In relazione alle prescrizioni di cui all’art. 873 cod. civ. costituisce “costruzione” anche un manufatto che, seppure privo di pareti, realizzi una determinata volumetria, sicché – al fine di verificare l’osservanza o meno delle distanze legali – la misura deve esser effettuata assumendo come punto di riferimento la linea esterna della parete ideale posta a chiusura dello spazio esistente tra le strutture portanti più avanzate del manufatto stesso (nella specie, tettoia). Corte di Cassazione Sez. 2, Sentenza n. 5934 del 14/03/2011
Corte di Cassazione Sez. 2, Sentenza n. 5934 del 14/03/2011
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Giuseppe CORSO ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 41952/04 depositata in data 4.11.2004, con la quale, la Corte d’Appello di Venezia, decidendo in sede di rinvio, accertava l’avvenuta usucapione da parte di Flavio Po.. e Anna Spe.. del diritto di servitù di mantenere il manufatto di loro proprietà (una tettoia) ad una distanza inferiore a quella legale dall’edificio del loro vicino, Giuseppe Corso, condannando quest’ultimo alla restituito in integrum ex art. 2058 c.c., con la riedificazione, a sua cura e spese, di quanto illegittimamente abbattuto, autorizzando in difetto, la ricostruzione del manufatto a cura degli aventi titolo, ma a spese di esso Corso.
Occorre premettere brevemente che la presente vicenda giudiziaria inizia nel 1981, quando tra Flavio Po.. e Giuseppe Corso era sorta una controversia riguardante la regolare ubicazione della tettoia adibita a magazzino ed officina di proprietà del Po.., rispetto ai vicino immobile del Corso; tale questione che era stata definita con lodo arbitrale datato 13.8.81 in forza del quale era stato ingiunto al Po.. l’eliminazione di detta tettoia per ricostruirla eventualmente alla distanza consentita dalle norme urbanistiche rispetto all’abitazione del Corso. La tettoia veniva poi demolita in esecuzione del cennato lodo, mediante ufficiale giudiziario, all’esito della procedura ex art. 612 c.p.c.. I Po.. però ritenevano illegittima l’avvenuta demolizione del manufatto in quanto l’immobile apparteneva non solo a Flavio Po.. ma anche a Po.. Rinaldo e Spe.. Anna che erano rimasti estranei al giudizio arbitrale; inoltre la predetta tettoia era stata eretta nel 1952 per cui era già maturata l’usucapione; pertanto i Po..-Spe.., con atto notificato il 18.8.83, citavano in giudizio avanti al tribunale di Vicenza, Giuseppe Corso per sentirlo condannare alla ricostruzione della stessa tettoia e qualora ciò non fosse stato giuridicamente possibile, al risarcimento dei danni conseguenti oltre agli ulteriori danni per il mancato utilizzo del manufatto; infine con richiesta di accertamento che essi avevano usucapito il diritto a mantenerlo a distanza inferiore a quella legale.
L’adito tribunale di Vicenza prima con sentenza parziale e poi con sentenza definitiva del 27.11.91, si pronunciava sulle domande degli attori, condannava il Corso al risarcimento dei danni conseguenti alla demolizione del manufatto nei confronti del soli Po.. Rinaldo e Spe.. Anna essendo ad essi inopponibile il lodo arbitrale;
rigettava però tutte le domande formulate da Po.. Flavio contro lo stesso Corso.
Nei successivo giudizio d’impugnazione, la Corte d’Appello di Venezia con la decisione n. 1166/97 depos. in data 1.8.97, dichiarava inammissibile l’appello proposto dal Corso avverso la sentenza non definitiva de 21.6.86 ma accoglieva il gravame da lui avanzato con riguardo alla sentenza definitiva, e rigettava tutte le domande formulate contro lo stesso Corso, da Po.. Rinaldo, Flavio Po.. e Spe.. Anna.
Per la cassazione della predetta sentenza ricorrevano Flavio Po.. e Spe.. Anna sulla base di diverse censure; resisteva il Corso formulando impugnazione incidentale. La S.C., con sentenza n. 7660/01 del 19.1.2001, depos. il 6.6.2002, accoglieva per quanto di ragione il ricorso principale, dichiarando assorbito quello incidentale, e cassava la decisione impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Venezia.
La Corte di Cassazione riteneva fondata la censura relativa al vizio di motivazione, per avere la corte veneziana omesso di prendere in esame la domanda dei ricorrenti intesa ad ottenere l’accertamento dell’avvenuta usucapione del diritto di servitù in questione. La Corte d’Appello di Venezia, come si è detto, adita in sede di rinvio, accertava, l’avvenuta usucapione da parte dei ricorrenti del diritto di servitù di mantenere il loro manufatto ad una distanza inferiore a quella legale dall’edificio del Corso, che condannava al ripristino del situazione di fatto. Avverso la stessa decisione ricorre per cassazione il Corso sulla base di due censure; gli intimati resistono con controricorso ed hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione di norme di diritto (artt. 1158, 1167 e 1061 c.c.)- Assume che non è chiaro in base a quali elementi di fatto e di diritto la Corte d’Appello – che non ha provveduto all’istruzione della causa – abbia desunto l’esistenza della tettoia e l’ubicazione della stessa a distanza inferiore a quella legale per il tempo necessario all’usucapione della relativa servitù, esclusivamente dall’esistenza in loco nel 1952 di due pilastri, la cui presenza non significava che vi fosse anche una costruzione e che quest’ultima per una parte insistesse ad una distanza legale rispetto alla proprietà del vicino, la doglianza è inammissibile in punto violazione norme di diritto ed è infondata quanto all’implicita deduzione di un vizio di motivazione.
