ordineIl rigetto della richiesta di iscrizione all’albo degli avvocati si configura come esercizio del potere-dovere del competente Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di verificare la sussistenza dei requisiti soggettivi richiesti per l’iscrizione de qua in base all’art. 17 del R.D.L. n. 1578 del 1933. Ciò detto, l’eventuale sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione forense per dodici mesi a seguito di una condanna penale riportata da un praticante avvocato, non preclude al competente Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di procedere alla verifica dei requisiti soggettivi del soggetto in ordine alla domanda di iscrizione all’albo degli avvocati e di negare la stessa iscrizione per difetto della condotta specchiatissima ed illibata a fronte della predetta condanna penale, senza che ciò violi il divieto del ne bis in idem, non costituendo il diniego di iscrizione una sanzione disciplinare.

Cass. civ. Sez. Unite, 01/12/2014, n. 25368  

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SANTACROCE Giorgio – Primo Presidente f.f. –

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente Sezione –

Dott. RORDORF Renato – Presidente Sezione –

Dott. DI AMATO Sergio – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11204/2014 proposto da:

C.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI NICOTERA 29, presso lo studio dell’avvocato ALICIA MEJIA FRITSCH, rappresentata e difesa dall’avvocato DELL’ORCO LEONARDO, per delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI PESCARA, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 8/2014 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, emessa il 26/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/10/2014 dal Consigliere Dott. VINCENZO MAZZACANE;

udito l’Avvocato Leonardo DELL’ORCO;

udito il P.M. in persona del Procuratore Generale Aggiunto Dott. CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per la riunione con il ricorso n. 11205/2014 e rigetto.

Svolgimento del processo

La dottoressa C.P. ricorreva avverso la delibera del 19-4-2012 del COA di Pescara con la quale era stata rigettata la sua richiesta di iscrizione all’albo degli avvocati per difetto della condotta specchiatissima ed illibata R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, ex art. 17, avendo essa riportato una condanna definitiva ad anni tre e mesi sei di reclusione per il reato di estorsione, chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato in quanto illegittimo.

Il CNF con sentenza del 26-10-2013 ha rigettato il ricorso.

Il CNF ha ritenuto anzitutto infondata la dedotta violazione dell’art. 31, comma 3, del menzionato R.D.L., ai sensi del quale il rigetto della domanda non può essere pronunciato se non dopo aver sentito il richiedente nelle sue giustificazioni; invero il COA di Pescara aveva rigettato la domanda dopo aver chiesto chiarimenti all’interessata “in ordine alla richiesta di iscrizione”, formula che indicava con nettezza l’oggetto della richiesta senza che fosse necessaria alcuna ulteriore specificazione; comunque, ove avesse avuto necessità di approfondire l’oggetto della richiesta, la C. avrebbe avuto l’onere di informarsi al riguardo, mentre si era sottratta ai chiarimenti; parimenti infondato era il secondo motivo di ricorso secondo cui la delibera impugnata avrebbe violato il divieto del “ne bis in idem” per avere in precedenza utilizzato il medesimo fatto a fini disciplinari, posto che il diniego di iscrizione all’albo degli avvocati per difetto della condotta specchiatissima ed illibata non costituiva sanzione disciplinare, e dunque non precludeva al COA una nuova ed ulteriore valutazione dei fatti giudicati in sede disciplinare ai fini dell’esame della domanda di (re)iscrizione all’albo R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, ex art. 17, n. 3; neppure meritava accoglimento il terzo motivo con il quale era stato dedotto che il COA aveva adottato in momenti diversi due pronunce contrastanti in presenza dei medesimi fatti, considerato che in occasione della iscrizione al registro dei praticanti il COA di Pescara, in assenza di una sentenza definitiva di condanna dell’istante, aveva correttamente ritenuto che la C. fosse all’epoca in possesso di tutti i requisiti per restare iscritta, ancorchè assoggettata obbligatoriamente a procedimento disciplinare, mentre al momento della richiesta di iscrizione all’albo degli avvocati era intervenuta la sentenza penale definitiva di cui, pertanto, doveva tenersi conto; infine il CNF ha ritenuto che, pur risalendo i fatti che avevano portato alla sentenza di condanna ad un periodo lontano nel tempo ed addirittura precedente al conseguimento della laurea in giurisprudenza, la gravità dell’illecito commesso induceva ad una valutazione negativa in ordine all’attitudine della ricorrente a svolgere la delicata funzione di cooperazione alla funzione giudiziaria propria dell’attività del difensore.

Per la cassazione di tale sentenza la C. ha proposto un ricorso affidato a due motivi; nessuno dei soggetti intimati ha svolto attività difensiva in questa sede.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente, deducendo violazione ed errata applicazione del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 31, comma 3, rileva che il COA di Pescara, essendosi limitato a convocare l’esponente per fornire imprecisati, generici “chiarimenti” in ordine alla domanda di iscrizione all’albo, aveva compresso e compromesso il proprio diritto di offrire chiarimenti utili ai fini della suddetta iscrizione; tanto premesso, la C. sostiene che il CNF, nell’affermare che la ricorrente avrebbe avuto l’onere di informarsi, qualora avesse avvertito la necessità di approfondire l’oggetto della richiesta, ed avrebbe potuto chiedere una nuova convocazione, non aveva chiarito quale fosse la norma che prevedeva tali evenienze, nè quella in virtù della quale le omissioni contestate al COA potessero ritenersi sanate, facendo ricadere sull’esponente gli oneri e gli obblighi previsti a carico di quest’ultimo dalla norma sopra menzionata.

