Spetta al giudice italiano la giurisdizione con riguardo all’istanza di fallimento presentata nei confronti di società di capitali, già costituita in Italia, che, dopo il manifestarsi della crisi dell’impresa, abbia trasferito all’estero la sede legale, nel caso in cui i soci, chi impersona l’organo amministrativo ovvero chi ha maggiormente operato per la società, siano cittadini italiani senza collegamenti significativi con lo Stato straniero. Ed infatti, tali circostanze, lasciano chiaramente intendere come la delibera di trasferimento fosse preordinata allo scopo di sottrarre la società da rischio di una prossima probabile dichiarazione di fallimento. (conf. Cass. civ., sez. un., sent. n. 15580 del 2011).
Cass. civ. Sez. Unite, 23/09/2014, n. 19978
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Primo Presidente f.f. –
Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente Sezione –
Dott. RORDORF Renato – Presidente Sezione –
Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –
Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –
Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –
Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –
Dott. GRECO Antonio – Consigliere –
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 19513/2012 proposto da:
TECNO COMPAT MALI S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FRANCESCO INGHIRA, I 24, presso lo studio dell’avvocato PAOLO FEDERICO, che la rappresenta e difende, per delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
MEDIOCREDITO ITALIANO S.P.A. (già LEASINT S.P.A.), in persona del Direttore Generale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. PISANELLI 2, presso lo studio dell’avvocato DI MEO STEFANO, che la rappresenta e difende, per delega in calce al controricorso;
– controricorrente –
e contro
FALLIMENTO TECNO COMPAT MALI S.R.L.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 1066/2012 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 24/07/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/07/2014 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;
uditi gli avvocati Leonardo SALVEMINI per delega dell’avvocato Paolo Federico, Stefano DI MEO;
udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con sentenza del 16.03.2012, il Tribunale di Modena dichiarava il fallimento di TECNO COMPAT MALI S.r.l..
Contro la predetta sentenza O.L., nella sua qualità di legale rappresentante di TECNO COMPAT MALI srl, proponeva reclamo alla Corte d’Appello di Bologna, deducendo:
1) la nullità della notifica dell’istanza di fallimento e del pedissequo provvedimento di fissazione d’udienza L. Fall., ex art. 15, eseguita con il rito degli irreperibili ex art. 143 c.p.c.;
2) il difetto di giurisdizione del Giudice Italiano, avendo TECNO COMPAT trasferito la propria attività in (OMISSIS);
3) l’insussistenza dei presupposti di cui alla L. Fall., art. 1, per la dichiarazione di fallimento.
La Corte d’Appello di Bologna, con sentenza n. 1066/2012 del 24.07.2012, rigettava tutti i motivi di gravame presentati da TECNO COMPAT MALI srl.
Quanto al primo motivo di appello, la Corte territoriale, ricostruendo i diversi accessi eseguiti presso la residenza anagrafica del Signor O.L., quale legale rappresentante di TECNO COMPAT, al fine di notificare l’istanza di fallimento accertava che “alla residenza anagrafica non corrispondeva più da tempo (le notifiche si sono succedute nell’arco di sei mesi) la reale residenza di O.L. legale rappresentante della Società reclamante, cosicchè correttamente si è proceduto alla notifica ex art. 143 (del resto con maggiori garanzie per il destinatario, rispetto a quella effettuata ex art. 140 c.p.c.) e il tribunale di Modena ha proceduto egualmente nei confronti di Tecno Compat Mali”.
In riferimento al secondo motivo di gravame riteneva inammissibile la querela di falso proposta dalla reclamante in via subordinata avverso le notifiche effettuate in data 17.11.2011 e 02.01.2012, “non foss’altro perchè non è offerta prova alcuna, a fronte della residenza anagrafica risultante dai documenti e dalla Stessa carta d’identità (si veda la copia prodotta al n. 6 dal reclamante), circa la effettiva corrispondenza della residenza di fatto a tali dati meramente formali”.
