La ricognizione del debito, al pari di qualsiasi altra manifestazione di volontà negoziale, può risultare anche da un comportamento tacito purché inequivoco, dovendo cioè trattarsi di un comportamento che nessuno terrebbe se non al fine di riconoscersi debitore. Dunque la volontà negoziale può ritenersi tacitamente manifestata quando il comportamento che esprime sia inequivoco ed incompatibile con una diversa volontà negoziale.
Cass. civ. Sez. III, 21/07/2016, n. 14993
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ARMANO Uliana – Presidente –
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 17086-2013 proposto da:
HDI ASSICURAZIONI SPA, (OMISSIS), in persona del suo procuratore speciale P.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSTANTINO MORIN 45, presso lo studio dell’avvocato MICHELE ARDITI DI CASTELVETERE, che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
S.M., (OMISSIS);
– intimato –
nonche’ da:
S.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, SALITA DI SAN NICOLA DA TOLENTINO 1/B, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO NASO, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso e ricorso incidentale;
– ricorrente incidentale –
contro
HDI ASSICURAZIONI SPA (OMISSIS);
– intimata –
avverso la sentenza n. 3201/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 14/06/2012, R.G.N. 896/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/02/2016 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;
udito l’Avvocato MICHELE ARDITI DI CASTELVETERE;
udito l’Avvocato DOMENICO NASO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento degli ultimi quattro motivi del ricorso principale, assorbiti gli altri;
inammissibilita’ dei primi tre motivi del ricorso incidentale, assorbito il quarto.
Svolgimento del processo
1. Nel 2001 la societa’ BNC Assicurazioni s.p.a. (che in seguito mutera’ ragione sociale in HDI Assicurazioni s.p.a.; d’ora innanzi, per brevita’, “la HDI”) convenne dinanzi al Tribunale di Roma S.M., esponendo che:
-) aveva stipulato con la “FASMEDICI – Fondo Assistenza Medici” (ente di cui non e’ precisata la natura giuridica) una assicurazione contro gli infortuni, a beneficio degli associati all’ente contraente;
-) tra i beneficiari di tale polizza vi era S.M.;
-) quest’ultimo, asserendo di essere rimasto vittima di un infortunio da sinistro stradale avvenuto il 19.12.1998, aveva domandato alla HDI il pagamento dell’indennizzo contrattualmente dovuto;
-) la pretesa del beneficiario era tuttavia infondata, sia perche’ al momento della stipula l’assicurato aveva falsamente dichiarato di non avere patito altri infortuni; sia perche’ l’assicurato aveva sottaciuto di avere stipulato altre polizze per il medesimo rischio.
Chiese pertanto l’accertamento dell’insussistenza del proprio obbligo indennitario nei confronti del convenuto.
2. Con sentenza 3.10.2005 n. 21360 il Tribunale di Roma accolse la domanda, sul presupposto che S.M., nel compilare il questionario sottopostogli al momento della “adesione” (sic) al contratto stipulato dalla FASMEDICI, dichiaro’ di non avere stipulato altre polizze a copertura del medesimo rischio. Il tribunale ritenne di conseguenza non dovuto l’indennizzo, ai sensi dell’art. 1910 c.c., comma 2.
3. La sentenza venne appellata dal soccombente.
La Corte d’appello di Roma accolse il gravame e dichiaro’ la sussistenza dell’obbligo indennitario a carico della HDI ed in favore di S.M..
La Corte d’appello fondo’ la propria decisione sul rilievo che la HDI tenne una condotta concludente, di per se’ indice della volonta’ di rinunciare a contestare l’omessa segnalazione dell’esistenza di altre polizze, ex art. 1910.
Tale condotta sarebbe consistita:
-) nel nominare un medico fiduciario per far visitare l’assicurato, dopo avere ricevuto la denuncia di sinistro;
-) nel fare sottoporre l’assicurato ad esami specialistici;
-) nel contestare solo molto tempo dopo avere ricevuto la denuncia di sinistro la decadenza dell’assicurato dal diritto all’indennizzo, a causa della sottaciuta esistenza di altre assicurazioni.
