Il giudice è tenuto a pronunciarsi sul regolamento e sulla liquidazione delle spese di lite e la relativa decisione è suscettibile di integrazione ex art. 287 c.p.c.
Cass. civ. Sez. II, 05/06/2012, n. 9044
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ODDO Massimo – Presidente
Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso (iscritto al N.R.G.22487/10) proposto da:
AVV. R.G., rappresentato e difeso da se stesso ex art. 86 c.p.c., ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv.to Sebastiano Mannino in Roma, via Arno n. 6;
– ricorrente –
contro
AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE n. (OMISSIS) di CATANIA (ora Azienda Sanitaria Provinciale di Catania), in persona del Direttore generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv.to GIACONIA ALBERTO del foro di Catania, in virtù di procura speciale apposta a margine del controricorso, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv.to Rosaria Internullo in Roma, via Baiamonti n. 4;
– controricorrente –
Nonchè sul ricorso incidentale proposto dalla medesima ASP di Catania nei confronti del ricorrente;
avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania n. 1316 depositata il 29 settembre 2009;
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 14 febbraio 2012 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;
Uditi gli Avv.ti Giuseppe Rmano, per parte ricorrente, e Marianna Ristuccia (con delega del’Avv.to Alberto Giaconia), per parte resistente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e per la inammissibilità per quello incidentale.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 3 dicembre 2001 l’Avv.to R. G. evocava, dinanzi al Tribunale di Catania, l’AZENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE n. (OMISSIS) di CATANIA che, su segnalazione del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Catania e con delibera del 30.9.1999, lo aveva nominato componente della Commissione Tecnica prevista dalla L.R. n. 10 del 1993, art. 67, incaricata di esprimere parere circa la conformità al Capitolato di appalto e per attribuire punteggio relativo al parametro qualità in ordine alle offerte presentate dalle ditte partecipanti all’asta pubblica per la fornitura di 8 impianti di sterilizzazione dei rifiuti sanitari tenutasi il 15.7.1999; aggiungeva che la commissione, convocata per la prima volta l’11.10.1999, dopo numerose e lunghe riunioni, concludeva i suoi lavori con verbale del 6.7.2000, impegnando i componenti in plurime attività (studio collegiale e per singolo addetto del capitolato di appalto, della documentazione prodotta dalle ditte ammesse alla gara, delle richieste di chiarimenti formulate dalle medesime ditte ed esame dei chiarimenti, nomina di un consulente tecnico, con disamina della perizia, messa a punto dei criteri di punteggio, attribuzione concreta dei punteggi per ciascuna ditta, redazione del verbale conclusivo, con le determinazioni della commissione), a fronte delle quali la AZIENDA USL, disattendendo le richieste dell’attore formulate in base ai minimi tariffari, determinava il compenso in complessive L.. 850.000, per cui ne chiedeva la condanna al pagamento del maggiore importo di L. 88.450.000.
Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza della convenuta, la quale deduceva che la L.R. n. 10 del 1993, prevedeva che il compenso di spettanza dei componenti della Commissione in questione doveva essere computato in base ai criteri stabiliti dal Presidente della Regione Siciliana con decreto dell’8.3.1995 (in misura percentuale inversamente proporzionale al crescere dell’importo a base d’asta della gara), il Tribunale adito, all’esito dell’istruzione della causa, rigettava la domanda attorea.
In virtù di rituale appello interposto dall’Avv. R., con il quale lamentava che il giudice di prime cure avesse qualificato l’attività espletata rientrare nell’esercizio di una potestà pubblico-amministrativa e non nell’esercizio di attività professionale, per cui nella liquidazione del compenso era incorso nella violazione dei minimi di tariffa, la Cesile di appello di Catania, nella resistenza della ASL, respingeva l’appello.
