esecLa cognizione sommaria in funzione degli accertamenti necessari da compiersi dal giudice dell’esecuzione è regolata, sul piano dell’onere probatorio, dal principio per cui chi solleva la contestazione della posizione di vantaggio altrui coinvolta nella distribuzione, se tale posizione, quanto a ciò che è oggetto di contestazione, non emerge da elementi certi risultanti da ciò su cui chi la rivendica la fonda per partecipare alla distribuzione, non è onerato di dare la prova negativa dell’insussistenza di quegli elementi. Viceversa, è chi rivendichi la posizione di vantaggio a dover dare dimostrazione di tali elementi nel procedimento cui allude lo stesso art. 512 c.p.c. con il riferimento agli accertamenti necessari.

Cassazione civile, sez. III, 25/05/2016, n. 10752  

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
p.1. Con atto del 19 marzo 2008, D.P.R., debitore esecutato nella procedura esecutiva immobiliare n. 38/1995 R.G.E. pendente dinanzi al Tribunale di Lucca ad istanza di Cassa di Risparmio di Lucca s.p.a., proponeva opposizione alla distribuzione, ex art. 512 c.p.c., deducendo l’erroneità del progetto di distribuzione del 24 ottobre 2007, predisposto dal C.T.U. rag. C.M. e ciò esclusivamente quanto alla posizione del creditore procedente (frattanto divenuto Cassa di Risparmio di Lucca, Pisa e Livorno s.p.a.), non contestando invece le voci attribuite ai restanti creditori intervenuti T.O. Delta s.p.a. e Cassa di Risparmio di Firenze s.p.a..
In particolare, il D. lamentava che le somme attribuite alla creditrice procedente (pari ad Euro 33.484,34 in prededuzione, ad Euro 137.845,37 – al netto dell’importo di Euro 133.591,67, già versato da esso debitore – per credito ipotecario riveniente da apertura di credito su conto corrente n. (OMISSIS), ed in Euro 32.308,24 al chirografo) fossero eccessive, in quanto derivanti dall’applicazione al rapporto di clausole nulle per anatocismo, interessi ultralegali e commissione di massimo scoperto.
p.2. Il Giudice dell’Esecuzione, con ordinanza del 19 luglio 2008, respingeva l’istanza dell’esecutato ed egli proponeva opposizione agli atti esecutivi avverso la medesima con atto del 18 agosto 2008.
11 Giudice dell’Esecuzione negava l’adozione di provvedimenti sull’esecuzione all’esito della fase sommaria e fissava termine per l’introduzione del giudizio di merito ex art. 618 c.p.c., cui il D. provvedeva con successiva citazione del 30 aprile 2009, instando per l’accertamento dell’effettivo ammontare del credito della Ca.Ri.Lucca.
p.3. Il Tribunale di Lucca – all’esito del giudizio in cui si costituiva la Cassa di Risparmio di Lucca, Pisa e Livorno e restavano contumaci la Banca Cassa di Risparmio di Firenze s.p.a., la Non Performing Loang s.p.a. e la To. Delta s.p.a. – con sentenza del 27 settembre 2013, respingeva l’opposizione, in quanto l’invocata adozione dell’ordine di esibizione dei documenti comprovanti il credito, ex art. 210 c.p.c., avrebbe avuto l’effetto di sollevare il D. dall’onere probatorio che – secondo il giudice lucchese -incombeva sullo stesso esecutato, tanto più che egli aveva ricevuto al proprio domicilio la documentazione stessa;
inoltre, rimarcava il giudice toscano che l’istanza era comunque generica, e tendente all’espletamento di una C.T.U. che sarebbe stata meramente esplorativa.
p.4. Avverso detta sentenza D.P.R. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
Ha resistito con controricorso il Banco Popolare Società Cooperativa, incorporante della Cassa di Risparmio di Lucca, Pisa e Livorno s.p.a..
Non hanno svolto attività difensiva gli altri intimati Banca Cassa di Risparmio di Firenze s.p.a., Non Performing Loang s.p.a. e To.