4. La sentenza d’appello e’ stata impugnata per cassazione dalla HDI, con ricorso fondato su sei motivi.
S.M. ha resistito con controricorso, e proposto ricorso incidentale fondato su quattro motivi.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Lamenta, in particolare, la violazione degli artt. 111 e 132 Cost.; artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c.; art. 1910 c.c..
Formula una tesi cosi’ riassumibile: l’art. 1910 c.c., comma 3, la’ dove sancisce il divieto per l’assicurato, nel caso di assicurazione plurima, di cumulare indennizzi complessivamente eccedenti l’ammontare del danno, e’ espressione del principio indennitario.
Il principio indennitario, e’ voluto dal legislatore allo scopo di evitare che l’assicurazione possa trasformarsi da contratto d’indennita’ in contratto lucrativo.
Da cio’ la ricorrente trae la conclusione che la suddetta norma e’ inderogabile; che l’assicuratore non potrebbe rinunciarvi, neppur se lo volesse; che la facolta’ dell’assicuratore di rifiutare il pagamento dell’indennizzo nell’ipotesi di cui all’art. 1910, comma 2, c.c., non e’ soggetta a termini di decadenza.
1.2. Nella parte in cui lamenta la violazione dell’art. 1910 c.c. e, con esso, del principio indennitario, il motivo e’ inammissibile per estraneita’ alla ratio decidendi della sentenza impugnata.
La Corte d’appello di Roma ha ritenuto la HDI obbligata al pagamento dell’indennizzo, assumendo che essa non potesse far valere l’eccezione di cui all’art. 1910 c.c., comma 2, per avervi rinunciato.
Rifiutare il pagamento dell’indennizzo, nel caso di reticenza dell’assicurato, e’ un’eccezione (sostanziale) che la legge accorda all’assicuratore: e come tutte le eccezioni in senso sostanziale, ad essa si puo’ rinunciare.
Prova ne sia che anche nella piu’ grave ipotesi di reticenze dell’assicurato concernenti lo stato del rischio (art. 1892 c.c.) la legge, fissando all’assicuratore un termine di decadenza di tre mesi per esercitare il recesso una volta che sia venuto a conoscenza del reale stato delle cose, di fatto gli lascia implicitamente la facolta’ di non sollevare l’eccezione, e lasciare in vita sia il contratto che il proprio obbligo indennitario.
Pertanto la Corte d’appello, nel ritenere che la HDI potesse rinunciare ad eccepire la reticenza dell’assicurato, non ha affatto violato l’art. 1910 c.c., comma 2.
Ben diversa questione e’ stabilire se l’assicurato, dopo avere gia’ percepito l’indennizzo da un primo assicuratore, possa pretendere da un secondo assicuratore un ulteriore indennizzo per il medesimo danno, quando l’entita’ di questo sia inferiore al cumulo dei due indennizzi.
Questa possibilita’ e’ esclusa dall’art. 1910 c.c., comma 3, e l’assicuratore che, anche volontariamente, pagasse un indennizzo all’assicurato che sia stato gia’ esaustivamente indennizzato da altra compagnia, pagherebbe l’indebito ed avrebbe diritto di ripeterlo.
Nel caso di specie, tuttavia, per quanto gia’ detto la Corte d’appello ha rigettato la domanda di accertamento negativo proposta dalla HDI senza affatto accertare se l’assicurato fosse stato o meno gia’ indennizzato da altri. Solo in questo caso, infatti, si sarebbe potuta invocare la violazione dell’art. 1910 c.c., comma 3. La Corte d’appello, al contrario, ha rigettato la domanda per il solo fatto di avere ritenuto sussistente una tacita rinuncia, da parte della HDI, alla facolta’ di far valere la reticenza dell’assicurato: rinuncia che, per quanto detto, non viola affatto il principio indennitario.
La reticenza dell’assicurato e il principio indennitario sono infatti rispettivamente – una circostanza di fatto ed una regula iuris, che non sono tra loro in alcun rapporto. La prima e’ circostanza rilevante nella descrizione del rischio e quindi sulla validita’ del contratto; il secondo e’ un aspetto della causa astratta del contratto di assicurazione, e lo distingue dalla scommessa. Dunque ben possono aversi contratti di assicurazione annullabili per reticenza dell’assicurato, senza che l’eventuale pagamento dell’indennizzo violi il principio indennitario; ed all’opposto casi in cui il pagamento dell’indennizzo ecceda il danno, e dunque violi il principio indennitario, senza che l’assicurato sia stato reticente.
