sua capitalizzazione trimestrale – o ha una funzione remunerativa dell’obbligo della banca di tenere a disposizione dell’accreditato una determinata somma per un determinato periodo di tempo, indipendente dal suo utilizzo, come sembra preferibile ritenere anche alla luce della circolare della Banca d’Italia dell’1 ottobre 1996 e delle successive rilevazioni del c.d. tasso-soglia, in cui è stato puntualizzato che la commissione di massimo scoperto non deve essere computata ai fini della rilevazione dell’interesse globale di cui alla L. n. 108 del 1996 ed allora dovrebbe essere conteggiata alla chiusura definitiva del conto” (Cass. 11722/2002), con la conclusione per cui, quale che sia la soluzione preferibile secondo la Corte “non è comunque dovuta la capitalizzazione trimestrale perchè, se la natura della commissione di massimo scoperto è assimilabile a quella degli interessi passivi, le clausole anatocistiche, pattuite nel regime anteriore all’entrata in vigore della L. n. 154 del 1992, sono nulle secondo la più recente giurisprudenza di legittimità; se invece è un corrispettivo autonomo dagli interessi, non è ad esso estensibile la disciplina dell’anatocismo, prevista dall’art. 1283 c.c. espressamente per gli interessi scaduti”. A tale osservazione si è poi conformata questa Corte in modo più diretto, ove chiamata a pronunciarsi proprio sulla validità della clausola in esame: la CMS sarebbe così la “remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione dei fondi a favore del correntista indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma, sancendone, sia pure ed ancora in un passaggio collaterale, la non illegittimità (Cass. 870/2006). In un successivo recente arresto, peraltro, la Cassazione ha ritenuto che “la natura e la funzione della commissione non si discosta da quella degli interessi anatocistici, essendo entrambi destinati a remunerare la banca dei finanziamenti erogati” (Cass. 4518/2014).
7. La Banca d’Italia, poi, nelle Istruzioni per la rilevazione del TEGM ai sensi della legge sull’usura, ha affermato che la commissione di massimo scoperto non entra nel calcolo del TEGM, così ritenendola non già un costo diretto per l’erogazione del credito, bensì un corrispettivo per una prestazione diversa, sia pure collegata alla prima: nelle Istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura (aggiornamento al febbraio 2006), adottate prima dell’entrata in vigore della legge n. 2 del 2009, venne scritto che “La commissione di massimo scoperto non entra nel calcolo del TEG. Essa viene rilevata separatamente, espressa in termini percentuali. Tale commissione nella tecnica bancaria viene definita come il corrispettivo pagato dal cliente per compensare l’intermediario dell’onere di dover essere sempre in grado di fronteggiare una rapida espansione nell’utilizzo dello scoperto del conto. Tale compenso – che di norma viene applicato allorchè il saldo del cliente risulti a debito per oltre un determinato numero di giorni – viene calcolato in misura percentuale sullo scoperto massimo verificatosi nel periodo di riferimento.”(C5).
Nonostante le pronunce favorevoli alla sua legittimità, l’istituto della commissione di massimo scoperto, divenuto nel frattempo oggetto di critiche da parte delle istituzioni di vigilanza, soprattutto sotto il profilo della scarsa trasparenza della sua determinazione ed applicazione, entrò in un ulteriore contesto di regolazione, con l’emanazione del D.L. 28 novembre 2008, n. 185-Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale, convertito, con modificazioni dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2, che, con l’art. 2- bis (inserito in sede di conversione), fissò (tra le altre novità in materia di contratti bancari) nel comma 1 – norma successivamente abrogata – che “Sono nulle le clausole contrattuali aventi ad oggetto la commissione di massimo scoperto se il saldo del cliente risulti a debito per un periodo continuativo inferiore a trenta giorni ovvero a fronte di utilizzi in assenza di fido. Sono altresì nulle le clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione di fondi a favore del cliente titolare di conto corrente indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma, ovvero che prevedono una remunerazione accordata alla banca indipendentemente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente, salvo che il corrispettivo per il servizio di messa a disposizione delle somme sia predeterminato, unitamente al tasso debitore per le somme effettivamente utilizzate, con patto scritto non rinnovabile tacitamente, in misura onnicomprensiva e proporzionale all’importo e alla durata dell’affidamento richiesto dal cliente e sia specificatamente evidenziato e rendicontato al cliente con cadenza massima annuale con l’indicazione dell’effettivo utilizzo avvenuto nello stesso periodo, fatta salva comunque la facoltà di recesso del cliente in ogni momento.
