L’art. 15, ultimo comma, della legge fallimentare prevede espressamente che il superamento dell’ammontare minimo dei debiti scaduti e non pagati al quale è subordinata la dichiarazione di fallimento deve risultare dagli atti dell’istruttoria prefallimentare, in tal modo escludendo la possibilità di avvalersi di accertamenti successivi effettuati in sede di verifica dello stato passivo. Tale interpretazione, imposta dal tenore letterale della norma, trova conferma nella relazione ministeriale al D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, la quale evidenzia la funzione deflattiva della norma in esame, volta ad evitare l’apertura di procedure fallimentari nei casi in cui si possa ragionevolmente presumere che i costi delle stesse superino i ricavi distribuibili ai creditori. La relazione sottolinea inoltre come la norma in questione eviti d’interferire con il profilo dell’accertamento dello stato d’insolvenza, quale presupposto oggettivo del fallimento, con ciò intendendo affermare che la sussistenza di una situazione debitoria inferiore ai trentamila euro sfugge ad ogni ulteriore verifica in sede fallimentare, anche in rapporto allo stato d’insolvenza riscontrabile in sede di accertamento dello stato passivo, dovendo essere valutata esclusivamente in sede prefallimentare, ai fini della dichiarazione o meno del fallimento.

Cass. civ. Sez. VI – 1 Ordinanza, 21/12/2017, n. 30680

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –
Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) s.r.l., in persona del l.r.p.t., rapp. e dif. dall’avv. Giovanni Bosco e dall’avv. Flavio Crociano, elett. dom. presso lo studio di questi, in Roma, via del Banco di Santo Spirito, n. 42, come da procura in calce all’atto;
– ricorrente –
contro
Fallimento (OMISSIS) s.r.l., in persona del curatore fall. p.t. G.C.;
– intimati –
per la cassazione della sentenza App. Milano 25.10.2016, n. 3954/2016, in R.G. 2945/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 7 novembre 2017 dal Consigliere relatore dott. Massimo Ferro;
il Collegio autorizza la redazione del provvedimento in forma semplificata, giusta decreto 14 settembre 2016, n.136/2016 del Primo Presidente.
Svolgimento del processo
Rilevato che:
1. (OMISSIS) s.r.l. impugna la sentenza App. Milano 25.10.2016, n. 3954/2016, in R.G. 2945/2015, con cui è stato rigettato il suo reclamo proposto avverso la sentenza Trib. Milano 13.6.2016, n. 472/16, di declaratoria di fallimento reso su originaria istanza di G.C.;
2. la corte di appello ha riconosciuto: a) la non sussistenza del limite di cui all’art. 15, u.c. L. Fall., ai fini della richiesta revoca, stante la sommatoria del credito residuo in capo alla creditrice istante, di quello vantato dal creditore pignorante (OMISSIS) s.p.a., delle somme dovute ad Equitalia e un altro creditore in esecuzione mobiliare, con le somme per obbligazioni scadute emerse dalle insinuazioni al passivo e dalla stessa contabilità; b) il riscontro dell’insolvenza, per l’esposizione debitoria e il netto squilibrio patrimoniale;
3. con il ricorso, in due motivi la ricorrente contesta il requisito dei debiti scaduti per 30.000 Euro e la sussistenza dello stato d’insolvenza.
Motivi della decisione
Considerato che:
1. il primo motivo è fondato, con assorbimento della seconda doglianza, dovendosi applicare il principio, già espresso da Cass. 14596/2015, per cui “l’unica nozione rilevante ai fini del limite oggettivo alla fallibilità di cui all’art. 15, comma 9 L. Fall., da verificare d’ufficio, è che il requisito, quale emersione diretta e agevolmente riscontrabile dallo stato dell’istruttoria come evoluta – per il concorso dell’iniziativa di parte ovvero dei mezzi istruttori d’ufficio – fino al momento della decisione, coincida con l’ammontare di obbligazioni per le quali il pagamento sia dovuto, senza termini o condizioni, sia esso afferente ai crediti propriamente azionati con il ricorso che a quelli comunque accertati e già agli atti”;
2. si tratta di indirizzo che Cass. 14727/2016 ha potuto precisare, statuendo che “l’art. 15, u.c., L. Fall., prevede infatti espressamente che il superamento dell’ammontare minimo dei debiti scaduti e non pagati al quale è subordinata la dichiarazione di fallimento deve risultare dagli atti dell’istruttoria prefallimentare, in tal modo escludendo la possibilità di avvalersi di accertamenti successivi effettuati in sede di verifica dello stato passivo. Tale interpretazione, imposta dal tenore letterale della norma, trova conferma nella relazione ministeriale al D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, la quale evidenzia la funzione deflattiva della norma in esame, volta ad evitare l’apertura di procedure fallimentari nei casi in cui si possa ragionevolmente presumere che i costi delle stesse superino i ricavi distribuibili ai creditori. La relazione sottolinea inoltre come la norma in questione eviti d’interferire con il profilo dell’accertamento dello stato d’insolvenza, quale presupposto oggettivo del fallimento, con ciò intendendo affermare che la sussistenza di una situazione debitoria inferiore ai trentamila Euro sfugge ad ogni ulteriore verifica in sede fallimentare, anche in rapporto allo stato d’insolvenza riscontrabile in sede di accertamento dello stato passivo, dovendo essere valutata esclusivamente in sede prefallimentare, ai fini della dichiarazione o meno del fallimento”; nella vicenda, la stessa corte d’appello ha conteggiato una sommatoria dei crediti emersi davanti al giudice del procedimento di cui all’art. 15 L. Fall., non eccedente i 25.533,82 Euro, cui solo “altri crediti scaduti ed evidenziati dal curatore così come risultava dalle domande di insinuazione al passivo” hanno consentito, in aggiunta, di superare la citata soglia;
3. nè può dirsi che il riferimento alle risultanze delle schede contabili, per debiti di lavoro e per quanto inerente ad elemento preesistente alla dichiarazione di fallimento, avesse costituito circostanza trattata nell’istruttoria ed in essa emersa, trattandosi di accertamento invece e per di più correlato ancora alle “verifiche svolte dal curatore”, dunque in contraddizione con quel requisito di riscontro processualmente circoscritto secondo il seguito orientamento;
4. la sentenza impugnata va pertanto cassata, restando assorbito il secondo motivo d’impugnazione, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’Appello di Milano, che provvederà, in diversa composizione, anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Milano, che provvederà, in diversa composizione, anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 novembre 2017.
Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2017

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