L’errore della ricorrente e’ dunque quello di ritenere che, se l’assicuratore paghi l’indennizzo ad un assicurato reticente, sia per cio’ solo violato il principio indennitario: il che, per quanto appena detto, non e’.
1.3. Per la stessa ragione appena esposta, il primo motivo di ricorso e’ inammissibile nella parte in cui lamenta ulteriormente l’erroneita’ della sentenza, per avere ravvisato a carico della HDI una inesistente “decadenza” dal diritto di eccepire all’assicurato la sua reticenza circa l’esistenza di altre assicurazioni (p. 15-16 del ricorso).
Anche in questo caso l’inammissibilita’ discende dalla estraneita’ del motivo rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata: ed infatti la Corte d’appello non ha ravvisato alcuna decadenza a carico dell’assicurato.
La Corte d’appello ha richiamato il tempo trascorso tra la denuncia di sinistro e l’eccezione di rifiuto di pagamento dell’indennizzo da parte della HDI non per sostenere che l’assicuratore fosse decaduto dalla facolta’ di rifiutare il pagamento, ma solo come elemento indiziario che, unito agli altri indicati in motivazione, lasciava presumere ex art. 2727 c.c. una tacita volonta’ dell’assicuratore di dare esecuzione al contratto.
1.4. Il primo motivo di ricorso va dunque rigettato in applicazione del seguente principio di diritto:
Nel caso di assicurazione plurima contro i danni, quando l’assicurato sia stato reticente circa l’esistenza di altre polizze, e’ consentito all’assicuratore rinunciare ad avvalersi della facolta’ di rifiutare il pagamento dell’indennizzo accordatagli dall’art. 1910 c.c., comma 2, senza che tale rinuncia costituisca di per se’ violazione del principio indennitario, se non vi sia prova che l’assicurato abbia gia’ percepito altri indennizzi sufficienti a ristorarlo del danno subito.
2. Il secondo motivo del ricorso principale.
2.1. Col secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, (si lamenta, in particolare, la violazione degli artt. 111 e 132 Cost.; artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c.; art. 1910 c.c.); sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo applicabile ratione temporis, e quindi anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134).
Articola, al riguardo, un sillogismo cosi’ riassumibile:
(a) nel caso di assicurazione plurima, la circostanza che l’assicurato non abbia percepito indennizzi dagli altri assicuratori e’ “fatto costitutivo” del diritto all’indennizzo;
(b) essa va dunque provata dall’assicurato;
(c) nel caso di specie S.M. non aveva provato quella circostanza. Ergo, la Corte d’appello avrebbe violato gli artt. 1910 e 2697 c.c., nell’affermare l’obbligo indennitario della HDI senza che l’assicurato avesse provato di non avere incassato altri indennizzi.
2.2. Il motivo e’ inammissibile in tutti e due i profili in cui si articola, perche’ – come il precedente – non coglie il punto di diritto posto dalla Corte d’appello a fondamento della propria decisione.
Come gia’ accennato, la Corte d’appello ha ammesso in teoria la sussistenza d’una circostanza che avrebbe legittimato l’assicuratore a rifiutare il pagamento dell’indennizzo (l’esistenza di altre polizze, sottaciuta dall’assicurato); ma ha soggiunto che essa non poteva operare perche’ l’assicuratore vi aveva rinunciato.
Nell’economia della decisione, dunque, nessun rilievo ha avuto la circostanza (della quale infatti la sentenza impugnata non si occupa) che l’assicurato avesse o meno gia’ percepito altri indennizzi.
Il motivo in esame e’ dunque inammissibile, perche’ censura come erronea una statuizione che nella sentenza impugnata manca.
3. Il terzo motivo di ricorso.
3.1. Col terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (si lamenta, in particolare, la violazione degli artt. 111 e 132 Cost.; artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c.; 1910 c.c.); sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, (nel testo applicabile ratione temporis, e quindi anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134).
La ricorrente parte dal presupposto che la Corte d’appello abbia attribuito all’assicuratore un onere di contestazione delle reticenze dell’assicurato, a pena di decadenza. Sicche’, non avendo la HDI adempiuto tale onere, essa sarebbe decaduta dal diritto di rifiutare l’indennizzo, ai sensi dell’art. 1910 c.c., comma 2.