Il comma 2 della disposizione in esame, invece, continua a stabilire che “Gli interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono comunque rilevanti ai fini dell’applicazione dell’art. 1815 c.c., dell’art. 644 c.p. e della L. 7 marzo 1996, n. 108, artt. 2 e 3. Il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Banca d’Italia, emana disposizioni transitorie in relazione all’applicazione della L. 7 marzo 1996, n. 108, art. 2, per stabilire che il limite previsto dall’art. 644 c.p., comma 3, oltre il quale gli interessi sono usurari, resta regolato dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto fino a che la rilevazione del tasso effettivo globale medio non verrà effettuata tenendo conto delle nuove disposizioni. Il D.L. 1 luglio 2009, n. 78, art. 2, comma 2, convertito, con modificazioni, dalla L. 3 agosto 2009, n. 102, aveva successivamente introdotto un limite percentuale al corrispettivo omnicomprensivo, affinchè questo potesse essere ritenuto valido:
“L’ammontare del corrispettivo omnicomprensivo di cui al periodo precedente non può comunque superare lo 0,5 per cento, per trimestre, dell’importo dell’affidamento, a pena di nullità del patto di remunerazione. Il Ministro dell’economia e delle finanze assicura, con propri provvedimenti, la vigilanza sull’osservanza delle prescrizioni del presente articolo.”.
Con l’intervento del legislatore del 2009 si è dunque stabilito che:
1) è legittima la commissione di massimo scoperto, sub specie sia di commissione di massimo scoperto, sia di commissione di messa a disposizione dei fondi; 2) vanno introdotte alcune limitazioni a tutela della clientela per entrambe le ipotesi (sussistenza di un saldo a debito – su un conto affidato – per un periodo continuativo pari o superiore a trenta giorni); 3) sono nulle le (sole) clausole contrattuali stipulate in violazione delle suddette limitazioni; 4) la CMS (letteralmente delle “commissioni comunque denominate che prevedono una remunerazione per la banca dipendente dell’effettiva durata di utilizzazione dei fondi da parte del cliente”) è rilevante, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, ai fini dell’applicazione tanto dell’art. 1815 cod. civ. che dell’art. 644 cod. pen. Può pertanto dirsi che la norma, pure omettendo ogni definizione più puntuale della CMS, abbia effettuato una ricognizione dell’esistente con l’effetto sostanziale di sancire definitivamente la legittimità di siffatto onere e, per tale via, di sottrarla alle censure di legittimità sotto il profilo della mancanza di causa.
Successivamente, il D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 6-bis – Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici, convertito con modificazioni, dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214, (inserito in sede di conversione), ha introdotto nel TUB l’art. 117-bis rubricato “Remunerazione degli affidamenti e degli sconfinamenti” e, poi, a distanza ravvicinata, prima il D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 27, comma 4 -Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, convertito con modificazioni dalla L. 24 marzo 2012, n. 27, ha abrogato il primo e il D.L. n. 185 del 2009, art. 2-bis, comma 3 e a seguire il D.L. 24 marzo 2012, n. 29, art. 1, comma 1 – Disposizioni urgenti recanti integrazioni al D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 marzo 2012, n. 27, e al D.L. 1 settembre 1993, n. 385, nonchè modifiche alla L. 31 luglio 1997, n. 249, convertito, con modificazioni, in L. 18 maggio 2012, n. 62, ha novellato il ridetto art. 117-bis TUB. Infine, in attuazione di quanto disposto dall’art. 117-bis, comma 4, TUB, è stato approvato il D.M. 30 giugno 2012, n. 644-Disciplina della remunerazione degli affidamenti e degli sconfinamenti in attuazione dell’art. 117-bis del Testo unico bancario, entrato in vigore il successivo 1 luglio 2012.