Delta s.p.a.
p.5. Il ricorrente ha depositato memoria.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
p.1. Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, laddove il Tribunale di Lucca, nel rigettare le istanze istruttorie formulate dall’opponente, ha ritenuto che non incombesse in capo a Ca.Ri.Lucca l’onere della prova circa l’esistenza del credito dedotto a fondamento dell’aggressione esecutiva, come invero contestato in sede distributiva dal debitore esecutato”.
In particolare, il ricorrente si duole della decisione del Tribunale lucchese in primo luogo nella parte in cui essa afferma che, a fronte della contestazione circa la determinazione dell’ammontare della somma attribuita al creditore procedente, come operata nel progetto di distribuzione, sarebbe stato onere del debitore opponente fornire la prova dell’illegittimità delle poste creditorie, e ciò in quanto egli aveva avuto regolare disponibilità, nel corso del rapporto, degli estratti di conto corrente, sicchè l’ordine di esibizione ex art. 210 cod. proc. civ., avanzato dallo stesso D., era stato ritenuto inammissibile dal giudice, in quanto diretto appunto a sopperire alle dette carenze probatorie.
Assume il D., al riguardo, la palese erroneità della decisione, giacchè, avuto riguardo alle posizioni sostanziali e considerato che “entro il giudizio di opposizione distributiva, infatti, è la banca ad assumere il ruolo di attrice in senso sostanziale nel corso del procedimento, quale titolare della situazione giuridica soggettiva attiva posta a fondamento dell’aggressione esecutiva”, sarebbe stato al contrario preciso onere della Ca.Ri.Lucca ai sensi dell’art. 2697 c.c., dimostrare, nel corso del procedimento, “il fondamento della propria pretesa mediante la produzione in giudizio di tutta la documentazione afferente al rapporto bancario intercorso con il correntista: pena la sopportazione del rischio della mancata dimostrazione del fatto costitutivo del proprio credito. Ed invece, a fronte dell’inerzia e della totale mancata prova del credito, il Tribunale di Lucca” avrebbe “inopinatamente riconosciuto la pretesa creditoria ed ha avvallato, per l’effetto, l’integrale incameramento delle somme individuate in sede di progetto di riparto”.
In secondo luogo si sostiene che d’altro canto il ricorrente aveva assolto gli oneri probatori che su di lui incombevano, in quanto, conformandosi alle prescrizioni del T.U.B. egli aveva chiesto alla Banca l’acquisizione della documentazione contabile afferente al conto corrente (OMISSIS) per il periodo dal 2 marzo 1992 al 29 novembre 2006 ed essa si era sottratta al chiesto adempimento adducendo la supposta genericità della richiesta. Dopo di che il ricorrente aveva introdotto il contenzioso distributivo formulando l’istanza di esibizione dopo avere addotto l’illegittimità della clausola di cui all’art. 2, dell’atto di costituzione volontaria di ipoteca.
Inoltre, a sostegno della prospettazione viene invocata la giurisprudenza che, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, esclude che la banca possa far leva sul saldaconto di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 50, e le impone la produzione degli estratti relativi al conto corrente.
Onere che non sarebbe escluso dalla previsione di cui all’art. 199 del T.U.B., riguardo al quale viene invocata Cass. n. 1842 del 2011.
Si adduce, in fine, che la violazione dell’art. 2697 c.c., non sarebbe esclusa dalla eventuale natura di giudizio di accertamento negativo dell’opposizione distributiva, evocandosi in proposito giurisprudenza di questa Corte che in tali giudizi onera chi si afferma titolare del diritto di provare i fatti costitutivi della sua pretesa anche allorquando sia convenuto in un giudizio di accertamento negativo vengono evocate Cass. n. 24568 del 2013, n. 16917 del 2012, n. 12108 del 2010 e n. 19762 del 20081.26158 del 2014.
p.2. Con il secondo motivo, il ricorrente censura l’impugnata sentenza per “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 119, u.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, laddove il Tribunale di Lucca ha postulato un obbligo del cliente di conservare la documentazione contabile, nonchè omesso esame di fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, laddove il Tribunale di Lucca, nel rigettare l’opposizione, ha ritenuto inammissibile l’istanza ex art. 210 c.p.c., nonchè la richiesta di esperimento di una C.T.U. di tipo tecnico-contabile formulate dal Sig. D.”.
