In relazione alla denuncia da parte di un condominio dell’abusiva occupazione da parte del costruttore di una porzione di area (in uso) condominiale mediante la costruzione di manufatto di proprietà esclusiva, sussiste la legittimazione dell’amministratore di condominio ad agire giudizialmente ai sensi degli artt. 1130, n. 4 e 1131 c.c., con azione per il ripristino dei luoghi e il risarcimento del danno, nei confronti dell’autore dell’opera denunciata e dell’acquirente di essa.

Cass. civ. Sez. II, 25/07/2011, n. 16230 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23581/2005 proposto da:

COND VIA (OMISSIS) IN PERSONA DEL LEGALE RAPPRESENTANTE AMMINISTRATORE PRO TEMPORE SIG.RA P.P. P.I. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G ANTONELLI 50, presso lo studio dell’avvocato GENNARO GIOVANNI CARLO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

EREDITA’ GIACENTE R.C. IN PERSONA DEL CURATORE AVV. S. C. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, C.NE CLODIA 29, presso il proprio studio rappresentata e difesa da se medesima;

F.M. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CASSIODORO 6, presso lo studio dell’avvocato MONACO MICHELE, che lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1073/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 09/03/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/03/2011 dal Consigliere Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

udito l’Avvocato Bitterman Edoardo con delega depositata in udienza dell’Avv. Monaco Michele difensore del resistente F.M. che si riporta agli atti e insiste sul rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Il Condominio di via (OMISSIS) agiva il 12 gennaio 1989 contro R.C., costruttore nel 1981 del fabbricato, lamentando che il convenuto non aveva ultimato alcune opere e che nel 1987 aveva realizzato un ampio magazzino al piano seminterrato, appropriandosi di un’area condominiale. Chiedeva il ripristino dello stato dei luoghi, l’eliminazione dei difetti e l’esecuzione delle opere non concluse o la condanna al pagamento del costo equivalente.

La domanda veniva respinta dal tribunale di Roma, dopo aver disposto integrazione del contraddittorio con F.M., acquirente del locale seminterrato e dopo che, il 13 febbraio 1957, si era costituita la eredità giacente di R.C., in persona del curatore.

La Corte d’appello della capitale, con sentenza del 9 marzo 2005, respingeva il gravame interposto dal condominio.

Rilevava: a) che l’amministratore di condominio era privo di mandato, non validamente attribuito con le ratifiche di cui a successive delibere assembleari; b) che non erano ammissibili domande nuove; c) che la domanda di risarcimento danni non era stata proposta; che ineccepibilmente in primo grado la domanda di ripristino dello stato dei luoghi era stata respinta nei confronti del R. per carenza di legittimazione passiva, non essendo egli proprietario del bene da demolire; d) che, del pari, l’ordine di demolizione non avrebbe potuto essere impartito all’acquirente, il quale non poteva essere condannato a ripristinare uno stato dei luoghi alterato a sua insaputa.

Quanto al secondo motivo di impugnazione, la Corte d’appello concludeva che si verteva in ipotesi di inadempienza contrattuale, che doveva essere fata valere dai singoli condomini e non dal Condominio. Aggiungeva che vi era totale difetto di prova dei vizi e delle carenze lamentati.

Il Condominio ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 20 settembre 2005, separatamente resistito con controricorso dall’eredità giacente di R.C. e dal F..

E’ stata depositata memoria di parte R..

Motivi della decisione

2) Per contestare che l’amministratore fosse privo di potere di rappresentanza, il condominio ricorrente denuncia, con il primo motivo, falsa applicazione dell’art. 1131 c.c. e con il quinto motivo “errata applicazione dell’art. 1667 c.c.”.

Sostiene in primo luogo che l’amministratore avesse agito a tutela delle parti condominiali e quindi nell’ambito delle proprie specifiche attribuzioni. In secondo luogo afferma che nell’assemblea del 26 giugno 1984 i condomini avevano dato specifico mandato e che nella successiva assemblea del 16 ottobre 2007 vi era stata conferma del mandato.

La tesi è infondata.

Le questioni poste con l’azione giudiziaria intrapresa dall’amministratore concernevano la costruzione di un locale seminterrato ritenuta illegittima da parte attrice, perchè avrebbe interessato abusivamente parti condominiali.

Occorre aver riguardo al combinato disposto degli artt. 1130 e 1131 c.c.. La prima norma, al punto 4 – che viene in rilievo con il ricorso – fa obbligo all’amministratore di: “compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio”.

Nei limiti di questa attribuzione, l’amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i terzi. Secondo l’interpretazione di questa Corte, il legislatore ha inteso riferirsi ai soli atti materiali (riparazioni di muri portanti, di tetti e lastrici) e giudiziali (azioni contro comportamenti illeciti posti in essere da terzi) necessari per la salvaguardia dell’integrità dell’immobile (Cass. 8233/07), cioè ad atti meramente conservativi.

