Cassazione, sez. III, 24 marzo 2011, n. 6752

(Pres. Preden – Rel. Amatucci)

 

Svolgimento del processo

1.- Il … il trentacinquenne B.G. , investito da un’autovettura (che procedeva ad elevata andatura) mentre passeggiava coi propri congiunti lungo una strada provinciale, morì nell’ospedale di … 40 minuti dopo l’incidente per il trauma facciale e toracico addominale che aveva subito.

Con sentenza n. 682/02 il tribunale di Rieti condannò solidalmente proprietario (L..C. ), conducente (M..C. ) ed assicuratrice (Nuova Maa Ass.ni s.p.a., in seguito Milano Assicurazioni s.p.a.) dell’autovettura investitrice al risarcimento dei danni in favore dei genitori (M..G. e B.N. ) e del fratello (F..B. ) del defunto, riconoscendo ai medesimi, iure hereditario, anche la somma di Euro 90.000 per il danno biologico subito dal congiunto nell’intervallo di tempo tra le lesioni e la morte.

2.- la corte d’appello di Roma, decidendo con sentenza n. 503 del 31.1.2006 sui gravami della società assicuratrice e dei congiunti, ha ravvisato l’apporto causale della stessa vittima per il 30%, ed ha escluso sia che durante il tempo di sopravvivenza all’incidente il defunto si fosse trovato in stato di coscienza (pur avendo i testi riferito di qualche esile flebito), sia che i congiunti avessero subito danni biologici e patrimoniali da lucro cessante.

Ha dunque liquidato il danno non patrimoniale patito dai congiunti in relazione alla percentuale di apporto causale colposo del conducente della vettura.

3. Avverso la sentenza ricorrono per cassazione i B./G., affidandosi a cinque motivi, cui resiste con controricorso la Milano Assicurazioni s.p.a..

Motivi della decisione

1.- Col primo motivo la sentenza è censurata per vizi della motivazione in ordine al ravvisato apporto causale della stessa vittima per essersi trovata al centro della strada, con pretermissione delle circostanze che la vettura viaggiava ad elevata velocità (100 km/h, comunque superiore al limite) e che altri pedoni avevano segnalato al conducente l’esigenza di rallentare. Si imputa inoltre alla corte d’appello di aver “omesso di esplicitare i criteri di determinazione della percentuale del 30% a carico del medesimo” (pedone defunto).

1.1.- Il motivo è infondato.

La corte d’appello ha ampiamente motivato sul punto, alle pagine 4 e 5 della sentenza, con argomentazioni sufficiente e niente affatto contraddittorie, segnatamente nella parte in cui ha rilevato – dopo aver osservato che l’autovettura viaggiava a circa 100 km/h, eccedendo non di molto il limite di 90 km/h – che il pedone teneva una posizione certamente non esente da pericolo, non prevedibile per le auto in transito e che ha concorso a determinare l’evento e che, in particolare, “non solo non camminava sul suo lato destro nel senso del bordo disponibile della strada (si è descritto lo stato dei luoghi e la presenza di banchine non transitabili), ma si trovava pressoché al centro della strada, e ciò pur non volendosi escludere una ipotetica manovra di attraversamento, che non ha trovato sicura conferma nell’istruttoria”.

Si tratta di valutazioni del fatto, non suscettibili di essere reiterate in sede di legittimità.

Quanto alla censura relativa alla mancata esplicitazione, evidentemente in concreto, dei criteri di determinazione della percentuale del 30% di apporto causale della stessa vittima, essa è manifestamente infondata in difetto di indicazione di quali tali criteri siano in astratto.

Il ricorrente non chiarisce infatti come, al di fuori di ipotesi di mera probabilità statistica, si possa spiegare perché un evento è considerato causa di un altro per il 30% anziché, ad esempio, per il 20% o per il 40%. E non avrebbe probabilmente potuto, poiché la determinazione percentuale dell’incidenza causale di un fatto al verificarsi di un altro non consiste che nella necessaria, inevitabilmente approssimativa, espressione aritmetica di un’opinione, insuscettibile di esplicazione analitica in termini (quelli appunto aritmetici) diversi da quelli sulla base dei quali si forma (quelli logici). Il sindacato può essere dunque condotto esclusivamente sul piano logico; e può risolversi nell’affermazione del vizio della motivazione per contraddittorietà solo quando l’espressione percentuale dell’apporto causale colposo appaia incompatibile con le osservazioni logiche che la sorreggono.

Nella specie non si sostiene che così sia stato.

