L’art. 373, comma 1, c.p.c. prevede che il ricorso per Cassazione non sospenda l’esecuzione della sentenza benché, su stanza di parte, il Giudice che ha pronunciato la sentenza censurata può disporne, con ordinanza non impugnabile, la sospensione. È chiaro che tale istanza deve essere formulata al giudice che ha emesso la sentenza censurata con il ricorso per Cassazione. Orbene, non avendo disposto nulla l’art. 111 Cost. in riferimento al ricorso per Cassazione avverso le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, la predetta norma ex art. 373 c.p.c. è applicabile anche in caso di impugnazione davanti alle Sezioni unite della Suprema Corte delle predette sentenze dei giudici speciali ex art. 362 c.p.c. Ne consegue l’inammissibilità di un’istanza cautelare di tal genere nel ricorso per Cassazione.
Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 05-07-2013, n. 16884
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Primo Presidente f.f. –
Dott. RORDORF Renato – Presidente Sez. –
Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –
Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –
Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –
Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –
Dott. VIVALDI Roberta – rel. Consigliere –
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:sul ricorso 17979/2012 proposto da:
R.F.M., rappresentato e difeso da sè medesimo ed elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RE 272 TANCREDI 6, presso lo studio dell’avvocato PARISELLA MASSIMO;
– ricorrente –
contro
CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI VELLETRI, in persona del Presidente pro tempore, B.S., BE.ST., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA NIZZA 53, presso lo studio dell’avvocato PERNAZZA FEDERICO, rappresentati e difesi dall’avvocato MALINCONICO GIOVANNI, per deleghe a margine dei controricorsi;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 3654/2012 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 21/06/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/04/2013 dal Consigliere Dott. ROBERTA VIVALDI;
udito l’Avvocato R.F.M.;
udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo
L’avv. R.F.M. propose ricorso al TAR Lazio avverso il provvedimento di citazione in giudizio R.D. n. 37 del 1934, ex art. 48, (Norme integrative e di attuazione del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, sull’ordinamento della professione di avvocato), relativo al fascicolo disciplinare procc. 61/09 – 64/09 – 35/10 – 53/11 chiedendo, altresì, la condanna al risarcimento dei danni.
Il Tar, con sentenza in data 9.2.2012, dichiarò il proprio difetto di giurisdizione.
Ad eguale conclusione pervenne il Consiglio di Stato che, con sentenza del 21.6.2012, rigettò l’impugnazione proposta dall’avv. R..
Quest’ultimo ha proposto ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione affidato a cinque motivi illustrati da memoria.
Resistono con controricorso l’Ordine degli Avvocati di Velletri e gli avv. B.S. e Be.St..
Motivi della decisione
Preliminarmente, devono disattendersi i rilievi – contenuti nella memoria depositata dal ricorrente ex art. 378 c.p.c. – in relazione ai controricorsi presentati dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Velletri e dagli avvocati B.S. e B. S. in proprio. Le posizioni dei controricorrenti, in questo giudizio disciplinare, non paiono in contrasto fra di loro, nè in questa sede è profilabile un conflitto di interessi che escluda che le parti possano essere rappresentate dallo stesso difensore.
I rilievi che il ricorrente muove agli avv. B. e Be. non formano oggetto, nè incidono sul giudizio in corso, ma potranno essere oggetto di diverso giudizio, per eventuale responsabilità, nel quale una ipotesi di conflitto può acquistare evidenza.
Nè il fatto che il ricorrente li abbia citati “anche perchè litisconsorti per ipotesi di responsabilità a titolo personale (così a pag. 1 della memoria)”, allo stato può condurre a diversa conclusione, essendo le attuali parti resistenti portatrici – in questo giudizio – di un medesimo interesse.
Sotto questo profilo, deve ulteriormente sottolinearsi che, benchè il conflitto d’interessi possa essere, non solo attuale ma anche potenziale, tale potenzialità va intesa, non come astratta eventualità, bensì in stretta correlazione con il rapporto esistente in concreto tra le parti, i cui interessi risultino suscettibili di contrapposizione (Cass. Ord. 24.1.2011 n. 1550; Cass. 14.6.2005 n. 12741).
Ciò che nel giudizio in oggetto, per le ragioni dette, non ricorre.