8. Nella formulazione dell’art. 117-bis, attualmente vigente – nel testo a decorrere dal 22 maggio 2012 – al primo comma vengono tipizzate le commissioni di affidamento (CA) per l’apertura di credito in conto corrente, al comma 2 sono disciplinate le commissioni applicabili in caso di sconfinamento; il comma 3 prevede la nullità delle clausole che prevedono oneri diversi e non conformi a quelli indicati nei primi due. Il quarto comma, infine, attribuisce al CICR la competenza ad adottare disposizioni, anche di trasparenza, applicative dell’articolo e ad estendere il raggio di azione della norma a contratti ulteriori rispetto ad aperture di credito e conti correnti “per i quali si pongano analoghe esigenze di tutela del cliente”. Conseguentemente, nel vigore della nuova disciplina, i contratti di apertura di credito possono prevedere, quali unici “oneri per il cliente, da un lato, una commissione “omnicomprensività” (ma inferiore allo 0,5 per cento per trimestre), “calcolata in maniera proporzionale rispetto alla somma a disposizione del cliente e alla durata dell’affidamento”, dall’altro, un tasso di interesse debitore sulle somme utilizzate. Secondo quanto previsto dal D.M. 30 giugno 2012, n. 644, art. 3, comma 2, lett. ii), (del CICR) la commissione di affidamento si applica “sull’intera somma messa a disposizione del cliente in base al contratto”, e per il periodo in cui la stessa somma è messa a disposizione del cliente.
Ne discende che non sono più consentite commissioni che, al di là del nomen loro attribuito, non siano calcolate in maniera proporzionale rispetto alla somma messa a disposizione del cliente e alla durata dell’affidamento. Parimenti nemmeno sono prevedibili oneri ulteriori rispetto alla nuova commissione di affidamento, nè per la messa a disposizione di fondi, nè per il loro utilizzo, tra cui la commissione per l’istruttoria, nonchè ogni altro corrispettivo per attività che sono a esclusivo servizio dell’affidamento (D.M. n. 644 del 2012, art. 3, comma 2, lett. i)).
Per quanto riguarda invece gli sconfinamenti, è stabilito che gli unici oneri prevedibili a carico del cliente sono una commissione di istruttoria veloce (CIV) e il tasso d’interesse debitore (art. 4, comma 1, lett. a) e lett. b), D.M. CICR n. 644 del 2012). La CIV è applicabile sia a fronte di addebiti che determinano uno sconfinamento, sia a fronte di addebiti che accrescono l’ammontare di uno sconfinamento esistente (se determinano la necessità di una nuova istruttoria), sempre che vi sia uno sconfinamento sul saldo disponibile di fine giornata. E’ altresì stabilito che la commissione di istruttoria veloce sia determinata nel contratto in misura fissa, espressa in valore assoluto (id est non in percentuale), commisurata ai costi; costi che possono considerarsi il limite intrinseco, se non la misura, dell’importo richiedibile a tale titolo (D.M. n. 644 del 2012, art. 4, comma 2). Devono essere resi noti alla clientela i casi di applicazione della commissione, quali stabiliti dall’intermediario nell’ambito delle procedure appositamente formalizzate. Ne consegue che, quanto a determinatezza della clausola e trasparenza, nel contratto dovrà essere indicata la commissione di istruttoria veloce, e non anche necessariamente i casi in cui questa si applica, che ben potranno essere resi noti alla clientela nella documentazione di trasparenza precontrattuale. La disciplina così richiamata è dichiarata applicabile ai contratti di apertura di credito e di conto corrente in corso alla data del 1 luglio 2012; contratti che conseguentemente devono essere adeguati, ai sensi dell’art. 118 T.U.B, entro il i ottobre 2012 con l’introduzione di clausole conformi alle disposizioni dell’art. 117- bis t.u.b. (D.M. n. 644 del 2012, art. 5, comma 4).
