La dichiarazione di fallimento di una parte, avvenuta dopo la sua costituzione in giudizio, non determina l’automatica interruzione del processo, non esistendo in materia fallimentare alcuna disposizione che deroghi al principio stabilito dall’articolo 300 c.p.c., secondo il quale l’interruzione del processo in seguito alla perdita della capacità della parte costituita si verifica soltanto quando il procuratore della parte stessa dichiari in udienza o notifichi alle altre parti l’evento interruttivo. In difetto di tale dichiarazione o notificazione, la sentenza pronunciata nei confronti del fallito non è “inutiliter data” perché il terzo, che non è tenuto a partecipare alla procedura fallimentare, può avere interesse a coltivare il giudizio per ottenere una sentenza che non è radicalmente nulla, ma è soltanto inopponibile al fallimento e che può produrre i suoi effetti nei confronti del fallito che abbia riacquistato la sua capacità.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO REPUBBLICA ITALIANA TRIBUNALE DI POTENZA Il Tribunale di Potenza in persona del giudice monocratico dott.ssa Rossella Magarelli ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 842/2012 R.G. avente ad oggetto opposizione a decreto ingiuntivo e vertente FRA Pietrafesa s.r.l. in persona del rappresentante legale, rappresentato e difeso dall’avv. Emiliano Potenza in virtù di mandato a margine dell’atto di citazione e presso lo studio dello stesso domiciliato; – OPPONENTE – E Fallimento CO.GE.STRA. s.r.l. in persona del Curatore, rappresentato e difeso dall’avv. Vincenzo Scianandrone in virtù di mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta e di provvedimento autorizzativo del Giudice delegato del 29-1-2013 e domiciliato presso lo studio dell’avv. Enzo Sarli; – OPPOSTO – Conclusioni: come in atti.
Preliminarmente occorre dare atto che l’entrata in vigore, prima della instaurazione del presente giudizio, della legge n. 69 del 2009 (disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, nonché in materia di processo civile) esonera questo Giudice dal procedere alla concisa esposizione dello svolgimento del processo: infatti, l’articolo 132 c.p.c. nella nuova formulazione introdotta dall’articolo 45 diciassettesimo comma della legge n. 69 del 2009 – applicabile ai giudizi instaurati dopo l’entrata in vigore della stessa legge (4 Luglio 2009) per effetto della norma transitoria dettata dall’articolo 58 secondo comma della legge n. 69 del 2009 -, nel disciplinare il contenuto della sentenza, non contempla più al n. 4) la concisa esposizione dello svolgimento del processo, ma prevede semplicemente che nella redazione della sentenza il Giudice proceda alla concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.
Con atto di citazione notificato in data 17-4-2012 la società Pietrafesa s.r.l. agiva in giudizio nei confronti della società CO.GE.STRA. s.r.l., proponendo opposizione al decreto ingiuntivo n. 155/2012 emesso dal Tribunale di Potenza in data 2-3-2012, con il quale le era stato ingiunto il pagamento della somma complessiva di euro 96.339,76, oltre interessi al tasso legale dal 23-1-2012 fino al soddisfo, a titolo di corrispettivo dovuto in virtù di un contratto di subappalto.
In particolare, la società opponente allegava a fondamento dell’opposizione che:
– con contratto di appalto stipulato in data 27-2-2009 il Comune di Canosa di Puglia aveva commissionato alla società opponente diversi lavori;
– nel corso del suddetto rapporto contrattuale, la società opponente con contratto di subappalto stipulato in data 5-5-2009 aveva commissionato alla società CO.GE.STRA. s.r.l. la realizzazione della rete pluviale a servizio della zona 167 e l’adeguamento dei recapiti finali nel Comune di Canosa di Puglia;
– l’importo di cui le era stato ingiunto il pagamento non era dovuto, in quanto era stato interamente versato alla società subappaltatrice, come risultava dalla copia degli assegni emessi in suo favore;
– in ogni caso, l’articolo 4.3 del contratto di subappalto prevedeva che il subappaltatore, su semplice richiesta del subcommittente dovesse dare prova di avere correttamente e puntualmente adempiuto a tutte le obbligazioni, comprese quelle contributive, nei confronti del proprio personale impiegato in cantiere;
– con missiva del 19-7-2011, invece, la società CO.GE.STRA. s.r.l. aveva riconosciuto di essere debitrice degli Enti previdenziali e dei propri dipendenti;
– inoltre, alcuni lavoratori dipendenti della società subappaltatrice avevano agito nei confronti della società Pietrafesa s.r.l. davanti al Tribunale di Trani in funzione di Giudice del lavoro al fine di ottenere il pagamento delle retribuzioni non corrisposte dalla società subappaltatrice;
– in mancanza della prova della regolarità contributiva ad opera della società opposta, il Comune di Canosa di Puglia aveva rifiutato di erogare l’importo del SAL n. 6 in favore della società Pietrafesa s.r.l.;
– infine, l’articolo 6.2 del contratto di subappalto prevedeva che il pagamento delle fatture era condizionato all’incasso dei SAL e che il subappaltatore non poteva pretendere il pagamento senza aver fornito la prova dell’esatto adempimento degli obblighi retributivi e contributivi posti a suo carico dalle leggi sulle assicurazioni sociali obbligatorie;
– quindi, non essendosi verificate le condizioni contrattualmente previste, il credito vantato dal subappaltatore a titolo di corrispettivo maturato per i lavori svolti doveva ritenersi inesigibile.