In realtà dette censure si risolvono in questioni di merito non deducibili in sede di legittimità, stante l’adeguata motivazione dei giudice immune da vizi logici e giuridici. Invero il giudicante ha ampiamente spiegato in modo del tutto plausibile ( v. pag. 12 e ss della sentenza) perché ha ritenuto l’esistenza sul confine di una costruzione poi demolita (in esecuzione del lodo arbitrale) e ciò non solo per la presenza in loco dei due pilastri, ma anche sulla base di altri elementi obiettivi di fatto e presuntivi (quali: la richiesta di licenza edilizia (poi effettivamente rilasciata, anche se non ritirata) presentata dal Po.. nel 1965 per la costruzione di una tettoia chiusa in laterizio al posto della vecchia tettoia in lamiera, sostenuta da colonne in cemento ed altra richiesta di concessione del 1980 avente ad oggetto la ristrutturazione della stessa tettoia, con tamponamento in muratura). Sostiene ancora l’esponente che era comunque illegittimo la statuizione del giudice del rinvio circa la ricostruzione della baracca in presenza della necessità per questa di un’autorizzazione amministrativa e dell’impossibilità del suo rifascio stante il contrasto dell’opera con la normativa urbanistica per quanto riguarda il regime delle distanze dalla confinante proprietà del vicino.
Anche tale doglianza è infondata.
La sentenza ha infatti ritenuta astrattamente possibile l’esecuzione dell’opera, per cui la censura attiene più propriamente alla fase esecutiva, in cui all’attuazione del diritto sarebbe impossibile per il mancato rilasciò della costruzione. Ha osservato in proposito questa Corte che … “in tema di esecuzione forzata degli obblighi di fare o non fare, il titolo esecutivo indica il risultato che deve essere raggiunto e l’ordinanza di cui all’art. 612 c.p.c. stabilisce le modalità di ottenimento del medesimo. Ne consegue che, qualora la realizzazione del risultato richieda il rilascio di autorizzazioni, concessioni o altri provvedimenti da parte della P.A., che si pongano come elementi strumentali al conseguimento del risultato indicato nel titolo, il giudice dell’esecuzione ha il potere di richiederli, collocandosi tale richiesta nella fase esecutiva dell’attuazione del diritto sostanziale riconosciuto con il titolo esecutivo, e solo nel caso, in cui, se richiesto, la P.A. non rilasci il provvedimento necessario, il diritto dell’esecutante si converte in quello ad essere risarcito del correlativo danno. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13071 del 05/06/2007). Nella fattispecie peraltro – come sottolineato dai controricorrenti – non sembrerebbe esclusa dalla normativa edilizia locale il rilascio di una siffatta concessione (peraltro sub iudice attesa la pendenza della causa avanti al giudice amministrativo).
Con il 2^ motivo l’esponente denuncia omessa, erronea e contraddittoria motivazione, si duole che la corte d’appello ha rigettato le proprie richieste istruttorie ( prove testimoniali) tese a dimostrare che nel 1952 non c’era alcuna costruzione. Il motivo non è autosufficiente perché non indica il tenore delle prove in questione, ma è in ogni caso infondato stante anche la specificità del giudizio di rinvio. Il giudizio di rinvio – come ha sottolineato questa S.C. sent. n. 8357 del 21/04/2005 – è un giudizio chiuso, nel quale, dovendo il giudice limitarsi a completare il sillogismo giudiziale applicando il “dictum” della Cassazione a un materiale di cognizione già completo, le parti sono obbligate a riproporre la controversia negli stessi termini e nello stesso stato d’istruzione anteriore alla sentenza cassata, senza possibilità di dedurre prove ed eccezioni nuove”.
L’esponente eccepisce ancora il vizio di motivazione sulla esistenza e valutazione degli elementi presuntivi dell’esistenza di pilastri e della presenza a distanza legale di una tettoia che avesse le caratteristiche di una costruzione.
La censura è infondata. A parte quanto si è osservato al riguardo con l’esame del precedente motivo, va qui ribadito che “… in relazione alle prescrizioni di cui all’art. 873 c.c. costituisce “costruzione” anche un manufatto che, seppure privo di pareti, realizzi una determinata volumetria, sicché – al fine di verificare l’osservanza o meno delle distanze legali – la misura deve esser effettuata assumendo come punto di riferimento la linea esterna della parete ideale posta a chiusura dello spazio esistente tra le strutture portanti più avanzate dei manufatto stesso. (Nella specie è stato ritenuto che, ai sensi dell’art. 873 cod. civ., integrasse gli estremi della costruzione la realizzazione di una tettoia” (Cass. n. 28784 del 29/12/2005).
Viene eccepita infine la carenza di motivazione anche in tema di continuità del possesso, in particolare con riferimento alla Spe.., in quanto usufruttuaria, che non aveva mai presentato domanda alcuna per ottenere la concessione edilizia. La censura è infondata per quanto riguarda la valutazione della prova in quanto la sentenza in esame – come si è più volte sottolineato – ha fatto corretto riferimento anche alla prova testimoniale oltre che ad elementi presuntivi, nei quali sottolinea la preesistenza della tettoia e della richiesta di mera tamponatura della parte coperta avanzata dal Po… Il giudice del rinvio ha puntualizzato in modo particolare che tutti gli attori in modo diverso hanno posseduto la tettoia e che “in ogni caso un semplice compossesso (esercitato solo animo dalla Spe..) era irrilevante nella posizione del Corso.”
In conclusione il ricorso è infondato e va rigettato. Le spese, per il principio della soccombenza, sono poste a carico dei ricorrente.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 2700,00, di cui Euro 2500,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2011.
Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2011
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