Oltre ad aver mal governato la regola del riparto dell’onere probatorio, e a causa di ciò, secondo il D. il primo giudice ha anche violato il disposto dell’art. 119, u.c., del T.U.B., dichiarando inammissibile il duplice approfondimento istruttorio da lui richiesto (istanza ex art. 210 c.p.c., e richiesta di C.T.U. tecnico-contabile). In particolare, il ricorrente lamenta come il Tribunale abbia denegato il proprio diritto, sancito incondizionatamente dalla norma richiamata, di ottenere la documentazione afferente al rapporto intercorso con la banca per l’ultimo decennio, e a prescindere dalla circostanza che il correntista ne avesse avuto disponibilità, diritto pure disconosciuto dalla Ca.Ri.Lucca, che non aveva adeguatamente riscontrato la sua richiesta spedita con missiva del 21.11.2007 e integrata con ulteriore del 19.2.2008.
Da qui, prosegue il ricorrente, la piena legittimità della richiesta ex art. 210 c.p.c., erroneamente disattesa dal Tribunale, che aveva del tutto omesso l’esame (errore rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) delle missive da lui inviate alla banca, e della lettera di riscontro di quest’ultima, documenti tutti prodotti in questa sede ai nn. 3 – 5.
Analoghe considerazioni svolge il D. circa la richiesta di C.T.U. contabile pure richiesta e disattesa dal Tribunale in quanto meramente esplorativa e, al contrario, pienamente giustificata.
p.3. Il primo motivo di ricorso appare fondato nei sensi di cui si dirà di seguito ed il suo accoglimento determina l’assorbimento del secondo, in quanto le questioni con esso poste verranno in rilievo davanti al giudice del rinvio e dovranno essere considerate e risolte alla luce della decisione che dovrà rendere a seguito della cassazione disposta in accoglimento del primo motivo.
p.3.1. Il giudice dell’opposizione ai sensi dell’art. 512 c.p.c., ha deciso la controversia applicando una regola di giudizio errata nella gestione della decisione dell’opposizione e ciò nel solco dello stesso errore che aveva a sua volta commesso il giudice dell’esecuzione.
L’errore dell’uno e dell’altro giudice si desume dalla motivazione resa dal Tribunale, che è stata del seguente tenore e si è appiattita sulla motivazione dell’ordinanza opposta ai sensi del’art. 617 c.p.c.: “L’opposizione va respinta per l’assorbente ragione che il debitore, come evidenziato dal giudice dell’esecuzione nel provvedimento del 14.7.2008, compie, in ordine alla inesistenza del credito della Cassa di Risparmio, delle mere asserzioni, la cui verifica dovrebbe passare per un (richiesto) ordine da rivolgersi alla stessa Cassa perchè esibisca tutti i documenti relativi al rapporto contrattuale da cui il credito rinviene e per una successiva c.t.u. volta a rideterminare l’effettivo ammontare del debito previa decurtazione di quanto non dovuto in ragione di dedotte nullità del contratto. La richiesta di esibizione è inammissibile perchè l’ordine non può essere impiegato per sopperire a carenze probatorie della parte nel produrre documenti di cui è incontestato abbia a suo tempo disposto (gli estratti conto relativi all’intera durata del rapporto), può essere riferito ex art. 210 c.p.c., solo a specifici documenti di sicuro determinanti per la decisione della causa e non a una massa di documenti la cui concreta rilevanza potrebbe eventualmente risultare da una c.t.u. esplorativa”.
p.3.2. In questa motivazione si annida la supposizione del convincimento di una concezione della posizione delle parti nel giudizio ai sensi dell’art. 512 c.p.c., che non appare corretta in relazione all’oggetto che detto giudizio ha avuto nel caso di specie.
Queste le ragioni.
In via preliminare si deve rilevare che il giudizio è soggetto alla disciplina di cui all’art. 512 c.p.c., introdotto dal D.L. n. 35 del 2005, art. 2, comma 2, lett. e), n. 9, convertito, con modificazioni, nella L. n. 80 del 2005.