Alla luce di tali premesse in fatto, la società opponente chiedeva che in via preliminare il decreto ingiuntivo opposto venisse revocato, che venisse accertato che nessuna somma era dovuta alla società CO.GE.STRA. s.r.l. oppure in via subordinata che, in accoglimento dell’eccezione di inadempimento, il decreto ingiuntivo venisse revocato e che in via riconvenzionale il creditore opposto venisse condannato al pagamento in suo favore della somma di euro 256.604,43, pari all’importo del SAL n. 6 non incassato, a titolo di risarcimento del danno.
In via preliminare rispetto all’esame dell’opposizione appare opportuno rilevare l’ammissibilità della domanda riconvenzionale proposta dalla società Pietrafesa s.r.l. nell’atto di opposizione, diretta ad ottenere la condanna del creditore opposto al risarcimento del danno.
Il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è un ordinario giudizio di cognizione che presenta una struttura particolare: in seguito alla pronuncia del decreto ingiuntivo il legislatore lascia all’ingiunto l’iniziativa di dare ulteriore impulso al processo per la contestazione dei fatti costitutivi della pretesa azionata (soltanto provvisoriamente riconosciuti sussistenti con il decreto) o per l’allegazione di fatti estintivi, modificativi oppure impeditivi della stessa pretesa (che non potevano essere conosciuti al momento della pronuncia del decreto, stante la previsione di un contraddittorio eventuale e differito).
Pertanto, nel giudizio di opposizione l’ingiunto, pur avendo la posizione processuale di attore, sostanzialmente è convenuto in giudizio, con la conseguenza che grava sul creditore – attore in senso sostanziale l’onere di fornire piena prova dei fatti costitutivi della sua pretesa, non essendo a tal fine sufficiente, in caso di contestazione della controparte, il materiale probatorio utilizzato nella fase a cognizione sommaria che si è conclusa con la pronuncia del decreto opposto, mentre il debitore – convenuto in senso sostanziale ha l’onere di provare i fatti estintivi, modificativi o impeditivi della pretesa attorea.
Tale particolare struttura del procedimento per decreto ingiuntivo, nel quale non si verifica alcuna inversione della posizione sostanziale delle parti, si riflette non soltanto sulla distribuzione dell’onere della prova, ma anche sulla possibilità della proposizione di domande riconvenzionali in senso tecnico, oltre che sulla possibilità della emendatio libelli e della introduzione da parte dell’opposto di domande accessorie, soltanto impropriamente definite domande riconvenzionali.
Mentre l’opponente, convenuto in senso sostanziale, può proporre domande riconvenzionali con l’atto di opposizione, l’opposto, in quanto attore in senso sostanziale, può semplicemente precisare oppure modificare la domanda ai sensi del quinto comma dell’articolo 183 c.p.c., ma non può operare una mutatio libelli proponendo una domanda diversa da quella fatta valere con il ricorso per decreto ingiuntivo, ad eccezione della domanda riconvenzionale che sia conseguenza di quella proposta dall’opponente (reconventio reconventionis) – Corte di cassazione n. 12922 del 1991.
