L’autorizzazione del giudice delegato a promuovere azione giudiziale o a resistere all’altrui azione è da ritenere condizione di efficacia dell’attività processuale del curatore. Ciò detto, si verifica una sanatoria ex tunc nell’ipotesi in cui l’autorizzazione ad agire o a resistere sia data nel successivo giudizio di impugnazione.
Cass. civ. Sez. V, 12/02/2013, n. 3345
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ADAMO Mario – Presidente –
Dott. CHINDEMI Domenico – Consigliere –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –
Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso iscritto al n. 16535 del 2007 del ruolo generale, proposto da:
Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentato e difeso ape legis dall’AVVOCATURA DELLO STATO, presso gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, domicilia;
– ricorrente –
contro
I.M., titolare della ditta individuale CTA di I. M., rappresentato e difeso, giusta mandato in calce alla copia notificata del ricorso per cassazione, dagli avvocati BATTAGLIA FRANCO e Giovanni Ferreri, domiciliato presso lo studio del secondo in Roma, alla via Granisci, n. 54;
– ricorrente –
e contro
B.G.P., nella qualità di curatore del fallimento di I.M.;
– intimato –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione 35, depositata in data 18 aprile 2006, n. 35/35/06;
udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 12 dicembre 2012 dal consigliere Angelina Maria Perrino;
udito per l’Agenzia delle entrate l’avvocato dello Stato Pietro Garofoli;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto procuratore generale Dott. SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso o, in subordine, per l’accoglimento per quanto di ragione.
Svolgimento del processo
L’agenzia delle entrate accertò per l’anno 1998, con avviso notificato il 2 luglio 2003, ai fini IRPLF, IRAP ed Iva, un maggiore reddito imponibile, con un conseguente debito d’imposta, nei confronti di I.M., titolare dell’impresa individuale CTA di I.M., dichiarato fallito dal tribunale di Milano in data 3 aprile 2001.
L’avviso di accertamento era scaturito da un processo verbale di constatazione della guardia di finanza, concernente le risultanze delle movimentazioni bancarie rilevate sui conti correnti intestati a I., che avevano indotto l’amministrazione ad applicare la presunzione stabilita dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1, n. 2.
Sia I.M., sia il curatore del fallimento impugnarono l’avviso, deducendone la carenza di motivazione e lamentando l’assenza dei presupposti per l’operatività del suddetto art. 39, e la commissione tributaria provinciale accolse i ricorsi.
La commissione tributaria regionale, con la sentenza impugnata, ha respinto l’appello proposto dall’ufficio, affermando l’inapplicabilità della presunzione stabilita dall’art. 39 e, di contro, l’applicabilità del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74, comma 1, lett. d), e comma 2.
L’agenzia delle entrate ricorre per ottenere la cassazione della sentenza, affidando il ricorso a cinque motivi.
Resiste I.M. con controricorso, mentre il curatore del fallimento non spiega difese.
Motivi della decisione
1.- Col primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 75 c.p.c., comma 2, e art. 112 c.p.c., nonchè della L. Fall., artt. 42 e 43, deducendo che I.M., già fallito a momento della notifica dell’avviso di accertamento, era privo di legitimatio ad processum e formula il seguente quesito di diritto:
“dica la Suprema Corte se, ai sensi dell’art. 75 c.p.c., comma 2, e art. 112 c.p.c., e del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 42 e 53, (L. Fall.), sia ammissibile il ricorso proposto da un imprenditore individuale avverso un avviso di accertamento, ove il ricorrente, alla data di notifica della domanda, sia già stato dichiarato fallito da oltre due anni; in caso negativo, dica la Suprema Corte se il difetto di legitimatio ad processum dell’imprenditore fallito sia rilevabile d’ufficio dal giudice”.
1.1.- La questione, proposta dal’agenzia delle entrate per la prima volta nel corso della fase di legittimità, in ordine alla carenza di legitimatio ad processum di I.M., già fallito al momento della notifica dell’avviso di accertamento, non può essere affrontata, in quanto la mancata impugnazione sul punto della sentenza che ha accolto il ricorso proposto dal fallito comporta giudicato implicito sulla decisione in ordine alla legittimazione di questi (in termini, nel senso che la mancata impugnazione della sentenza che condanni la parte contumace, tallita nelle more del giudizio di primo grado, comporta giudicato implicito sulla decisione circa la procedibilità della domanda, vedi Cass. 31 ottobre 2011, n. 22624; più in generale, nel senso che la decisione sul merito consegue alla decisione, anche implicita, sulla questione pregiudiziale alla quale la parte interessata, in difetto d’impugnazione sul punto, aderisce o presta acquiescenza, in sostanza riconoscendone la fondatezza, vedi Cass., sez. un., 26 gennaio 2011, n. 1782).
