In merito al reato di cui all’art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990, non spetta alla difesa dell’imputato fornire la dimostrazione di un uso personale dello stupefacente detenuto, dovendo essere sempre l’accusa, in ossequio ai principi generali, a dover provare una detenzione della droga per scopi diversi. Di talché, il mero dato quantitativo del superamento dei limiti tabellari di quantità detenibili di droga previsti dal summenzionato art. 73, comma 1 bis, lett. a), non implica alcuna inversione dell’onere della prova a carico dell’imputato, né tanto meno introduce una presunzione relativa della destinazione della droga ad un’attività cessoria. (Nel caso concreto si è annullata senza rinvio, perché il predetto reato attribuito all’odierno ricorrente non sussiste, la sentenza gravata con cui, contrariamente a quanto statuito in primo grado, si era pronunciata condanna, basata esclusivamente sulla circostanza che l’odierno ricorrente era stato rinvenuto in possesso di un quantitativo di sostanze stupefacenti maggiore rispetto ai limiti tabellari di cui sopra, in assenza di altri elementi probatori che potessero supportare la tesi dell’accusa).
L’art. 73, comma 1 bis, lett. a) del D.P.R. n. 309 del 1990, come novellato della legge n. 49 del 2006, prevede più parametri, fra loro reciprocamente autonomi, in base ai quali valutare l’eventuale destinazione ad un “uso non esclusivamente personale” di sostanze stupefacenti. L’accertamento di uno dei predetti parametri, quale l’ecceduta soglia di quantità detenibile, non è sufficiente affinché la condotta di detenzione possa assumere rilievo penale, dovendosi apprezzare contestualmente l’esistenza di altre circostanze dell’azione, suscettibili di escludere in modo logicamente coerente un uso non strettamente personale della droga.
Cass. pen. Sez. VI, 22/02/2011, n. 7578
Add Comment