A sostegno della decisione adottata la corte distrettuale evidenziava che l’attività svolta dall’appellante nella qualità di componente della commissione tecnica di cui alla L.R. n. 10 del 1993, art. 67, comportava sia dal punto di vista oggettivo sia da quello funzionale l’esercizio di una potestà pubblico amministrativa, in tal senso deponendo lo stesso tenore della norma invocata in relazione all’art. 65, comma 1, della medesima legge. La predetta disposizione, inoltre, al comma 6 prevedeva il compenso dovuto, calcolandolo in base a criteri stabiliti con decreto del Presidente della Regione rapportati all’importo posto a base della gara, esclusa I.V.A., misura del compenso che era stata espressamente indicata nella delibera di incarico, per cui non poteva il professionista invocare l’applicazione dell’art. 2233 c.c.. D’altro canto l’espletamento di attività propedeutica alla procedura di aggiudicazione dell’appalto, quale era l’oggetto dell’incarico dell’appellante, non poteva essere ricompreso nell’attività stragiudiziale come prevista ed individuata dalla legge professionale, con la conseguenza che apparivano non pertinenti le censure relative alla violazione dei minimi tariffari.
Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Catania ha proposto ricorso per cassazione l’avv.to R., che risulta articolato su cinque motivi, al quale,ha resistito la AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE n. (OMISSIS) di CATANIA (ora AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI CATANIA) con controricorso, che ha presentato anche ricorso incidentale affidato ad un motivo. Il ricorrente ha presentato memoria illustrativa.
Motivi della decisione
Con la prima censura l’avv. R. denuncia la omessa e/o insufficiente motivazione per avere la corte di merito argomentato in modo incomprensibile la circostanza che costituisca “esercizio di potestà pubblica amministrativa” l’attività svolta dal professionista in favore dell’A.U.S.L. n. (OMISSIS) di Catania, mentre tale doveva considerarsi solo la funzione di aggiudicazione della gara, che era stata regolarmente espletata dalla committente A.U.S.L.. Del pari il giudice del gravame non aveva chiarito perchè l’esercizio di una potestà pubblica amministrativa non fosse inquadrarle nelle professioni intellettuali ex art. 2229 c.c. e ss.
Con il secondo mezzo viene dedotta la violazione e/o falsa applicazione di tutta la normativa da cui era origina la tariffa professionale forense laddove la corte distrettuale riconosce valenza giuridica al decreto del Presidente della Regione Siciliana, in assoluta carenza di potestà legislativa della Regione Sicilia e del suo Presidente in materia di determinazione dei compensi di avvocato, riservata, invece, alla normativa statale.
Con il terzo mezzo viene denunciata la violazione e/o falsa applicazione del R.D. 16 marzo 1942, artt. 3 e 4, per avere la corte distrettuale ignorato i principi generali sulla gerarchia delle fonti del diritto, riconoscendo valore poziore al decreto del Presidente della Regione Siciliana dell’8.5.1995.
Con la quarta censura viene dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 794 del 1942, art. 24, per avere la decisione impugnata negato operatività a detta norma che pure presenta tutti i parametri dell’attività stragiudiziale svolta da professionista in favore della UASL: esternazione di un parere, esame documentazione prodotta e prevista dal bando e dal capitolato speciale.
Con il quinto ed ultimo mezzo il ricorrente, infine, lamenta la violazione dell’art. 2233 c.c., comma 2, per avere la corte di merito negato nella specie l’applicabilità di detta disposizione.
I motivi, da trattare unitariamente per la stretta connessione logica e giuridica, devono rigettarsi.
La questione posta all’attenzione della Corte presuppone la qualificazione dell’incarico assunto dal ricorrente nell’ambito della Commissione Tecnica di cui alla L.R. n. 10 del 1993, art. 67.
In proposito, va rilevato che la Commissione de qua, composta da un funzionario amministrativo dell’ente, da un tecnico laureato appartenente alla categoria professionale competente nella valutazione del genere di fornitura da acquisire e da un avvocato, costituisce un organismo politico e tecnico con funzioni di rilevante contenuto pubblicistico, quale è sicuramente quello connesso a compiti di programmazione e di pianificazione, cui lo statuto regionale attribuisce particolare rilievo.