Il motivo va in conseguenza respinto.
2.- Col secondo motivo, anch’esso proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 75 c.p.c., comma 2, e art. 112 c.p.c., nonchè della L. Fall., artt. 42 e 43, evidenziando che negli atti del giudizio non è rinvenibile l’autorizzazione rilasciata al curatore dal giudice delegato a promuovere il giudizio tributario dinanzi alla commissione tributaria provinciale, di guisa che anche il ricorso introduttivo del curatore è inammissibile per difetto di capacità processuale e formula il seguente quesito di diritto: “dica la Suprema Corte se, ai sensi dell’art. 75 c.p.c., comma 2, e art. 112 c.p.c., e del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 42 e 53, (L. Fall.), sia ammissibile il ricorso alla CTP proposto dal curatore del fallimento di un imprenditore individuale in assenza dell’autorizzazione del giudice delegato L. Fall., ex art. 25, n. 6; in caso negativo, dica la S.C. se il difetto di capacità processuale sia rilevabile d’ufficio dal giudice”.
2.1.- Il motivo è irrilevante ai fini del decidere e va in conseguenza respinto.
Esso è calibrato sull’assenza dell’autorizzazione ad agire rilasciata al curatore dal giudice delegato nella sola fase di primo grado del giudizio. Non è dato ricostruire dalla lettura dell’atto, nè, pervero. dalla sentenza, se il curatore si sia costituito anche nella fase d’appello e se in quella fase abbia prodotto l’autorizzazione ad agire.
Va dunque richiamato al riguardo l’orientamento di questa Corte secondo cui l’autorizzazione del giudice delegato a promuovere azione giudiziale o a resistere all’altrui azione è da ritenere condizione di efficacia dell’attività processuale del curatore, di guisa che si verifica una sanatoria ex tunc nell’ipotesi in cui l’autorizzazione ad agire o a resistere sia data nel successivo giudizio d’impugnazione (Cass. civ., 11 settembre 2007, n. 19087).
La mancanza di ogni deduzione in ordine agli accadimenti della fase d’appello rende irrilevante la censura esclusivamente incentrata sulla fase di primo grado.
3.- Col terzo motivo di ricorso, la ricorrente lamenta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in quanto la sentenza confonde il tema della valenza probatoria delle indagini bancarie svolte dalla guardia di finanza col tema dei presupposti per l’accertamento D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, non prende in esame le difese svolte dall’ufficio in ordine alla valenza probatoria dei dati bancari riferibili a I.M. e non illustra le ragioni per le quali afferma l’applicabilità del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74, comma 1, lett. d), e comma 2.
3.1.- Quanto alle censure concernenti la confusione del tema della valenza probatoria delle indagini bancarie con quello dei presupposti per l’accertamento D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, e l’omessa indicazione delle ragioni di applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74, comma 1, lett. d), e art. 2, il motivo, dietro lo schermo del vizio di motivazione, censura, in realtà, argomentazioni e statuizioni della sentenza. Al riguardo, giova rimarcare che questa stessa sezione ha stabilito che “il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere dedotto mediante esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali l’insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione, fornendo elementi in ordine ai carattere decisivo di tali fatti, che non devono attenere a mere questioni o punti” (Cass. civ., 29 luglio 2011, n. 16655).
3.2.- In ordine all’altra censura in cui si articola il motivo, dinanzi indicata, il motivo manca dell’esatta specificazione dei fatti controversi. Si consideri che la ricorrente non indica, neanche a ino1 di sintesi, quali siano le articolate difese da essa proposte, limitandosi a citare le pagine dell’atto di appello in cui esse sarebbero state dedotte: questa Colle., di contro, ha reiteratamente stabilito che il principio di autosufficienza trova la propria ragion d’essere nella necessità di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte (vedi, ex multis, Cass. 10 gennaio 202, n. 86).