Resta esclusa la possibilità di esperimento di azioni reali contro i singoli condomini o contro terzi dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità o al contenuto di diritti su cose e parti dell’edificio (Cass. 3044/09; 5147/03).

Orbene, dalla sentenza impugnata emerge che nel caso di specie la domanda di maggior rilievo riguardava la costruzione di un ampio locale magazzino, che aveva però comportato che il convenuto R. si era asseritamente impadronito di un’area condominiale. Il ricorso spiega che “la costruzione del tetto di copertura” del locale ricavato nel seminterrato tagliava parte del giardino sovrastante, che circonda il fabbricato, privando i condomini di una porzione di spazio condominiale.

Il controricorso R. nega che vi sia questione di semplice conservazione di diritti condominiali, ma la sentenza sembra aver considerato che è stata proposta un’azione di “ripristino dei luoghi”, sull’assunto che era condominiale l’area cortiva di cui il convenuto si era impossessato, avendo fatto sorgere in essa il tetto del seminterrato di nuova costruzione.

Se così è, il giudice di merito è incorso nel denunciato vizio di falsa applicazione di legge, avendo errato nel non sussumere la fattispecie nel disposto dell’art. 1130, n. 4. Il condominio ha infatti agito per difendere il mantenimento dell’integrità materiale dell’area a giardino, di pertinenza del fabbricato, area stravolta dalla nuova costruzione.

Per proporre tale azione, definita “di ripristino” e quindi non di accertamento dei diritti dominicali, non era necessario mandato di tutti i condomini, potendo l’amministratore agire ex art. 1130 c.c., n. 4, e art. 1131 c.c. (v da ultimo Sez Unite 18331/11).

La necessità di un nuovo esame sotto questo profilo comporta l’assorbimento del quinto motivo di ricorso, che dipende da quanto oggetto del primo.

Vi si contesta ancora una volta la carenza di poteri dell’amministratore, affermata in sentenza sul presupposto che sarebbe stata lamentata la esistenza di inadempienze contrattuali ricadenti sui singoli condomini. Il ricorso evidenzia in questo motivo che l’amministratore aveva invece agito a difesa dell’area condominiale di cui si è detto prima, chiedendo il risarcimento del danno arrecato dal convenuto “per avere costruito sopra un terreno non più in propria disponibilità”, in quanto posto a servizio della “progettata costruzione” e destinato a giardino.

3) Merita invece il rigetto la seconda censura, con la quale si lamenta errata applicazione dell’art. 345 c.p.c., per avere il giudice di merito ritenuto inammissibile, in quanto nuova, la domanda di risarcimento dei danni materiali e morali.

Il motivo di ricorso presenta profili di inammissibilità perchè privo di necessaria specificità, in quanto non consente di comprendere con chiarezza a cosa si riferisca, se cioè ai danni da alterazione del cortile condominiale o ai danni da mancata esecuzione delle opere private o condominiali.

Parte ricorrente sostiene: a) che la domanda era già stata proposta in citazione al punto 3; b) che non vi sarebbe stata mutatio libelli vietata, perchè la domanda di risarcimento danni costituirebbe soltanto un adeguamento del petitum, senza alcun mutamento dei fatti costitutivi.

La doglianza, pur esposta in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia un vizio in procedendo (art. 360 n. 4) e consente l’esame degli atti processuali. Dall’atto di citazione del 1988 si apprende che al punto 3) era stato chiesto il risarcimento dei danni “morali subiti dai condomini a causa di tali inadempienze”. Ciò comporta che era nuova e inammissibile, salva la accettazione del contraddittorio, che non è stata allegata, la domanda volta al risarcimento dei danni materiali.

L’asserito “adeguamento” della domanda non risulta nè dalle conclusioni assunte nell’atto di citazione di appello – il quale ha fatto rinvio alle conclusioni di citazione con la sola modifica attinente l’eredità giacente del sig. R. – nè dalla epigrafe della sentenza d’appello.

Ai danni materiali cui ora si riferisce il ricorso fa dunque cenno solo un inciso della sentenza di primo grado, evidentemente errato per sovrabbondanza, perchè si riferisce alle domande di citazione, le quali genericamente fanno riferimento, nel domandare il solo danno morale, alle inadempienze del costruttore.

4) Da accogliere è il terzo motivo di ricorso,che lamenta che la Corte d’appello abbia confermato la carenza di legittimazione passiva tanto dell’eredità giacente di Carlo RE, quanto del nuovo proprietario del manufatto oggetto di denuncia, sig. F.. La sentenza ha ritenuto che la domanda non poteva essere proposta contro R.C., perchè non più proprietario dei locali e quindi impossibilitato a procedere all’eventuale demolizione per il ripristino dei luoghi. Ha aggiunto che il compratore non poteva essere neppure destinatario dell’eventuale ordine di facere in quanto acquirente di buona fede, che non aveva contribuito ad eseguire le opere controverse.