Trattasi, dunque, come rilevato da decisione a Sezioni Unite di questa Corte, nel decidere controversia simile a quella oggetto della presente controversia (così Cass. SS.UU. 14 gennaio 1992 n. 363), di organismo regionale operante nel quadro dell’attività istituzionale, i cui componenti sono investiti di un incarico pubblico di partecipazione ad un organo collegiale dell’amministrazione, incarico liberamente accettato e disciplinato dalla legge, anche quanto al compenso (la decisione richiamata definisce il rapporto come costituente un munus publicum).
Ne consegue l’impossibilità di configurare l’opera svolta dal ricorrente in seno alla Commissione come un rapporto professionale esterno intercorso con la Regione e riconducìbile nell’ambito delle prestazioni di cui all’art. 409 c.p.c., n. 3, come sostenuto dal R..
D’altronde, la suddetta identificazione trova ampia conferma nelle circostanze operanti nella specie: la sussistenza di un rapporto di servizio volontario, instauratosi con l’accettazione della carica; la scelta dei componenti della Commissione con carattere politico- discrezionale;
l’inserimento funzionale dell’attività della Commissione nel quadro dell’azione amministrativa regionale, specie sotto il riflesso che i lavori della Commissione servivano a predisporre la selezione della offerta economicamente più vantaggiosa; la previsione per legge anche del compenso per l’incarico di componente della Commissione (da ultimo, Cass. 8 febbraio 2010 n. 2720).
Dalle considerazioni che precedono discende che alcuna violazione della gerarchia delle fonti risulta perpretata dai giudici di merito, per non essere l’incarico in questione riconducibile ad attività forense in senso proprio.
Nè l’attività espletata con riferimento all’incarico conferito può essere ricondotta nell’ambito di quella stragiudiziale, di cui alla Tariffa professionale forense, in quanto l’aspetto valutativo è rimesso non già al singolo componente, ma all’organo collegiale nel suo complesso (la Commissione Tecnica).
E’ bene ribadire che trattarsi di incarico disciplinato dalla legge e volontariamente accettato, il cui compenso, per l’effetto (legalmente previsto), risulta validamente pattuito.
Passando all’esame del ricorso incidentale, con il quale la AUSL, con un unico motivo deduce la mancata liquidazione degli onorari, nel ritenerne la inammissibilità si osserva che l’omessa liquidazione degli onorari, nell’ambito di una condanna alle spese processuali disposta ex art. 91 c.p.c., può essere integrata attraverso il rimedio di cui all’art. 287 c.p.c. e ss., (cfr Cass. 4 settembre 2009 n. 19229), anche perchè il regolamento delle spese giudiziali è una conseguenza legale della decisione della lite, talchè il giudice deve procedervi anche se le parti non abbiano proposto alcuna istanza in proposito. In tal caso l’esperibilità del procedimento in chiave sostitutiva non si pone come (inammissibile) rimedio ad un vizio della volontà del giudice o ad un suo errore di giudizio, ma è soltanto lo strumento per eliminare la disarmonia tra la manifestazione esteriore costituita dal documento sentenza e quanto poteva e doveva essere statuito ex lege, senza che si venga ad incidere, modificandolo, nè sul processo volitivo o valutativo del giudice, nè sulla sua decisione di interpretazione che – corretta o errata che sia – sia stata posta a fondamento della pronuncia finale sul thema decidendum. Si deve rilevare, infine, che nel caso concreto la disarmonia risulta palese, giacchè la sentenza impugnata aveva escluso in radice la possibilità di una compensazione anche parziale di dette spese, affermando già nella parte conclusiva della motivazione che le stesse “in ossequio al principio della soccombenza…vanno poste a carico dell’appellante”, e provvedendo quindi alla loro materiale liquidazione nel dispositivo, ove tuttavia la proposizione si è arrestata alla indicazione dell’importo ritenuto congruo per i diritti di procuratore, mentre non è stata completata, come dimostra la dizione “liquida in complessivi Euro” rimasta senza seguito, per tutte le altre voci (onorari e spese generali).
Anche le spese del giudizio di legittimità vanno gravate sul soccombente sostanziale Avv.to R. e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale;
condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori, come per legge.
Add Comment