Sulla cd. buona fede contrattuale si registrano voci per lo più concordi degli operatori del diritto, oltre qualche voce in disaccordo.
In positivo sul principio di buona fede si legga Cass., 30 luglio 2004, n. 14605:

«La buona fede nell’esecuzione del contratto si sostanzia in un generale obbligo di solidarietà (derivante soprattutto dall’art. 2 cost.) che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali, quanto dal dovere extracontrattuale del neminem laedere, trovando tale impegno solidaristico il suo limite precipuo unicamente nell’interesse proprio del soggetto, tenuto, pertanto, al compimento di tutti gli atti giuridici e/o materiali che si rendano necessari alla salvaguardia dell’interesse della controparte nella misura in cui essi non comportino un apprezzabile sacrificio a suo carico» (ex plurimis, idd., 20 febbraio 2004, n. 3370, 4 marzo 2003, n. 3185; per la giurisprudenza amministrativa, nel caso in cui la P.A. aggiudichi un contratto esimendosi poi dal sottoscriverlo per carenza di fondi, T.A.R. Lazio Roma, 7 luglio 2003, n. 5991; Cass., 1 aprile 2003, n. 4917, che attribuisce natura contrattuale al principio di buona fede in executivis.
Ancora, il tema del cd. «abuso del diritto» è stato accostato alla b.f.: cfr., ex multis, Cass., 21 febbraio 2003, n. 2642.
Compiendo un passo indietro nel tempo, leggasi la datata Cass., 15 novembre 1960, n. 3040, in Foro it., 1961, I, 256:
«in singoli casi ed in riferimento ai fondamentali precetti della buona fede (come regola di condotta) e della rispondenza dell’esercizio del diritto agli scopi etici e sociali per cui il diritto stesso viene riconosciuto e concesso dall’ordinamento giuridico positivo, l’uso anormale del diritto possa condurre il comportamento del singolo (nel caso concreto) fuori della sfera del diritto soggettivo medesimo e che quindi tale comportamento possa costituire un illecito, secondo le norme generali di diritto in materia». In dottrina, Salvi C., Abuso del diritto, in Enc. giur. Treccani, I, 1 ss., Roma, 1988).
Di recente, la teoria ha trovato riviviscenza in una fattispecie d’inadempimento in capo al gestore telefonico per mancato avviso al cliente di consumi anomali:
Cass., 29 maggio – 6 giugno 2006, n. 505 (Guida Dir., 2006, fasc. 43, 55 ss).:
«In tema di contratti di telefonia costituisce comportamento contrario a buona fede e correttezza l’attendere la fine del periodo di fatturazione per avvisare l’utente dell’andamento anomalo del rapporto sì da pretendere il pagamento dell’intera fattura. In sostanza, nel caso di traffico telefonico non rispondente a quello usualmente consumato dall’utente la Telecom deve inviare anticipatamente la bolletta telefonica, con gli effettivi consumi o in alternativa sospendere precauzionalmente il servizio, altrimenti può incorrere in responsabilità per inadempimento».

In negativo, secondo Cass., 15 marzo 2004, n. 5240, in Foro it., 2004, I, 1397 (negatrice della Verwirkung tedesca nel diritto italiano) non raggiunge la «soglia di guardia» del principio un ritardo nell’esercizio del diritto di credito, pur se ingenerante nel debitore un affidamento sull’inerzia in ordine al futuro mancato esercizio del medesimo, salvo che il comportamento si sostanzi in una rinunzia espressa.

Giorgio Vanacore
Avvocato in Napoli

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