Ne consegue che appare ammissibile, in quanto tempestivamente proposta, la domanda riconvenzionale avanzata nell’atto di opposizione dalla società Pietrafesa s.r.l. al fine di ottenere la condanna della società opposta al risarcimento del danno riconducibile all’inadempimento degli obblighi assunti nel contratto di subappalto.
Occorre, però, valutare la procedibilità della stessa domanda riconvenzionale, che è stata contestata dal creditore opposto.
Infatti, il Fallimento CO.GE.STRA. s.r.l., nei confronti del quale il processo è stato riassunto in seguito alla interruzione dichiarata all’esito della dichiarazione resa dal procuratore costituito, avente ad oggetto la intervenuta perdita della capacità processuale della società creditrice, ha eccepito l’improcedibilità della domanda, assumendo che l’intervenuto fallimento del convenuto in riconvenzionale avrebbe reso operativo il principio dell’attrazione al fallimento dell’accertamento di qualsiasi credito verso il soggetto fallito nelle forme della verifica dello stato passivo.
L’articolo 52 della legge n. 267 del 1942 stabilisce che il fallimento apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito. Ogni credito, anche se munito di diritto di prelazione, deve essere accertato secondo le norme stabilite dal capo V, salve diverse disposizioni di legge.
Il creditore del fallito, pertanto, ha l’onere di presentare la domanda di ammissione al passivo fallimentare al fine di far accertare il suo credito nell’ambito della procedura fallimentare e di concorrere alla distribuzione dell’attivo fallimentare.
Per quanto riguarda la possibilità per il creditore di far valere il suo diritto di credito nei confronti del fallito in sede ordinaria, la giurisprudenza più recente è concorde nel ritenere che nell’ipotesi in cui il giudizio instaurato nei confronti del fallito non sia stato interrotto per difetto di dichiarazione dell’evento interruttivo ad opera del procuratore del fallito, se lo stesso è costituito, oppure di notificazione ai sensi del quarto comma dell’articolo 300 c.p.c., la sentenza di condanna pronunciata in favore del creditore procedente non è nulla né inefficace, ma semplicemente inopponibile alla massa fallimentare e può produrre i suoi effetti nei confronti del fallito una volta che lo stesso sia ritornato in bonis, purchè ricorrano due condizioni: la sentenza deve avere ad oggetto un rapporto obbligatorio di cui gli organi fallimentari si siano disinteressati e il creditore procedente non ha agito anche nei confronti del fallimento e non ha presentato domanda di insinuazione al passivo (si vedano Corte di cassazione n. 6771 del 2002: la dichiarazione di fallimento di una parte, avvenuta dopo la sua costituzione in giudizio, non determina l’automatica interruzione del processo, non esistendo in materia fallimentare alcuna disposizione che deroghi al principio stabilito dall’articolo 300 c.p.c., secondo il quale l’interruzione del processo in seguito alla perdita della capacità della parte costituita si verifica soltanto quando il procuratore della parte stessa dichiari in udienza o notifichi alle altre parti l’evento interruttivo. In difetto di tale dichiarazione o notificazione, la sentenza pronunciata nei confronti del fallito non è “inutiliter data” perché il terzo, che non è tenuto a partecipare alla procedura fallimentare, può avere interesse a coltivare il giudizio per ottenere una sentenza che non è radicalmente nulla, ma è soltanto inopponibile al fallimento e che può produrre i suoi effetti nei confronti del fallito che abbia riacquistato la sua capacità e Corte di cassazione n. 3245 del 2003: la perdita della capacità processuale del fallito, dalla dichiarazione di fallimento alla chiusura della procedura, non è assoluta, ma relativa, onde è ancora possibile ottenere la condanna del fallito se, però, essa sia fondata su un rapporto di cui gli organi fallimentari si siano disinteressati e purchè il creditore procedente si sia mantenuto estraneo alla procedura concorsuale, optando esclusivamente per la tutela post-fallimentare).
Questo Giudice ritiene condivisibile questo orientamento giurisprudenziale che subordina la procedibilità dell’azione di condanna esercitata nei confronti del fallito in sede ordinaria alla estraneità del creditore alla procedura concorsuale, dal momento che nel caso di contemporanea presentazione della domanda di insinuazione al passivo fallimentare ad opera del creditore procedente, da un lato, lo stesso credito verrebbe accertato davanti al Giudice ordinario e davanti al Tribunale fallimentare, con il conseguente pericolo di un contrasto di giudicati, e, dall’altro, verrebbe meno l’interesse del creditore ad ottenere un accertamento del credito da far valere nei confronti del fallito dopo la chiusura della procedura, quando lo stesso sarà ritornato in bonis.