9. La rilevanza della commissione di massimo scoperto ai fini dell’accertamento dell’usurarietà del tasso di interesse, ai fini del calcolo del tasso-soglia, è questione oggi residualmente problematica in quanto, mentre i decreti ministeriali di rilevazione dei tassi d’interesse – fino al secondo semestre del 2009 – escludevano la CMS dal calcolo del TEGM, recependo sul punto in modo diretto le istruzioni della Banca d’Italia, l’attuale art. 644 c.p., comma 4, con una formulazione più ampia, ove afferma che “per k determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito”, può lasciare intendere che qualsiasi costo derivante dalla concessione di credito debba essere preso in considerazione ai fini della determinazione del tasso usurario. Ed invero, il comma 2 del D.L. n. 185 del 2008, art. 2-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 2 del 2009, ancora vigente dopo le plurime novelle intervenute sulla disciplina della CMS tra il 2011 e il 2012, prevede espressamente l’inserimento della commissione di massimo scoperto nel plafond per il calcolo del costo del finanziamento, rilevante ai fini della determinazione del tasso usurario. Parimenti le nuove Istruzioni della Banca d’Italia per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi oggi indicano tra gli oneri inclusi nel calcolo del TEGM, oltre agli oneri per la messa a disposizione dei fondi, nel caso di passaggio a debito di conti non affidati o negli sconfinamenti sui conti correnti affidati rispetto al fido accordato, “la commissione di massimo scoperto laddove applicabile secondo le disposizioni di legge vigente”. Ciò permette di ritenere superati i dubbi iniziali, derivanti dalla formulazione letterale della disposizione, in ordine alla necessaria inclusione della nuova commissione di affidamento nel calcolo del TEGM. 10. Tuttavia la nuova disciplina in tema di CMS introdotta dalla L. n. 2 del 2009 non contiene un chiaro regime di diritto intertemporale rivolto al periodo precedente alla sua entrata in vigore. L’ultima parte del D.L. n. 185 del 2008, art. 2-bis, comma 2, invero, prevede che il limite oltre il quale gli interessi sono usurari, resta regolato dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della legge di conversione “fino a che la rilevazione del tasso effettivo globale non verrà effettuata tenendo conto delle nuove disposizione”. Il comma 3 della norma in esame, aggiungeva l’obbligo di adeguamento dei contratti in corso: “I contratti in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto sono adeguati alle disposizioni del presente articolo entro centocinquanta giorni dalla medesima data. Tale obbligo di adeguamento costituisce giustificato motivo agli effetti dell’art. 118, comma 1, del testo unico delle leggi in materia bancaria e credititia, di cui al D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, e successive modificazione”. La norma risulta formalmente abrogata dal D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 27, comma 4, convertito con modificazioni, dalla L. 24 marzo 2012, n. 27. Peraltro la medesima disposizione abrogata è poi riprodotta dal comma 3 del ridetto art. 27 (“I contratti di apertura di credito e di conto corrente in corso sono adeguati entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della delibera CICR di cui al comma 2, con l’introduzione di clausole conformi alle disposizioni di cui al D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 117-bis, ai sensi dell’art. 118 del medesimo decreto legislativo.”).
La questione, rilevante nella fattispecie e da esaminare oltre gli stessi limiti della prospettazione critica esposti dal ricorrente, stante la ricordata officiosità della materia, è quindi se la “storica CMS”, per come visto applicata dagli istituti di credito prima dell’entrata in vigore della L. n. 2 del 2009, debba essere presa in esame quale base di calcolo del tasso usurario per i rapporti in corso fino al termine del periodo transitorio, fissato – per effetto delle Istruzioni diramate dalla Banca d’Italia – al 31 dicembre 2009.