La censura è infondata.

Premesso che la norma suddetta prescrive che il rigetto della domanda per l’iscrizione nell’albo degli avvocati “non può essere pronunziato se non dopo avere sentito il richiedente nelle sue giustificazioni”, non si ravvisa alcuna violazione o falsa applicazione di tale disposizione, posto che anzi la richiesta di chiarimenti rivolta da parte del COA di Pescara alla C. “in ordine alla richiesta di iscrizione” si configura come una puntuale e corretta osservanza della norma medesima, essendo diretta a sollecitare un contatto diretto con l’interessata, avendo il COA ritenuto opportuno ricevere delucidazioni sulla suddetta domanda di iscrizione all’albo degli avvocati; nè per altro verso è comprensibile il profilo di censura con il quale la ricorrente ha dedotto che la generica richiesta di chiarimenti da parte del COA avrebbe precluso all’esponente il diritto di fornire chiarimenti utili ai fini della propria iscrizione all’albo; al contrario proprio l’adesione alla richiesta di chiarimenti da parte del COA avrebbe consentito alla C. di illustrare personalmente la propria posizione riguardo alla domanda di iscrizione all’albo; pertanto le affermazioni al riguardo rese dal CNF si rivelano immuni dai rilievi svolti con il motivo in esame.

Con il secondo motivo la C., denunciando eccesso di potere, violazione ed errata applicazione del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 17 e ss., e contraddittorietà della motivazione, censura la sentenza impugnata per aver affermato che il COA di Pescara non aveva posto in essere un “bis in idem” in quanto il diniego di iscrizione all’albo degli avvocati per difetto del requisito della condotta specchiatissima ed illibata non costituiva illecito disciplinare.

La ricorrente premette che il 29-1-2011 il suddetto COA aveva contestato all’esponente il medesimo fatto, ovvero l’aver subito una condanna penale, ed aveva ritenuto che tale circostanza legittimava la proposizione dell’azione disciplinare nei confronti della C. e la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione forense per dodici mesi, senza peraltro disporre la cancellazione della ricorrente dal registro dei praticanti avvocati; orbene risultava incomprensibile come il medesimo fatto fosse stato ritenuto inidoneo a disporre la cancellazione della C. dal suddetto registro, ed invece fosse stato considerato idoneo a giustificare il diniego di iscrizione all’albo degli avvocati, considerato che il requisito della condotta specchiatissima ed illibata era richiesto sia per l’iscrizione nel registro dei praticanti avvocati sia per l’iscrizione nell’albo degli avvocati; ne consegue che, qualora il COA avesse ritenuto che la ricorrente non era più in possesso dei requisiti soggettivi, avrebbe dovuto procedere, nell’ambito del procedimento disciplinare, ad applicare la sanzione della cancellazione dal registro dei praticanti avvocati; pertanto, essendo già stata valutata in sede disciplinare la sussistenza dei requisiti soggettivi in capo alla ricorrente, non poteva procedersi ad una diversa valutazione in sede di richiesta di iscrizione all’albo degli avvocati in assenza di alcun fatto nuovo; nè risultava da alcun elemento in atti che l’iscrizione nel registro dei praticanti avvocati fosse stata decisa dal COA di Pescara in quanto il giudizio penale all’epoca non era stato ancora definito.

Il motivo è infondato.

Invero correttamente il CNF ha escluso che la delibera del COA di Pescara avesse violato il divieto del “ne bis in idem” per aver in precedenza utilizzato il medesimo fatto (ovvero una condanna in sede penale subita dalla C.) a fini disciplinari, posto che il rigetto della richiesta di iscrizione all’albo degli avvocati si configurava come esercizio del potere – dovere del COA di verificare la sussistenza dei requisiti soggettivi richiesti per l’iscrizione stessa dall’art. 17 R.D.L. 27-11-1933 n. 1578, con particolare riferimento, nella fattispecie, al requisito della “condotta specchiatissima ed illibata” prescritto dal n. 3 di detta norma; tale delibazione da parte del COA ai fini di valutare la ricorrenza dei predetti requisiti era quindi priva di alcuna natura disciplinare, considerato che le sanzioni disciplinari riguardano ai sensi del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 38, “abusi o mancanze” da parte degli avvocati “nell’esercizio della loro professione o comunque…fatti non conformi alla dignità e al decoro professionale”, e dunque presuppongono logicamente la pregressa iscrizione all’albo; pertanto il fatto che la suddetta condanna penale fosse stata già valutata dal COA al fine di irrogare alla C., quale iscritta all’albo dei praticanti avvocati, la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione forense per dodici mesi, non precludeva al COA, come ritenuto dalla sentenza impugnata, di procedere alla verifica dei requisiti soggettivi della C. all’atto dell’esame della domanda di iscrizione all’albo degli avvocati.

Il ricorso deve quindi essere rigettato; non occorre procedere ad alcuna statuizione riguardo alla spese di giudizio, non avendo le parti intimate svolto alcuna attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2014.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2014

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