Infatti, la chiusura del fallimento non determina la liberazione del fallito dalle obbligazioni non soddisfatte nel corso della procedura concorsuale e, quindi, consente ai creditori di agire nei confronti del fallito ritornato in bonis per ottenere il pagamento dei crediti che, accertati nei confronti del fallimento, non abbiano trovato completa soddisfazione nel corso della procedura (si veda in tal senso Corte di cassazione n. 11718 del 1993).
E’ evidente, invece, che nel caso in cui l’evento interruttivo verificatosi nel corso del giudizio di cognizione instaurato dal creditore nei confronti del fallito abbia determinato l’arresto del processo e la sua prosecuzione, in seguito alla riassunzione, nei confronti degli organi fallimentari, la pronuncia di una sentenza di condanna è preclusa al Tribunale ordinario, rientrando nella competenza funzionale del Giudice delegato al fallimento la cognizione delle domande di condanna proposte nei confronti del fallito in attuazione della norma dettata dall’articolo 52 della legge n. 267 del 1942 (si vedano in tal senso Corte di cassazione n. 1511 del 2001 e Corte di cassazione n. 10692 del 2000: con riguardo all’opposizione a decreto ingiuntivo, il fallimento del creditore opposto, nei cui confronti sia stata proposta domanda riconvenzionale, non comporta l’improcedibilità del giudizio di opposizione e la rimessione dell’intera controversia al giudice fallimentare, dovendo il giudice dell’opposizione trattenere questa e su di essa decidere, e disporre la rimessione della domanda riconvenzionale dinanzi al Giudice delegato al fallimento, previa separazione dei due procedimenti).
Nel caso che ci occupa, dal momento che la società Pietrafesa s.r.l. ha proposto nei confronti della società CO.GE.STRA. s.r.l. ancora in bonis domanda di condanna al risarcimento del danno da inadempimento, nel corso del giudizio è intervenuta la dichiarazione di fallimento della società debitrice e, in seguito alla interruzione del processo, lo stesso è stato riassunto nei confronti del Fallimento CO.GE.STRA. s.r.l., nessuna pronuncia possa essere adottata in questa sede sul merito della domanda riconvenzionale proposta dalla società opponente, la quale deve essere dichiarata improcedibile in sede ordinaria ed eventualmente dovrà essere riproposta dalla società Pietrafesa s.r.l. con i tempi e le modalità della domanda di ammissione allo stato passivo secondo il procedimento concorsuale di accertamento e verificazione dello stato passivo.
Sempre in via preliminare rispetto all’esame del merito occorre rilevare che l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dalla società Pietrafesa s.r.l. ai sensi dell’articolo 645 c.p.c. contro il decreto ingiuntivo n. 155/2012 emesso dal Tribunale di Potenza in data 2-3-2012 risulta formulata nel rispetto del termine di cui all’articolo 641 c.p.c.
Infatti, l’atto di opposizione è stato notificato al procuratore del ricorrente in data 17-4-2012 e, quindi, nel rispetto del termine di quaranta giorni dalla notifica del decreto ingiuntivo, che dal timbro postale apposto sulla busta contenete la copia notificata del decreto ingiuntivo allegata al fascicolo di parte dell’opponente risulta eseguita in data 14-3-2012.
Pertanto, occorre rilevare la tempestività dell’opposizione e valutarne nel merito la fondatezza.
L’azione esercitata dalla società CO.GE.STRA. s.r.l. (alla quale nel corso del giudizio è subentrato il Fallimento CO.GE.STRA. s.r.l.) con il deposito del ricorso per decreto ingiuntivo è un’azione contrattuale finalizzata ad ottenere l’adempimento dell’obbligazione assunta dal subcommittente al momento della stipula del contratto di subappalto, avente ad oggetto il pagamento del saldo del corrispettivo ancora dovuto sul presupposto che i lavori subappaltati siano stati completati.