Tali enunciati sono palesemente errati. Essi prendono verosimilmente le mosse dalla normativa in tema di violazione delle norme di edilizia (art. 872 c.c.), che concede al proprietario del fondo vicino, che dalla violazione della disciplina, lamenti un danno, oltre l’azione risarcitoria aquiliana di natura obbligatoria, quella ripristinatoria di natura reale. Quest’ultima azione, volta all’eliminazione fisica dell’abuso, deve essere proposta necessariamente nei confronti del proprietario della costruzione illegittima anche se materialmente realizzata da altri, potendo egli soltanto essere destinatario dell’ordine di demolizione che il ripristino delle distanze legali tende ad attuare (Cass. n. 13072/95). L’azione risarcitoria diretta, invece, alla tutela non del diritto dominicale fondiario, ma dell’integrità anche economica del suo oggetto, può essere esercitata anche nei confronti dell’autore materiale dell’edificazione illegittima, al fine di ottenere la condanna al ristoro del danno per gli effetti economicamente pregiudizievoli dell’illecito aquiliano (Cass. 5520/98).

Nel caso di domanda di rimessione in pristino di bene sottratto da un condomino al condominio, il proprietario autore di abusiva apprensione di cosa altrui è legittimato passivo rispetto all’azione di ripristino intrapresa dal soggetto leso. Non cessa di esserlo per il fatto di aver alienato il bene mediante la costruzione del quale ha perpetrato l’illecito, restando comunque legittimato rispetto alla connessa azione risarcitoria contro di lui intrapresa.

Si ricordi che nel caso di successione a titolo particolare tra vivi nel diritto controverso, la sentenza pronunciata contro l’alienante, anche ove la stessa sentenza contenga un comando di adeguare lo stato di fatto alla situazione giuridica accertata, attraverso la imposizione di obblighi di fare è efficace nei confronti dell’avente causa quale titolo esecutivo, nei limiti dell’accertamento in essa contenuto (Cass. 601/03).

Nella specie, l’avvenuta integrazione del contraddittorio disposta iussu iudicis sin dalla fase istruttoria del giudizio di primo grado ha opportunamente consentito di dirigere l’azione sia contro l’autore dell’asserito illecito, sia verso il futuro destinatario dell’obbligo di ripristino, entrambi da ritenere passivamente legittimati.

A quest’ultimo non giova, nei confronti dell’attore, titolare di un diritto pozione, la eventuale ignoranza dell’abusività della costruzione, potendosi solo dolere della eventuale evizione, nei confronti del suo dante causa.

5) Il quarto motivo, che al di là della non chiara rubrica (violazione art. 115 c.p.c., e art. 163, n. 5) lamenta un vizio di motivazione, concerne la asserita mancanza di prova con riguardo ai danni lamentati da parte ricorrente e che avrebbe dovuto condurre a quantificazione in via equitativa (ricorso pag. 15). Il motivo difetta di specificità e precisione, perchè allude a risultanze della ctu quanto ai “vizi lamentati”, ma poi si sofferma soprattutto su profili riguardanti la costruzione dell’opera, abusiva (il termine va inteso ovviamente non con riguardo ai profili amministrativi, qui privi di rilievo, ma a quelli privatistici di lesione dei diritti condominiali), con riferimento alla quale si è qui ritenuto sussistere la legittimazione dell’amministratore ad agire in rappresentanza del condominio.

Per questo aspetto e con riguardo al danno morale, ove configurabile in relazione a tale lesione, la censura può essere accolta, non avendo i giudici di merito adeguatamente considerato le risultanze peritali descrittive dell’opera controversa, ai fini di verificare la sussistenza del possibile pregiudizio discendente dall’esecuzione di un manufatto nell’area cortiva di uso condominiale.

La sentenza impugnata va pertanto cassata e la cognizione rimessa ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che, provvederà a nuovo esame attenendosi al seguenti principii; di diritto: in relazione alla denuncia (a parte di un condominio dell’abusiva occupazione da parte del costruttore di una porzione di area (in uso) condominiale mediante la costruzione di manufatto di proprietà esclusiva, sussiste la legittimazione dell’amministratore di condominio ad agire giudizialmente ai sensi dell’art. 1130 c.c., n. 4, e art. 1131 c.c., con azione per il ripristino dei luoghi e il risarcimento del danno, nei confronti dell’autore dell’opera denunciata e dell’acquirente di essa.

Il giudice di merito in sede di rinvio liquiderà anche le spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo, terzo e quarto motivo di ricorso, assorbito il quinto. Rigetta il secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che provvederà anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

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