Ora, il testo della norma ha, com’è noto, ridisegnato la c.d.
opposizione distributiva attribuendole una nuova struttura, che si articola: a) in una fase in cui le contestazioni tradizionalmente inerenti all’ambito del rimedio, che sono rimaste quelle cui si riferiva il precedente testo della norma, debbono essere prospettate in prima battuta direttamente al giudice dell’esecuzione e danno luogo ad un suo provvedimento, che dev’essere adottato con ordinanza e che le risolve prospettando, quindi, una soluzione della contestazione insorta; b) in una seconda fase eventuale in cui tale ordinanza può essere impugnata con un’opposizione ai sensi dell’art. 617 c.p.c., al suo contenuto e, dunque, alla soluzione data dal giudice dell’esecuzione.
La struttura della prima fase è descritta nel senso che il contrasto sulle questioni inerenti la distribuzione – rimaste identiche, come s’è detto, a quelle ipotizzate dalla norma vecchia – è prospettato al giudice dell’esecuzione, che così viene naturalmente investito del dovere di provvedere e di farlo all’esito di un procedimento, che viene dalla legge, tipizzato con la prescrizione dell’obbligo di “sentire le parti” (e, dunque, del contradditorio) e con quella del dovere di compimento dei “necessari accertamenti”.
Si allude, quindi, ad un’attività accertativa chiaramente di natura lato sensu cognitiva, cioè diretta ad acquisire gli elementi per la soluzione della controversia. Essa è ispirata al canone della sommarietà, come lo sono tutti gli accertamenti del giudice dell’esecuzione, ma vede pur sempre tale sommarietà necessariamente connotata dall’obbligo di rispettare quelle due prescrizioni.
La seconda di esse esprime l’esigenza che, se è necessaria l’acquisizione di conoscenze per risolvere la controversia tale attività risulta necessaria e lo è nell’interesse innanzitutto di chi sul piano assertivo se ne può giovare ai fini della soluzione in un senso o nell’altro della questione insorta.
La previsione di tale attività come “necessaria” in funzione dell’accertamento commesso al giudice dell’esecuzione, significa che, se tale attività è utile a quello scopo deve essere espletata.
Si tratta di un’attività accertativa che è dal legislatore affidata direttamente ad un potere del giudice dell’esecuzione e che appare da esercitarsi e svolgersi in via doverosa certamente sulla base delle allegazioni delle parti e di quanto esse palesano necessario in funzione della soluzione della contestazione insorta, ma deve e può svolgersi anche sulla base di iniziative ritenute necessarie dal giudice dell’esecuzione in base alle allegazioni delle parti: ciò si deve giustificare sia quale esplicazione del potere di cui all’art. 484 c.p.c., comma 1, sia per diretta investitura implicata dalle due prescrizioni di cui si è detto e segnatamente dal riferimento alla necessarietà degli accertamenti.
L’attività in questione ha naturalmente come scopo l’acquisizione di conoscenze di elementi per risolvere la questione e, dunque, si connota come attività di natura probatoria, sicchè per quanto attiene alla posizione delle parti si pone il problema di chi sia onerato dell’attività di acquisizione dei detti elementi sul piano probatorio.
p.3.3. Ritiene il Collegio che l’onere probatorio della parte, poichè la controversia riguarda la sussistenza o l’ammontare del credito o la sussistenza di una causa di prelazione si debba individuare sulla base della situazione che, nel momento in cui insorge la controversia vi è nel processo esecutivo in ordine alla prova della sussistenza del credito, del suo ammontare, della causa di prelazione, e dunque, al grado di dimostrazione che in quel momento ha il credito, ha il suo ammontare, ha la causa di prelazione.
Nella specie la contestazione svolta dal qui ricorrente, debitore esecutato, ineriva all’eccessività dell’ammontare del credito della banca creditrice procedente nei termini in cui era inserito nel progetto di distribuzione.
Si trattava, dunque, di una contestazione sull’ammontare del credito.
Credito che era basato su titolo esecutivo stragiudiziale, costituito da un atto notarile.
La contestazione di eccessività concerneva, peraltro, l’ammontare del credito non già nella misura direttamene emergente dal titolo esecutivo, bensì per quanto la Banca creditrice procedente postulava dovuto sulla base delle previsioni di esso e, quindi, delle clausole dell’atto negoziale, in forza di operazioni di appostazione su un conto corrente strumentale al rapporto consacrato nel titolo esecutivo. Si assumeva, in particolare, dal debitore qui ricorrente che il saldo negativo figurante sul conto era eccessivo, sia in ragione delle modalità di calcolo degli interessi previste dal contratto di cui all’atto notarile e ciò tanto sotto il profilo dell’applicazione illegittima dell’anatocismo, quanto sotto quello della effettuazione di quel calcolo in forza di una clausola contrattuale non rispettosa dell’art. 1346 c.c., sia sotto il profilo dell’addebito di commissioni in modo da realizzare una illegittima capitalizzazione.