Riguardo poi alla dedotta carenza di giurisdizione il giudice di seconde cure osservava che le eccezioni mosse dal reclamante volte a contestare la decisione del Tribunale di Modena in ordine al carattere fittizio del trasferimento all’estero della sede di TECNO COMPAT “nulla di concreto oppongono ai plurimi indizi sui quali il primo giudice ha fondato il proprio convincimento… Si tratta, come è evidente di indizi tutti gravi, precisi e concordanti che la reclamante neppure ha contestato nella loro integralità…”.
Confermava infine la Corte d’appello la sussistenza dello “stato di dissesto irreversibile in cui versa Tecno Compat Mali… sia il possesso dei requisiti dimensionali”.
Avverso la summenzionata sentenza TECNO COMPAT propone ricorso per cassazione, chiedendo che essa venga cassata sulla base di tre motivi cui resiste con controricorso, illustrato con memoria, il Mediocredito italiano già Leasint spa.
Non ha svolto attività difensiva il fallimento della Tecno Compat Mali srl.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la società ricorrente deduce che la Corte d’Appello di Bologna, nel confermare la sentenza di fallimento di TECNO COMPAT MALI srl, avrebbe erroneamente interpretato il combinato disposto di cui agli artt. 140 e 143 c.p.c., ritenendo valida la notifica dell’istanza di fallimento e del pedissequo provvedimento di fissazione di udienza L. Fall., ex art. 15.
La censura è incentrata sotto il profilo che la notifica ex art. 143 c.p.c., non può essere effettuata finchè il destinatario risulta residente in un dato luogo in base alle risultanze anagrafiche dovendosi in tal caso fare esclusivamente ricorso alla notifica ex art. 140 c.p.c.. La notifica ex art. 143 c.p.c., sarebbe dunque consentita solo dopo che il destinatario sia stato cancellato dal registro dei residenti nel comune.
Il motivo, per come formulato, è infondato.
E’ principio costantemente affermato da questa Corte, cui questa Sezioni Unite ritengono di dover dare seguito, che ai fini della determinazione del luogo di residenza o dimora della persona destinataria della notificazione, rileva esclusivamente il luogo ove essa dimora di fatto in modo abituale, rivestendo le, risultanze anagrafiche mero valore presuntivo circa il luogo di residenza e potendo essere superate, in quanto tali, da una prova contraria, desumibile da qualsiasi fonte di convincimento, affidata all’apprezzamento del giudice di merito. (Cass. 15938/08; Cass. 26985/09; Cass. 11550/13).
Nel caso specie, la Corte d’appello ha ritenuto che la residenza effettiva dell’ O. non corrispondesse a quella risultante dal certificato anagrafico sulla base di una serie di elementi consistiti dai sei tentativi di notifica andati a vuoto nell’arco di sei mesi,alcuni dei quali con attestazione di irreperibilità nella relata dell’Ufficiale giudiziario, nonostante fosse stato prodotto dal richiedente il certificato anagrafico, nonchè della attestazione dell’U.G., contenuta nelle notifiche del 17.11.11 e del 2.1.12, che “non vi era in loco un campanello, una cassetta postale o comunque un segno che facessero presumere la presenza in loco del Signor O. L., tanto che in precedenza – a fronte di altre richieste giuntemi da altri notificanti mi recavo in loco e, non trovando il destinatario, mi trovavo costretto a redigere sempre relate negative con la motivazione che il notificando non risultava più risiedere all’indirizzo indicato”.
Trattasi di motivazione del tutto adeguata con cui il giudice di merito ha esposto le ragioni del proprio convincimento che non risulta specificatamente censurata dalla ricorrente, essendo, come detto, l’unico argomento fatto valere quello secondo cui la notifica ex art. 143 c.p.c., potrebbe essere effettuata solo se il destinatario risulti cancellato dalle liste anagrafiche del Comune.
Tale circostanza è del tutto ininfluente alla luce dell’orientamento giurisprudenziale dinanzi indicato secondo cui ciò che rileva è il luogo ove la persona dimora in modo abituale a prescindere da ogni certificazione anagrafica.
Il motivo non può pertanto trovare accoglimento.