4.- Col quarto e col quinto motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente, in quanto logicamente avvinti, la ricorrente censura:
– ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. (Ndr:
testo originale non comprensibile), art. 39, comma 1, lett. d), nonchè degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., per avere escluso la sussistenza dei presupposti necessari per procedere alla rettifica D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, formulando il seguente quesito di diritto: “dica la S.C. se, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, nn. 2 e 7, art. 39, comma 1, lett. d), artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., in tenia di accertamento delle imposte sui redditi, i dati raccolti dall’ufficio in sede di accesso ai conti correnti bancari del contribuente consentono, in virtù della presunzione contenuta nella detta normativa, di imputare gli elementi da essi risultanti direttamente a ricavi dell’attività di lavoro autonomo o di impresa svolta dal contribuente, salva la possibilità, per quest’ultimo, di provare che determinati accrediti non costituiscono proventi della detta attività” – quarto motivo;
– ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112, perchè la commissione tributaria regionale ha annullato l’avviso di accertamento, senza esaminare le doglianze proposte in via subordinata, volte ad ottenere un’autonoma rideterminazione dell’imponibile e formula il seguente quesito di diritto: “dica la S.C. se, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., sia nulla la sentenza della CTR che abbia annullato l’avviso di accertamento, senza pronunciarsi sulle censure svolte dall’ufficio in via subordinata ed intese ad ottenere, da parte della commissione d’appello, l’autonoma rideterminazione dell’imponibile” – quinto motivo.
4.1.- Secondo la sentenza impugnata, che sul punto richiama la sentenza di primo grado, della quale riporta in narrativa lo stralcio significativo in argomento, le risultanze dei movimenti bancari sui conti correnti intestati a I.M. non potevano fondare l’accertamento concernente il maggior reddito:
a.- perchè l’ufficio si era limitato ad esaminare i libri Iva e le dichiarazioni, e b.- perchè non aveva applicato le disposizioni contenute nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74, comma 1, lett. d), e comma 2.
4.2. – L’affermazione sub a.- è errata in. diritto, in quanto l’esercizio del potere dell’amministrazione di acquisire le risultanze delle movimentazioni bancarie dei conti correnti intestati al contribuente non postula attività prodromiche.
La disciplina dell’accertamento delle imposte sui redditi accorda all’amministrazione finanziaria la possibilità di avvalersi delle presunzioni, procedendo da un fatto noto e non controverso alla determinazione del fatto ignoto (Cass., ord. 26 novembre 2009, n. 24933). Nel caso in cui l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, si è aggiunto, è onere del contribuente, a carico del quale si determina una inversione dell’onere della prova, dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non siano riferibili ad operazioni imponibili, mentre l’onere probatorio dell’amministrazione è soddisfatto, per legge, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti (Cass. 26 febbraio 2009, n. 4589).
In particolare, è onere del contribuente dimostrare che i proventi desumibili dalla movimentazione bancaria non devono essere recuperati a tassazione o perchè egli ne ha già tenuto conto nelle dichiarazioni, o perchè non sono fiscalmente rilevanti in quanto riferiti ad operazioni non imponibili: il legislatore ha valutato come altamente probabile, secondo l’id quod plerumque accidit, che il contribuente si avvalga di tutti i conti di cui possa disporre per le rimesse ed i prelevamenti inerenti all’esercizio dell’attività (Cass. 30 novembre 201 1, n. 25502; Cass. 14 gennaio 2011, n. 767).
4.3.- L’affermazione sub b.-, poi, che implica l’inapplicabilità della presunzione in questione a causa della non imponibilità delle operazioni corrispondenti ai movimenti bancari per l’operatività del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74, comma 1, lett. d), e comma 2, si risolve in un’asserzione apodittica, in quanto non descrive la fattispecie e non da conto delle ragioni per le quali l’attività già svolta da I. corrisponda, in fatto, a quelle assoggettate alla norma in questione.
5. Il ricorso va in conseguenza accolto per questi profili; la sentenza va cassata, con rinvio, anche per le spese, ad altra sezione della commissione tributaria regionale della Lombardia, che procederà ad accettare la fisionomia dell’attività già svolta da lapicca, al fine di verificarne l’assoggettabilità al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74, comma 1, lett. d), e comma 2.
P.Q.M.
La Corte:
– rigetta il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso;
– accoglie il quarto ed il quinto motivo di ricorso;
– cassa sul punto la sentenza impugnata;
– rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della commissione tributaria regionale della Lombardia.
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