La Banca d’Italia, nelle sue prime istruzioni emanate dopo l’entrata in vigore della L. n. 2 del 2009 escluse dal calcolo del TEGM le CMS: “Fino al 31 dicembre 2009, al fine di verificare il rispetto del limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari ai sensi della L. 7 marzo 1996, n. 108, art. 2, comma 4, gli intermediari devono attenersi ai criteri indicati nelle Istruzioni della Banca d’Italia e dell’UIC pubblicate rispettivamente nella G. U. n. 74 del 29 marzo 2006 e n. 102 del 4 maggio 2006. Nel periodo transitorio restano pertanto esclusi dal calcolo del TEG per la verifica del limite di cui al punto precedente (ma vanno inclusi nel TEG per l’invio delle segnalazione. alla Banca d’Italia): a) la CMS e gli oneri applicati in sostituzione della stessa, come previsto dalla L. n. 2 del 2009”. Del resto, e come detto, le anteriori Istruzioni emanate dalla Banca d’Italia prevedevano espressamente che: “La commissione di massimo scoperto non entra nel calcolo del TEG.”.
Sul punto, le sezioni penali della Corte di cassazione si sono pronunciate: per Cass. pen., sez. 2, 12 febbraio 2010, n. 12028 “il chiaro tenore letterale dell’art. 644 c.p., comma 4 (secondo il quale per la determinazione del tasso di Interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per Imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito) impone di considerare rilevanti, ai fini della determinazione della fattispecie di usura, tutti gli oneri che un utente sopporti in connessione con il suo uso del credito. Tra essi rientra indubbiamente la Commissione di massimo scoperto, trattandosi di un costo indiscutibilmente collegato all’erogazione del credito, giacchè ricorre tutte le volte in cui il cliente utilizza concretamente lo scoperto di conto corrente, e funge da corrispettivo per l’onere, a cui l’intermediatario finanziario si sottopone, di procurarsi la necessaria provvista di liquidità e tenerla a disposizione del cliente” (conformi Cass. pen., sez. 2, 14 maggio 2010, n. 28743 e Cass. pen., sez. 2, 23 novembre 2011, n. 46669). In tali arresti, la tesi inclusiva (anche per il passato) risulterebbe avvalorata proprio dalla normativa successivamente intervenuta in materia di contratti bancari e, in particolare, dal D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 2-bis, convertito con modificazioni, dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2. Ed invero, vi si legge, “La disposizione in parola, per quel che interessa in questa sede, può essere considerata norma di interpretazione autentica dell’art. 644 c.p., comma 4, in quanto puntualizza cosa rientra nel calcolo degli oneri ivi indicati, correggendo una prassi amministrativa difforme.”.
11. Al di là della revisione critica cui la dottrina ha sottoposto le riportate pronunce, osserva il Collegio che non è affatto pacifico che la L. n. 2 del 2009 integri gli estremi di una norma di mera interpretazione autentica dell’art. 644 cod. pen., conclusione cui potrebbe invero giungersi solo ove si ritenesse che la medesima legge abbia voluto operare direttamente sulla norma del codice, chiarendo il significato da attribuire ai concetti di “commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e spese” indicati al comma quarto del cit. art. 644 c.p.. Ma tale circostanza non è univocamente traibile dal testo della norma del 2009. Mentre è chiaro che se si accede all’opzione della natura meramente interpretativa della L. n. 2 del 2009, allorchè essa si limita a scegliere fra le diverse letture delle nozioni ivi indicate, cioè fra l’esclusione o l’inclusione della CMS dal computo del TEGM, non sorgerebbero molti dubbi circa la necessità di inserire nel calcolo del TEG praticato in concreto dalla banca anche le CMS applicate nel corso del rapporto di conto corrente. E tuttavia appare più plausibile una diversa interpretazione, nel senso di una norma che si limita ad incidere non già sull’art. 644 c.p., comma 4 bensì sul comma 3, ovvero su quella “legge che stabilisce il limite oltre il quale i tassi sono sempre usurari”.