Di fronte a tali contestazioni ed alle allegazioni del debitore gli accertamenti necessari imposti al giudice dell’esecuzione, mentre supponevano certamente il riscontro dall’atto negoziale costituente il titolo esecutivo di quanto in esso aveva, secondo la prospettazione del debitore, determinato il comportamento della creditrice concretatosi nell’addebito nel conto corrente delle somme eccessive per le indicate causali, e, dunque, la ricognizione delle clausole contrattuali, viceversa, per quanto concerneva il riscontro della ascrivibilità del saldo negativo del conto corrente ad appostazioni della banca giustificate dall’applicazione delle clausole dell’atto negoziale ritenute dal debitore illegittime, supponeva necessariamente l’esame delle emergenze contabili del conto corrente, in quanto indispensabile per comprendere se ed in che misura quelle appostazioni vi fossero state.
p.3.4. Ora, la situazione esistente con riferimento alle posizioni delle parti emergeva sotto il profilo fattuale in modo certo dal titolo esecutivo, cioè dall’atto notarile negoziale sulla base del quale era stata introdotta l’esecuzione, per quanto afferiva al contenuto delle clausole riguardo alle quali il debitore aveva svolto le sue contestazioni, e, semmai, si trattava di apprezzare in iure se esse erano fondate. Viceversa, per quanto attiene alle operazioni eseguite sulla base di esse ed alla loro incidenza sulla determinazione del saldo negativo, non emergendo esse dal titolo esecutivo e nemmeno dal saldo del conto corrente, vi era una situazione di incertezza.
Non essendo le operazioni comportamenti tenuti dal debitore è palese che egli non li poteva allegare. Al contrario, trattandosi di ipotetici comportamenti della Banca era essa a poterli allegare se tenuti oppure a poterli negare se invece non tenuti. Il relativo accertamento era possibile sulla base della ricognizione delle risultanze contabili dello svolgimento del rapporto di conto corrente, dal quale potevano emergere le appostazioni effettuate e la loro imputazione e, dunque, l’incidenza sul saldo di appostazioni eseguite sulla base delle pretese clausole illegittime.
Poichè la posizione della Banca nel processo esecutivo, per quanto attiene alla dimostrazione della certezza e della dovutezza del saldo sulla base del titolo esecutivo notarile non emergeva in alcun modo dal saldo e detta posizione era, d’altro canto, di vanto di un credito non direttamente emergente dal titolo esecutivo, ma solo ipoteticamente giustificato da possibili comportamenti della Banca sulla base di esso (cioè della clausole) e, dunque, da fatti esterni rispetto al titolo stesso, detta posizione era priva di dimostrazione pur sommaria e, dunque, di fronte all’attività di contestazione svolta dal debitore riguardo alla debenza dell’intero saldo, lo scioglimento della situazione di incertezza, nell’economia della cognizione sommaria da svolgersi dal giudice dell’esecuzione, incombeva alla Banca, posto che spetta a chi vanta verso altri una posizione vantaggiosa dare dimostrazione dei fatti che la giustificano di fronte alla contestazione del soggetto contro il quale il vanto è rivolto. Tale è la posizione del creditore nell’esecuzione forzata ed anche del creditore procedente per tutto ciò che non risulta direttamente dal titolo esecutivo e si pretenda dovuto in forza di comportamenti giustificati dal titolo ma che non sono da esso risultanti e in esso rappresentati.
Incombeva alla Banca, dunque, dare dimostrazione pur sommaria della giustifica ione del saldo del conto corrente, perchè l’appostazione finale risultante dal saldo del conto corrente, se in astratto trovava giustificazione sulla base del titolo esecutivo rappresentato dall’atto notarile, non la rinveniva anche in concreto se non qualora fossero state rappresentate le operazioni eseguite dalla Banca stessa in quanto giustificate nella sua prospettazione dalle clausole contrattuali.