Lamenta, di conseguenza, che tale pronuncia sarebbe erronea, perche’ nessuna norma accolla all’assicuratore quell’onere.
3.2. Il motivo e’ manifestamente inammissibile.
Non tanto e non solo per l’inconferenza dei riferimenti normativi indicati (art. 111 Cost., artt. 113, 115 e 116 c.p.c.) rispetto alla censura concretamente prospettata; quanto – anche in questo caso – perche’ la ricorrente attribuisce alla sentenza impugnata statuizione che non contiene.
3.3. Le sentenze vanno interpretate non gia’ estrapolando singoli periodi ed esaminandoli in modo avulso dal contesto letterale nel quale erano inseriti; ma valutando complessivamente ed organicamente tutti i passaggi in cui si articolano.
Nel nostro caso (lo si e’ gia’ rilevato al 1.3 della presente sentenza) la Corte d’appello, dopo avere rilevato in facto che l’assicuratore aveva tardivamente contestato la reticenza all’assicurato, invitato l’assicurato a farsi visitare, partecipato alla procedura arbitrale, ne concluse in iure che la HDI avesse “con comportamento univoco e significativo (..) rinunciato a contestare l’omissiva volontaria indicazione” delle altre polizze da parte dell’assicurato (cosi’ la sentenza d’appello, pp. 5-6).
La Corte d’appello dunque non ha pronunciato nessuna decadenza a carico dell’assicuratore, ne’ ha affermato l’esistenza a suo carico di un onere di contestazione a pena di decadenza.
Ha, molto piu’ semplicemente, ritenuto che il ritardo col quale l’assicuratore contesto’ all’assicurato la sua reticenza, in una con altri elementi di fatto, dimostrava ex art. 2727 c.c. la tacita volonta’ di dare esecuzione al contratto. E questo e’ un accertamento di fatto, non una valutazione in diritto, e tanto meno viola di per se’ le norme processuali sulla valutazione delle prove.
4. Il quarto motivo di ricorso.
4.1. Col quarto motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c. (si lamenta, in particolare, la violazione degli artt. 111 e 132 Cost.; artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c.; art. 1910 c.c.); sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo applicabile ratione temporis, e quindi anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134).
Il motivo contiene due censure.
Con una prima censura si deduce che la Corte d’appello avrebbe motivato in modo illogico la propria decisione di ritenere rinunciata, per facta concludentia, l’eccezione di decadenza dall’indennizzo.
Con una seconda censura si deduce che la Corte d’appello avrebbe omesso di pronunciarsi sull’eccezione, sollevata dalla HDI, secondo cui l’indennizzo all’assicurato non era dovuto anche perche’ il sinistro non si era mai verificato.
4.2. Va premesso che la ricorrente, nell’epigrafe del motivo, lamenta formalmente “l’omesso esame d’un fatto decisivo”, come se al presente giudizio fosse applicabile il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5.
Cosi’ non e’, in quanto la sentenza d’appello e’ stata depositata il 14.6.2012, e dunque ben prima dell’entrata in vigore della modifica della suddetta norma, applicabile “alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”, ovvero dall’11 settembre 2012, giusta la previsione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 3, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134.
Questo errore tuttavia non nuoce alla ricorrente.
Nell’illustrazione del motivo, infatti, e’ chiaramente illustrato un tipico vizio di illogicita’ della motivazione (e non d’omesso esame d’un fatto decisivo), e dunque un vizio ancora denunciabile in sede di legittimita’, secondo le regole processuali applicabili ratione temporis.
Trovera’ dunque applicazione nel presente caso la regola, affermata da questa Corte a Sezioni Unite, secondo cui l’errore del ricorrente nell’intitolare il motivo di ricorso, ovvero nell’inquadrare la censura nell’uno piuttosto che nell’altro dei vizi elencati dall’art. 360 c.p.c., e’ privo di conseguenze quando l’illustrazione del motivo non consenta dubbi circa l’individuazione e la qualificazione del tipo di vizio denunciato (Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013).