D’altronde, se la novella del 2009 si riferisce alla “legge” che stabilisce i limiti superati i quali i tassi divengono ex se, cioè oggettivamente, usurari, non vi è dubbio che detta normativa integri un vero e proprio mutamento innovativo nella disciplina complessivamente intesa (inclusi ovviamente gli atti di valore regolamentare, fino a quel momento lasciati dal legislatore a regolare la materia) e dunque in tema di CMS, laddove il congegno ricognitivo-determinativo primario, fino all’entrata in vigore della riforma, espressamente escludeva quest’ultima dal calcolo del TEGM;
constatazione che persuade nell’essere di fronte ad una norma non di interpretazione autentica, ma appunto innovativa e come tale – in ogni sede sanzionatoria – non applicabile retroattivamente.
12. Ma prescindendo dai riflessi più propri della sede penale in senso stretto, ed avendo di mira l’effetto caducatorio netto che, per l’interpretazione qui solo ribadita dal Collegio in tema di nullità della convenzione di interessi usurari, si determina all’altezza dell’art. 1815 c.c., comma 2, con l’esclusione conseguente di ogni debito per interessi, il medesimo rigore delimitativo va condotto anche ai fini civilistici, per stabilire la natura innovativa o interpretativa del D.L. n. 185 del 2008, art. 2-bis. Occorre sul punto solo dare conto che la qualificazione di una disposizione di legge come norma di interpretazione autentica – al di là del carattere effettivamente interpretativo della previsione – deve esprimere in modo univoco l’intento del legislatore di imporre un determinato significato a precedenti disposizioni di pari grado, così da far regolare dalla nuova norma fattispecie sorte anteriormente alla sua entrata in vigore, dovendosi escludere, in applicazione del canone ermeneutico che impone all’interprete di attribuire un senso a tutti gli enunciati del precetto legislativo, che la disposizione possa essere intesa come diretta ad imporre una determinata disciplina solo per il futuro (Cass. s.u. 9941/2009).
Nella norma in esame, per contro, nessun dato testuale esprime alcuna precisa volontà del legislatore di fornire una “interpretazione autentica” dell’art. 644 cod. pen. e dell’art. 1815 cod. civ. – come invece il ricordato D.L. 29 dicembre 2000, n. 394, significativamente intitolato “Interpretazione autentica della L. 7 marzo 1996, n. 108” -, nè dunque implicita, nè esplicita, nè diretta, nè indiretta, potendosene predicare piuttosto la natura di disciplina volta più ordinariamente a dettare una restrizione di rigore non più controvertibile per il futuro, senza dissipare a posteriori i dubbi ermeneutici che pur l’avevano preceduta. Si può cioè dire che, dal tenore complessivo dell’art. cit., la decretazione d’urgenza del 2009 ha inteso introdurre un nuovo assetto specifico e più severo per le commissioni di massimo scoperto e per le commissioni di affidamento, che fosse vincolante per le banche e per i clienti soltanto al termine del periodo transitorio, fissato al 31 dicembre 2009.
Per un verso, infatti, il ridetto comma 2 dell’art. 2-bis precisa che le CMS soltanto “dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono comunque rilevanti ai fini dell’applicazione dell’art. 1815 c.c., dell’art. 644 c.p. e della L. 7 marzo 1996, n. 108, artt. 2 e 3”; e per altro verso che resta riservata al Ministro dell’economia e delle finanze l’adozione di “disposizioni transitorie in relazione all’applicazione della L. 7 marzo 1996, n. 108, art. 2, per stabilire che il limite previsto dall’art. 644 c.p., comma 3, oltre il quale gli interessi sono usurari, resta regolato dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto fino a che la rilevazione del tasso effettivo globale medio non verrà effettuata tenendo conto delle nuove disposizioni”. Se d’altronde la norma avesse inteso proporsi secondo una valenza di interpretazione autentica, non sarebbe agevole dotare di apparente ragione la contemporanea fissazione di un dies a quo per attribuire rilevanza alle CMS nel calcolo del TEGM e, soprattutto, la devoluzione all’autorità amministrativa del compito di fissare un periodo transitorio per consentire alle banche di adeguarsi alla normativa preesistente.