Del tutto erroneo allora risulta l’assunto – che il Tribunale nella sopra riportata motivazione fa proprio, riferendolo alla motivazione adottata dal giudice dell’esecuzione nell’ordinanza opposta e che avrebbe dovuto essere dallo stesso Tribunale reputato erroneo – che incombesse al debitore qui ricorrente produrre gli estratti di conto corrente relativi all’intera durata del rapporto perchè a suo tempo ne aveva disposto, perchè nessuna norma di legge nell’economia di un rapporto di conto corrente impone al debitore di conservare gli estratti di volta in volta inviati dall’istituto creditore quale condizione per poter sollevare contestazioni su ciò che in forza del rapporto di conto corrente esso pretende basate su invalidità di clausole del rapporto da cui origina il rapporto di conto corrente, che abbiano determinato appostazioni sul conto.
E’ principio consolidato, del resto, quello secondo cui: “Nei rapporti bancari in conto corrente, una volta che sia stata esclusa la validità, per mancanza dei requisiti di legge, della pattuizione di interessi ultralegali a carico del correntista, la rideterminazione del saldo del conto deve avvenire attraverso i relativi estratti a partire dalla data della sua apertura, così effettuandosi l’integrale ricostruzione del dare e dell’avere, con applicazione del tasso legale, sulla base di dati contabili certi in ordine alle operazioni ivi registrate, inutilizzabili, invece, rivelandosi, a tal fine, criteri presuntivi od approssimativi” (Cass. n. 21597 del 2013). Ed altrettanto consolidato è il principio secondo cui: “Nei rapporti bancari in conto corrente, una volta che sia stata esclusa la validità, per mancanza dei requisiti di legge, della pattuizione di interessi ultralegali a carico del correntista, la banca non può dimostrare l’entità del proprio credito mediante la produzione, ai sensi dell’art. 2710 c.c., dell’estratto notarile delle sue scritture contabili dalle quali risulti il mero saldo del conto, ma ha l’onere di produrre gli estratti a partire dall’apertura del conto. Nè la banca può sottrarsi all’assolvimento di tale onere invocando l’insussistenza dell’obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni, perchè non si può confondere l’onere di conservazione della documentazione contabile con quello di prova del proprio credito”. (Cass. n. 23974 del 2010; n. 1842 del 2011; n. 19696 del 2014; si veda pure Cass. n. 21466 del 2013).
L’errore in cui è incorso il Giudice dell’esecuzione e che ha, poi, avallato il Tribunale, in definitiva è stato quello di non considerare che, nel regime dell’art. 512 c.p.c., vigente (ma non diversamente in quello anteriore: si veda Cass. n. 12238 del 207 per la controversia insorta fra creditori) la cognizione sommaria in funzione degli accertamenti necessari da compiersi dal giudice dell’esecuzione è regolata, sul piano dell’onere probatorio, dal principio per cui chi solleva la contestazione della posizione di vantaggio altrui coinvolta nella distribuzione, se tale posizione, quanto a ciò che è oggetto di contestazione, non emerge da elementi certi risultanti da ciò su cui chi la rivendica la fonda per partecipare alla distribuzione, non è onerato di dare la prova negativa dell’insussistenza di quegli elementi. Viceversa, è chi rivendichi la posizione di vantaggio a dover dare dimostrazione di tali elementi nel procedimento cui allude lo stesso art. 512 c.p.c., con il riferimento agli accertamenti necessari.
p.4. Da quanto osservato consegue la cassazione con rinvio della sentenza impugnata in accoglimento del primo motivo.
Il secondo motivo resta assorbito, giusta quanto si è già sopra spiegato.
Il giudice di rinvio, che si designa nel Tribunale di Lucca, in persona di diverso magistrato addetto all’ufficio, giudicherà dell’opposizione contro l’ordinanza emessa dal giudice dell’esecuzione tenendo conto del principio di diritto sopra affermato e, quindi, provvederà a giudicare la controversia insorta fra le parti dando corso all’eventuale istruzione e considerando anche le questioni che erano state poste con il secondo motivo rimasto assorbito.
Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso. Dichiara assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Lucca, in persona di diverso magistrato addetto all’ufficio, anche per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 4 dicembre 2015.
Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2016

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