In base al principio consacrato nell’articolo 2697 c.c. onus probandi incumbit ei qui dicit non ei qui negat, l’attore che agisce in giudizio al fine di far valere la responsabilità contrattuale del convenuto e di ottenere l’adempimento dell’obbligazione dallo stesso contrattualmente assunta nei suoi confronti oppure il risarcimento del danno arrecatogli dall’inadempimento della controparte dell’obbligazione su di essa gravante ha l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto vantato e, quindi, deve dimostrare l’esistenza del contratto da cui deriva l’obbligazione dedotta in giudizio, l’adempimento della propria obbligazione che non abbia un termine di scadenza successivo a quella della controparte e che sia alla stessa sinallagmaticamente collegata e, nel caso in cui chieda il risarcimento del danno arrecatogli dal comportamento inadempiente dell’altro contraente, il danno subito e la sua riconducibilità sul piano causale al dedotto inadempimento: mentre l’onere della prova incombente al creditore secondo la regola dell’articolo 2697 c.c. è limitato al fatto costitutivo del diritto fatto valere, cioè all’esistenza di un obbligo che si assume inadempiuto, grava sul debitore l’onere di fornire la prova di avere adempiuto correttamente la propria obbligazione oppure di dimostrare la non imputabilità dell’inadempimento (si vedano in tal senso Corte di cassazione n. 2221 del 1984 e n. 8336 del 1990, secondo le quali l’onere della prova incombente al creditore secondo la regola dell’articolo 2697 c.c. è limitato al fatto costitutivo del diritto fatto valere, cioè all’esistenza di un obbligo che si assume inadempiuto, Corte di cassazione Sezioni Unite n. 13533 del 2001 e Corte di cassazione n. 3373 del 2010: in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno o per l’adempimento deve soltanto provare la fonte, negoziale o legale, del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento…. anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione della inesattezza dell’adempimento – per violazione dei doveri accessori, come quello di informazione, o per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza o per difformità quantitative o qualitative dei beni -, gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’esatto adempimento).
Mentre l’onere della prova incombente al creditore secondo la regola dell’articolo 2697 c.c. è limitato al fatto costitutivo del diritto fatto valere, cioè all’esistenza di un obbligo che si assume inadempiuto, grava sul debitore l’onere di fornire la prova di avere adempiuto correttamente la propria obbligazione oppure di dimostrare la non imputabilità dell’inadempimento (si vedano in tal senso Corte di cassazione n. 2221 del 1984 e n. 8336 del 1990 e, di recente, Corte di cassazione Sezioni Unite n. 13533 del 2001).
Nell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo la società Pietrafesa s.r.l. ha riconosciuto di avere commissionato alla società CO.GE.STRA. s.r.l. l’esecuzione dei lavori per il cui pagamento la stessa ha agito in giudizio, esonerando in tal modo la controparte dall’onere di fornire la prova della fonte negoziale dell’obbligazione dedotta in giudizio, ma ha allegato, da un lato, il fatto estintivo del credito azionato costituito dall’integrale pagamento del corrispettivo e, dall’altro, l’inadempimento dell’obbligazione contrattualmente assunta dal creditore opposto sotto il profilo della omessa prova della regolarità retributiva e contributiva, avvalendosi in tal modo dello strumento di autotutela disciplinato dall’articolo 1460 c.c., e ancora l’inesigibilità del credito azionato, deducendo che il pagamento del corrispettivo dovuto al subappaltatore era condizionato all’incasso del relativo stato di avanzamento dei lavori e che la regolarità retributiva e contributiva era prevista dall’articolo 6.2 del contratto di subappalto come condizione di esigibilità del credito vantato dal subappaltatore.
A tale ultimo proposito – a fronte della specifica contestazione sollevata sul punto dal subcommittente e in presenza della clausola contrattuale che effettivamente impone al subappaltatore di fornire la prova della regolarità retributiva e contributiva in relazione al personale impiegato nel cantiere (si veda l’articolo 4.3 del contratto di subappalto stipulato in data 5-5-2009 fra la società Pietrafesa s.r.l. e la società CO.GE.STRA. s.r.l., prodotto in giudizio dalla società opponente sub 1 e non disconosciuto dalla società opposta) – il creditore opposto avrebbe dovuto dimostrare di avere ottemperato all’onere posto a suo carico dal contratto, consegnando al subcommittente la documentazione attestante la regolarità retributiva e contributiva prima della proposizione della domanda giudiziale.
Invece, non soltanto la società creditrice non ha assolto all’onere della prova su di essa gravante in attuazione dei suesposti principi in tema di distribuzione dell’onus probandi in materia di responsabilità contrattuale, ma dalla documentazione prodotta in giudizio dalla società opponente è emersa la prova contraria, cioè la dimostrazione del difetto in capo al subappaltatore delle condizioni necessarie per attestare la richiesta regolarità retributiva e contributiva.