4.3. Nel merito, il motivo e’ fondato nella parte in cui denuncia il vizio di illogica motivazione.
La Corte d’appello di Roma era stata investita da un appello col quinto motivo del quale l’appellante si doleva, per quanto qui ancora rileva, che il Tribunale avesse ritenuto non dovuta la prestazione dell’assicuratore, ai sensi dell’art. 1910 c.c., comma 2, nonostante l’assicuratore “non avesse sollevato eccezioni nell’immediatezza della denuncia di sinistro, ma solo in occasione dell’accertamento del quantum” (cosi’ la sentenza impugnata, p. 4).
Nell’esaminare tale motivo d’appello, la Corte d’appello ha dichiarato di ritenere rilevanti, ai fini del decidere, le seguenti circostanze di fatto:
(a) la HDI aveva invitato l’assicurato a farsi visitare da un medico legale di fiducia dell’assicuratore;
(b) quel medico legale aveva ritenuto necessario far sottoporre l’assicurato ad un esame diagnostico specialistico (TAC);
(c) le prove testimoniali raccolte avevano dimostrato che la HDI rifiuto’ di liquidare l’indennizzo, ritenendo non veridico l’avverarsi del sinistro (cosi’ la sentenza impugnata, p. 4-5).
Dopo avere premesso questi fatti, la Corte d’appello conclude in diritto affermando che la HDI, avendo “essa stessa avviato l’istruttoria presso il proprio medico di fiducia, nel corso del sic quale l’assicurato veniva sottoposto ad un accertamento specialistico quale l’esame TAC, e dunque accettato di dover corrispondere l’indennizzo”.
Soggiunge altresi’ la Corte d’appello che la HDI, avendo “proseguito nella istruttoria della pratica”, aveva per cio’ solo “coltivato la validita’ della polizza”.
La Corte d’appello conclude (p. 6, 3 capoverso) affermando che la HDI “con comportamento univoco e significativo aveva rinunciato a contestare l’omissiva volontaria indicazione” da parte dell’assicurato di avere stipulato altre polizze.
4.4. La motivazione appena riassunta presenta il vizio logico della aconsequenzialita’, ovvero dell’incoerenza tra premessa e conseguenza.
La Corte d’appello ha ritenuto che la condotta tenuta dalla HDI costituisse una tacita ricognizione di debito (accertamento, di per se’, d’un fatto, e come tale non sindacabile in questa sede).
La ricognizione di debito, come qualsiasi altra manifestazione di volonta’ negoziale, puo’ risultare anche da un comportamento tacito, ma questo deve essere inequivoco: deve essere, cioe’, un comportamento che nessuno terrebbe se non al fine di riconoscersi debitore, e che altro scopo non avrebbe se non quest’ultimo.
Tale principio e’ pacifico e risalente: a partire da Sez. 2, Sentenza n. 550 del 16/03/1962, Rv. 250857; in seguito nello stesso senso, ex multis, Sez. 2, Sentenza n. 1367 del 12/04/1977, Rv. 385083; Sez. 2, Sentenza n. 6591 del 08/11/1983, Rv. 431316; Sez. 1, Sez. 3, Sentenza n. 13169 del 04/10/2000, Rv. 540730; Sentenza n. 11749 del 18/05/2006, Rv. 589401; Sez. 1, Sentenza n. 6937 del 08/04/2004, Rv. 571979.
In tutte queste decisioni si afferma che la volonta’ negoziale puo’ ritenersi tacitamente manifestata quando il comportamento che la esprime sia:
a) inequivoco;
b) incompatibile con una diversa volonta’ negoziale.
In applicazione di questi principi si e’ ritenuto, ad esempio, che l’accettazione senza riserve della cessione del credito da parte del debitore ceduto non costituisce ricognizione tacita del debito (Sez. 3, Sentenza n. 3184 del 18/02/2016, Rv. 638945); come pure che l’invito rivolto dall’ufficio finanziario al contribuente a documentare la sua richiesta di rimborso non dimostri non comporti di per se’ la rinuncia a far valere la non spettanza del rimborso (Sez. 5, Sentenza n. 10342 del 01/07/2003, Rv. 564688).