2.- Col secondo motivo sono dedotte violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. ed omessa motivazione su punto decisivo per avere la corte d’appello omesso di riconoscere il danno biologico subito dalla vittima stessa sia in relazione al breve lasso di tempo trascorso tra lesioni e decesso (40 minuti secondo la corte territoriale, maggiore secondo il ricorrente) sia in relazione all’escluso stato di coscienza del ferito (invece affermato dal ricorrente).

È formulato il seguente quesito di diritto: “Dica la Suprema Corte se il lasso di tempo intercorso tra il momento del sinistro ed il decesso, durante il quale la vittima appariva in stato di coscienza vigile, sia sufficiente a realizzare la trasmissibilità, in favore degli eredi, del danno biologico patito dalla vittima”.

È poi indicato il seguente fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa: “la Corte d’appello ha richiamato come momento del decesso l’orario riportato sulla scheda di morte rilasciata dal Comune di Avezzano, basandosi quindi su un documento postumo, omettendo di considerare le dichiarazioni rese dalle persone che hanno assistito il B. fino al momento del decesso”.

2.1.- Il quesito di diritto presuppone, in contrasto con quanto ritenuto dalla corte d’appello, che la vittima sia stata “in stato di coscienza vigile” nell’intervallo di tempo tra le lesioni e la morte. Assume dunque come vera una circostanza negata dalla corte d’appello, sicché è inammissibile, giacché la valutazione di un prospettato errore di sussunzione da parte del giudice – qual è denunciato mediante la deduzione di un error iuris – non può essere operata che in relazione al fatto quale accertato dal giudice e non in relazione ad un fatto diverso.

L’apprezzamento del fatto da parte del giudice può essere per contro intaccato solo mediante la deduzione di un vizio di motivazione. Ma, nella specie, nelle indicazioni da offrire ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (in relazione al vizio di motivazione di cui all’art. 360, n. 5) il fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa concerne solo il momento del decesso e non lo stato di coscienza della vittima. Non è dunque suscettibile di essere travolto l’apprezzamento di fatto sul quale è fondata la denunciata violazione e falsa applicazione della norma di diritto, sicché il motivo non può che essere respinto.

3.- Col terzo motivo è denunciata omessa motivazione “nella parte in cui è stato ridotto il risarcimento del danno morale iure proprio subito dagli eredi (n.d.e.: ma, recte, congiunti) della vittima”.

Il fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa è indicato nell’essere stato il danno liquidato “in modo sensibilmente inferiore a quanto liquidato dal Giudice di prime cure”.

3.1.- Il motivo è inammissibile giacché quello indicato palesemente non è un fatto controverso ma il risultato dell’apprezzamento del fatto.

4.- Col quarto motivo è denunciata violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione al mancato riconoscimento del danno patrimoniale da lucro cessante alla madre della vittima.

4.1.- Il motivo è manifestamente infondato.

È certamente corretto in diritto l’assunto che l’esistenza del danno “possa” essere affermata sulla base di elementi presuntivi che autorizzino ad inferire che il genitore avrebbe goduto di un aiuto economico da parte del figlio, ma è altrettanto certamente insostenibile che la conclusione “debba” essere sempre affermativa sulla base della comune esperienza della realtà familiare e sociale, come si pretende nel quesito di diritto.

Dipende, com’è ovvio, dalle circostanze. E, nella specie, la corte d’appello ha giustificato la conclusione negativa in relazione alla mancanza di prova idonea sul preesistente contributo del figlio ed al rilievo che la madre non era priva di redditi (la sentenza non è, peraltro, censurata per vizio di motivazione sull’apprezzamento del fatto).

5.- Col quinto motivo la sentenza è da ultimo censurata per omessa e contraddittoria motivazione in ordine al mancato riconoscimento del danno biologico direttamente subito dai congiunti.

L’omissione è prospettata in relazione alla mancata pronuncia sulla richiesta di ammissione di c.t.u. medico legale e la contraddittorietà nell’avere la corte territoriale per un verso riconosciuto l’esistenza di un trauma psichico e, per altro verso, negato l’esistenza di un pregiudizio psicofisico.

5.1.- La censura è manifestamente infondata. I ricorrenti completamente prescindono dall’affermazione della corte d’appello che i certificati medici allegati “non documentano altro che la normale condizione di dolore afferente i congiunti a fronte di una grave perdita”. E – va soggiunto – quel danno è stato appunto risarcito.

6.- Le non contestate ragioni equitative che hanno indotto alla compensazione delle spese del grado di appello possono ravvisarsi sussistenti anche per il giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e compensa le spese.

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