Infatti, la società opponente ha depositato una missiva datata 19-7-2011 a firma del procuratore della società opposta, cui è riconducibile efficacia indiziaria, con oggetto “realizzazione rete pluviale al servizio zona 167 e adeguamento recapiti finali in Canosa dio Puglia” in cui si dà atto di una consistente esposizione debitoria della società CO.GE.STRA. s.r.l. nei confronti degli Enti previdenziali proprio in relazione ai lavoratori impiegati nella realizzazione delle opere oggetto del contratto che ci occupa (si veda il documento allegato sub 4 nel fascicolo di parte opponente).
La società Pietrafesa s.r.l. ha prodotto, poi, un ricorso ex articolo 414 c.p.c. proposto davanti al Tribunale di Trani in funzione di Giudice del lavoro da alcuni dipendenti della società CO.GE.STRA s.r.l., i quali, allegando di avere lavorato nel cantiere relativo alle opere oggetto del contratto di subappalto stipulato dal loro datore di lavoro con la società Pietrafesa s.r.l., hanno agito in giudizio anche nei confronti della società subcommittente sulla base della prospettazione di una sua responsabilità solidale in relazione all’omesso pagamento delle retribuzioni maturate e non corrisposte (si veda il documento allegato sub 5 nel fascicolo di parte della società opponente).
Alla luce delle considerazioni che precedono occorre concludere che il creditore opposto non ha dimostrato di avere adempiuto all’obbligazione contrattualmente assunta di fornire al committente la prova del pagamento delle retribuzioni dovute ai propri dipendenti e dei contributi dovuti agli Enti previdenziali, come previsto dall’articolo 4.3 del contratto di subappalto stipulato fra le parti in data 5-5-2009.
Né il creditore opposto ha fornito la dimostrazione dell’esigibilità del credito, che era condizionata dall’articolo 6.2 dello stesso contratto di subappalto all’incasso del relativo SAL ad opera del subcommittente.
Occorre concludere, pertanto, che, da un lato, l’inesigibilità del credito azionato e, dall’altro, la fondatezza dell’exceptio inadimpleti contractus sollevata dalla società opponente ai sensi dell’articolo 1460 c.c. – che può essere incentrata anche sull’allegazione dell’inadempimento di un dovere accessorio rispetto all’obbligazione principale (si vedano in tal senso Corte di cassazione n. 13533 del 2001 e Corte di cassazione n. 3373 del 2010), integrano fatti impeditivi della pretesa creditoria idonei a paralizzare la domanda di adempimento proposta dal subappaltatore.
Ne consegue che, in accoglimento dell’opposizione proposta dalla società Pietrafesa s.r.l., il decreto ingiuntivo opposto deve essere revocato.
Quanto alla regolamentazione delle spese processuali, le stesse seguono il principio della soccombenza e, pertanto, devono essere poste a carico del creditore opposto e devono essere liquidate come in dispositivo – tenendo conto dell’attività effettivamente svolta (e, quindi, escludendo la fase istruttoria) e utilizzando come scaglione di riferimento quello compreso fra euro 52.001,00 ed euro 260.000,00 – sulla base delle Tariffe professionali approvate con Decreto ministeriale n. 55 del 2014 (pubblicato sulla Gazzetta ufficiale in data 2-4-2014 ed entrato in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione in virtù della norma dettata dall’articolo 29 dello stesso Decreto) e aggiornate con Decreto ministeriale n. 37 del 2018.
– dichiara l’improcedibilità della domanda riconvenzionale formulata dalla società Pietrafesa s.r.l.;
– accoglie l’opposizione a decreto ingiuntivo e, per l’effetto, revoca il decreto ingiuntivo n. 155/2012 emesso dal Tribunale di Potenza in data 2-3-2012;
– condanna il Fallimento CO.GE.STRA. s.r.l. al pagamento in favore della società Pietrafesa s.r.l. delle spese processuali, che liquida in complessivi euro 6.718,79, di cui euro 713,79 per esborsi ed euro 6.005,00 per compenso professionale, oltre spese generali al 15% e accessori come per legge.
Potenza, 29-11-2019.
Il Giudice
Dott.ssa Rossella Magarelli
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