4.5. Per potere, dunque, pervenire alla conclusione d’una tacita rinuncia della HDI ad avvalersi dell’eccezione di reticenza dell’assicurato, la Corte d’appello aveva l’onere di esporre in motivazione, a fondamento della propria decisione, le condotte dell’assicuratore che avessero i suddetti requisiti; ovvero – quanto meno – spiegare perche’ le condotte dell’assicuratore prese in esame ai fini del decidere dovessero ritenersi inequivoche e concludenti.
Questa spiegazione nella sentenza impugnata non c’e’.
Delle tre condotte dell’assicuratore, descritte dalla Corte d’appello quali premesse logiche delle proprie conclusioni (indicate supra, al 4.3), infatti: (a) la prima (l’assicuratore fece visitare l’assicurato da un medico legale), come piu’ volte affermato da questa Corte, non e’ univoca: scegliere di stimare il danno patito dall’assicurato, infatti, e’ un comportamento che puo’ trovare spiegazione con l’interesse dell’assicuratore di accertare il peso economico della pretesa dell’assicurato, al fine di comparare il contenuto economico della lite col costo di una eventuale controversia giudiziaria (come gia’ ritenuto da questa Corte: Sez. 1, Sentenza n. 4073 del 13/07/1979, Rv. 400571);
(b) la seconda circostanza (il medico legale incaricato di visitare l’assicurato gli chiese di sottoporsi ad una TAC), oltre ad essere un fatto privo di autonoma rilevanza (una volta scelto di visitare l’assicurato, la visita andava comunque portata a termine), e’ frutto comunque di una manifestazione di volonta’ del medico legale, e non dell’assicuratore;
(c) la terza circostanza (la HDI rifiuto’ l’indennizzo ritenendo truffaldina la richiesta) e’ manifestamente incompatibile con la volonta’ di riconoscere il proprio debito.
Vi e’, dunque, nella motivazione della sentenza impugnata una incoerenza logica tra l’affermazione della sussistenza d’una condotta concludente da parte dell’assicuratore, e l’indicazione delle condotte qualificate come concludenti: tali condotte infatti o non erano univoche (condotta “a”); o non erano imputabili all’assicuratore (condotta “b”); ovvero costituivano manifestazione d’una volonta’ contraria a quella di dare esecuzione al contratto (condotta “c”).
La sentenza andra’ dunque cassata sul punto, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, la quale tornera’ a motivare sul quinto motivo dell’appello, applicando la regola logica per cui la manifestazione tacita di volonta’ deve essere univoca, ed univoca non e’ la condotta dell’assicuratore contro i danni che, senza alcuna ammissione formale del proprio debito, si limiti a far visitare da un medico legale l’assicurato.
4.6. Resta assorbita la censura con la quale la HDI lamenta che la Corte d’appello avrebbe dovuto esaminare anche l’eccezione di decadenza dall’indennizzo per dichiarazioni false o reticenti, ex art. 1892 c.c..
5. Il quinto ed il sesto motivo di ricorso.
5.1. Il quinto e col sesto motivo di ricorso (coi quali si censura sotto altri profili l’accertata sussistenza d’una “condotta concludente” da parte della HDI) restano assorbiti dall’accoglimento del quarto motivo di ricorso.
6. Il ricorso incidentale.
6.1. Col proprio ricorso incidentale S.M. lamenta che la Corte d’appello non abbia provveduto su quattro dei suoi motivi d’appello, con cui lamentava rispettivamente:
– l’insussistenza del dolo da parte sua, allorche’ tacque circa l’esistenza di altre polizze;
– l’invalidita’ di taluni patti contrattuali;
– l’insussistenza di qualsiasi propria reticenza nella fase precontrattuale;
– l’erroneo rigetto della domanda riconvenzionale per lite temeraria.
Tutte queste questioni restano assorbite dall’accoglimento del ricorso principale.
7. Le spese.
Le spese del presente grado di giudizio saranno liquidate dal giudice del rinvio.
P.Q.M.
la Corte di cassazione, visto l’art. 380 c.p.c.:
(-) rigetta il primo, il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale;
(-) accoglie il quarto motivo del ricorso principale; dichiara assorbiti il quinto ed il sesto; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione;
(-) dichiara assorbito il ricorso incidentale;
(-) rimette al giudice di rinvio la liquidazione delle spese del giudizio di legittimita’.
Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 12 febbraio 2016.
Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2016
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