Con il secondo motivo la ricorrente contesta, sotto il profilo del vizio motivazionale, la decisione della Corte d’appello laddove ha dichiarato inammissibile la querela di falso presentata nei confronti delle notifiche in data 17.11.11 e 2.2.12. Tale motivo ripropone in diverso contesto la censura già espressa con il primo motivo e, cioè, che la produzione del certificato anagrafico e della carta d’identità doveva ritenersi prova adeguata ai fini della proposizione della querela per dimostrare la falsità della attestazione dell’Ufficiale Giudiziario circa il fatto che esso residente fosse sconosciuto presso la propria residenza.
Il motivo prima ancora che apparire infondato per le medesime ragioni esposte con l’esame del primo motivo, appare inammissibile.
Invero lo stesso appare del tutto generico in quanto contenuto in poche righe e facendo riferimento alle ragioni già esposte con il primo motivo.
Non contiene inoltre una specifica censura alla ratio decidendi della sentenza secondo cui in relazione alla ammissibilità della querela di falso la documentazione anagrafica non costituiva prova adeguata dovendo la residenza accertarsi sulla effettività di fatto della stessa e non su una documentazione amministrativa avente un mero carattere presuntivo.
Con il terzo motivo la società ricorrente lamenta l’insufficienza di motivazione in ordine al ritenuto carattere fittizio del trasferimento all’estero della propria sede ed alla conseguente sussistenza della giurisdizione del giudice italiano.
Va premesso che, in ordine alla dichiarazione di apertura della procedura fallimentare, il trasferimento in uno Stato extracomunitario della sede di una società, benchè anteriore al deposito dell’istanza di fallimento, non esclude la giurisdizione italiana, essendo essa inderogabile – salve le convenzioni internazionali o le norme comunitarie – secondo il disposto della L. Fall., artt. 9 e 10, (quali novellati dal D.Lgs. n. 5 del 2006, applicabile “ratione temporis”) e della L. n. 218 del 1995, art. 25, i quali escludono la predetta giurisdizione solo nei casi di effettivo e tempestivo trasferimento all’estero (ex plurimis Cass sez. un 25038/08).
Più in particolare,queste Sezioni Unite hanno ulteriormente chiarito che spetta al giudice italiano la giurisdizione con riguardo all’istanza di fallimento presentata nei confronti di società di capitali, già costituita in Italia, che, dopo il manifestarsi della crisi dell’impresa, abbia trasferito all’estero la sede legale, nel caso in cui i soci, chi impersona l’organo amministrativo ovvero chi ha maggiormente operato per la società, siano cittadini italiani senza collegamenti significativi con lo Stato straniero, circostanze che,, lasciano chiaramente intendere come la delibera di trasferimento fosse preordinata allo scopo di sottrarre la società dal rischio di una prossima probabile dichiarazione di fallimento.
(Cass. sez. un 15580/11).
Ciò premesso, si osserva che nel caso di specie la Corte d’appello ha ritenuto la natura fittizia del trasferimento in ragione delle seguenti risultanze processuali: a) l’attività in concreto esercitata di fabbricazione di carrozzerie per autoveicoli aveva esclusivo dimensionamento locale; b) sia l’amministratore sia i soci erano cittadini italiani, ivi residenti senza collegamenti con il (OMISSIS); c) l’assoluta mancanza di dati circa l’effettiva attività in (OMISSIS); d) l’esclusiva collocazione in Italia dei creditori; e) la contemporaneità del trasferimento con il dissesto attestato dai protesti.
Trattasi di motivazione di merito del tutto adeguata in punto di fatto che risulta conforme ai principi di diritto dianzi enunciati.
Le censure che la società ricorrente muove a tale motivazione, oltre ad essere del tutto generiche, tendono a prospettare una diversa interpretazione delle risultanze processuali e come tali, investendo il merito della decisione si rivelano inammissibili.
Il ricorso va in conclusione respinto.
La ricorrente va di conseguenza condannato al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in favore di Mediocredito Italiano spa in Euro 4.000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi nonchè spese forfettarie ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 15 luglio 2014.
Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2014
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