Invero, si può sostenere che la circostanza per cui il comma 2 dell’art. 2-bis in esame si riferisca alle sole “commissioni che prevedono una remumerazione dipendente dalla concreta utilizzazione del fondo”, non significa che le cd. commissioni di affidamento (CA), introdotte e tipizzate dal primo comma di detta norma, non vadano computate nel TEGM, ma solamente che per tali commissioni, senz’altro qualificabili come “onera” del rapporto, essendo state introdotte appunto ex novo dalla L. n. 2 del 2009, non sussisteva ragione di prevedere il regime transitorio di cui alla seconda parte del secondo comma.
13. Pari persuasività, rilevante ai fini della decisione cui è chiamato il Collegio, va poi ascritta alla tesi che sostiene la necessità di utilizzare, nella rilevazione dei tassi usurari, dati tra loro effettivamente comparabili. Come osservato in dottrina, la fattispecie della cd. usura oggettiva (presunta), o in astratto, è integrata a seguito del mero superamento del tasso-soglia, che a sua volta viene ricavato mediante l’applicazione di uno spread sul TEGM;
posto che il TEGM viene trimestralmente fissato dal Ministero dell’Economia sulla base delle rilevazioni della Banca d’Italia, a loro volta effettuate sulla scorta delle metodologie indicate nelle più volte richiamate Istruzioni, è ragionevole che debba attendersi simmetria tra la metodologia di calcolo del TEGM e quella di calcolo dello specifico TEG contrattuale. Il giudizio in punto di usurarietà si basa infatti, in tal caso, sul raffronto tra un dato concreto (lo specifico TEG applicato nell’ambito del contratto oggetto di contenzioso) e un dato astratto (il TEGM rilevato con riferimento alla tipologia di appartenenza del contratto in questione), sicchè – se detto raffronto non viene effettuato adoperando la medesima metodologia di calcolo – il dato che se ne ricava non può che essere in principio viziato.
In definitiva, può sostenersi che quand’anche le rilevazioni effettuate dalla Banca d’Italia dovessero considerarsi inficiate da un profilo di illegittimità (per contrarietà alle norme primarie regolanti la materia, secondo le argomentazioni della giurisprudenza penalistica citata), questo non potrebbe in alcun modo tradursi nella possibilità, per l’interprete, di prescindervi, ove sia in gioco – in una unitaria dimensione afflittiva della libertà contrattuale ed economica – l’applicazione delle sanzioni penali e civili, derivanti dalla fattispecie della cd. usura presunta, dovendosi allora ritenere radicalmente inapplicabile la disciplina antiusura per difetto dei tassi soglia rilevati dall’amministrazione.
Ed in effetti, l’utilizzo di metodologie e formule matematiche alternative, non potrebbe che riguardare tanto la verifica del concreto TEG contrattuale, quanto quella del TEGM: il che significa che il giudice – chiamato a verificare il rispetto della soglia anti- usura – non potrebbe limitarsi a raffrontare il TEG ricavabile mediante l’utilizzo di criteri diversi da quelli elaborati dalla Banca d’Italia, con il TEGM rilevato proprio a seguito dell’utilizzo di questi ultimi, ma sarebbe tenuto a procedere ad una nuova rilevazione del TEGM, sulla scorta dei parametri così ritenuti validi, per poi operare il confronto con il TEG del rapporto dedotto in giudizio.
Ciò posto, va dunque precisato che l’apprezzamento nel medesimo contesto di tutti gli elementi determinativi della rimunerazione bancaria, al fine di pervenire, come accaduto, ad una unitaria e complessiva individuazione della incidenza della loro finale entità deve in realtà essere rivisto, essendo il giudice di merito tenuto a considerare l’autonomia della CMS, elemento non coincidente ex se con gli altri conteggiabili, ratione temporis, nella specifica ricostruzione del tasso-soglia usurario. Ogni eccedenza della CMS in concreto praticata rispetto alle entità massime fissate pro tempore dalle Istruzioni della Banca d’Italia non realizza pertanto di per sè un fattore rilevante al fine del superamento del tasso-soglia usurario, trattandosi di elemento diverso – nella fattispecie storica e perciò – non calcolabile nel medesimo coacervo di fattori di costo; pertanto l’eventuale usurarietà del rapporto bancario può conseguire solo da una giustapposizione che, assumendo dal valore percepito di periodo la CMS e riscontratane in ipotesi il superamento di percentuale rispetto a quella massima, vada ad aggiungere tale costo improprio e non dovuto all’interesse propriamente detto, verificando se, per tale via, non sia stato superato in modo indiretto il tasso-soglia per aver questo così oltrepassato lo spread del TEGM, addizionandosi ad un costo che, nella singola vicenda di finanziamento, abbia tuttavia operato non come CMS bensì come remunerazione sostanzialmente coincidente con l’interesse.
Conclusivamente, ed in accoglimento del terzo motivo, va enunciato il principio, cui dovrà attenersi il giudice del rinvio, per cui, ribadito che l’art. 1815 c.c., comma 2, come novellato dalla L. n. 108 del 1996, è norma applicabile a tutti i contratti bancari, compresa l’apertura di credito in conto corrente e che è nulla, per contrarierà a norme imperative, la clausola ivi contenuta che preveda l’applicazione di un tasso sugli interessi con fluttuazione tendenzialmente aperta, da correggere con mera automatica riduzione in caso di superamento della soglia usuraria, cioè solo mediante l’astratta affermazione del diritto alla restituzione del supero in capo al correntista, a sua volta la commissione di massimo scoperto, applicata fino all’entrata in vigore del D.L. n. 185 del 2008, art. 2- bis, deve ritenersi in thesi legittima, almeno fino al termine del periodo transitorio fissato al 31 dicembre 2009, posto che i decreti ministeriali che hanno rilevato il TEGM – dal 1997 al dicembre del 2009 – sulla base delle istruzioni diramate dalla Banca d’Italia, non ne hanno tenuto conto al fine di determinare il tasso soglia usurario, dato atto che ciò è avvenuto solo dal 1 gennaio 2010, nelle rilevazioni trimestrali del TEGM; ne consegue che il D.L. n. 185 del 2008, art. 2-bis, introdotto con la L. di conversione n. 2 del 2009, non è norma di interpretazione autentica dell’art. 644 c.p., comma 3, bensì disposizione con portata innovativa dell’ordinamento, intervenuta a modificare – per il futuro – la complessa disciplina anche regolamentare (richiamata dall’art. 644 c.p., comma 4) tesa a stabilire il limite oltre il quale gli interessi sono presuntivamente sempre usurari, derivandone ai fini qui di interesse – che per i rapporti bancari esauritisi prima del 1 gennaio 2010, allo scopo di valutare il superamento del tasso soglia nel periodo rilevante, non debba tenersi conto delle CMS applicate dalla banca ed invece essendo tenuto il giudice a procedere ad un apprezzamento nel medesimo contesto di elementi omogenei della rimunerazione bancaria, al fine di pervenire alla ricostruzione del tasso-soglia usurario, come sopra specificato.
Il ricorso va pertanto rigettato quanto ai primi due motivi, mentre è da accogliere il terzo motivo, con cassazione e rinvio al Tribunale di Venezia, anche per la liquidazione delle spese del presente procedimento.
P.Q.M.
La Corte dichiara la nullità dell’atto di costituzione di Intesa Sanpaolo s.p.a.; rigetta i primi due motivi, accoglie il terzo motivo di ricorso; cassa con rinvio al Tribunale di Venezia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del procedimento di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 31 maggio 2016.
Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2016
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