Gli ulteriori, consequenziali rilievi formulati dal ricorrente nella memoria (pag. 2), pertanto, in ordine alla “nullità della costituzione in giudizio” non sono condivisibili, anche con riferimento al mandato sottoscritto dall’avv. M., che, quale Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Velletri, era l’organo abilitato al suo rilascio; con evidente sussistenza, quindi, dello ius postulandi da parte del difensore nominato.
Da ultimo, i successivi rilievi, che attengono a vizi relativi al giudizio svoltosi davanti agli organi giurisdizionali amministrativi, non possono formare oggetto di esame in questa sede.
Il ricorrente, con il ricorso per cassazione, ha proposto “contestuale istanza incidentale per inibitoria”.
L’istanza è inammissibile.
Si tratta, in sostanza, di una richiesta di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata emessa dal Consiglio di Stato, ed impugnata con il ricorso per cassazione (il ricorrente nelle sue conclusioni a pag. 39 del ricorso la definisce “inibitoria/sospensiva”).
A tal fine, va rilevato che la disposizione dell’art. 373 c.p.c., comma 1, prevede che il ricorso per Cassazione non sospende l’esecuzione della sentenza. Tuttavia il Giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può, su istanza di parte.. disporre con ordinanza non impugnabile che l’esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua cauzione.
La richiesta, quindi, deve essere formulata al giudice che ha emesso la sentenza impugnata con il ricorso per cassazione.
Peraltro, posto che la norma dell’art. 111 Cost., nulla prevede con riferimento al ricorso per cassazione avverso le decisioni del Consiglio di Stato – come nella specie – e della Corte dei Conti, è evidente che la disposizione dell’art. 373 c.p.c., deve ritenersi applicabile anche in caso di impugnazione, davanti alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, delle pronunzie dei giudici speciali, ai sensi dell’art. 362 c.p.c..
E’, quindi, inammissibile un’istanza cautelare contenuta nel ricorso per cassazione (S.U. 22.2.2007 n. 4112).
Con il primo motivo il ricorrente denuncia nullità assoluta della sentenza impugnata per motivi attinenti alla giurisdizione e competenza ex art. 111 Cost., art. 360 c.p.c., nn. 1 e 3 – violazione degli artt. 24-25 Cost. – violazione del diritto di difesa e tutela giurisdizionale dei diritti – di intangibilità del giudice naturale precostituito per legge (Tar Lazio).
Si sostiene l’erroneità della sentenza emessa dal Consiglio di Stato, in questa sede impugnata, che, nel confermare la sentenza del Tar, dichiarativa del difetto di giurisdizione, ha rigettato l’appello proposto dall’attuale ricorrente, riconoscendo che il giudice amministrativo non aveva alcuna giurisdizione in materia.
Il motivo non è fondato.
Il Tar, investito del ricorso contro il provvedimento di citazione in giudizio R.D. n. 37 del 1934, ex art. 48, (Norme integrative e di attuazione del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, sull’ordinamento della professione di avvocato) di avvio dell’azione disciplinare a carico dell’avv. R., ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizionale richiamando l’orientamento espresso dalla Corte di cassazione (S.U. 8.11.2010 n. 22624 e S.U. 15.12.2008 n. 29294), che riteneva impugnabile, davanti al Consiglio nazionale forense, l’atto di avvio del procedimento disciplinare da parte del locale Consiglio dell’Ordine.
L’avv. R. ha proposto appello al Consiglio di Stato, e quest’ultimo ha rigettato osservando che il mutamento di indirizzo espresso dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione con la sentenza richiamata dall’appellante – per il quale è stato ritenuto non impugnabile autonomamente davanti al Consiglio nazionale forense l’atto di apertura del procedimento disciplinare – non rende, per ciò solo, impugnabile quell’atto davanti al giudice amministrativo, posto che, per legge, la giurisdizione sulle decisioni disciplinari del Consiglio nazionale forense spetta alle Sezioni Unite della Corte di cassazione.
Diversamente, si avrebbe una violazione del giudice naturale precostituito per legge.
Il ricorrente, nel caso in esame, non ha impugnato l’atto di avvio del procedimento davanti al Consiglio nazionale forense, ma davanti al giudice amministrativo, il quale non ha declinato – come sembra sostenere il ricorrente (v. p. 20 ric.) – “non solo la propria competenza (e quella del TAR), ma addirittura negando la competenza di qualsivoglia giudice”, ma ha soltanto riconosciuto che, sulla materia, il giudice amministrativo non aveva giurisdizione; e ciò indipendentemente dall’impugnabilità o meno del provvedimento di apertura del procedimento disciplinare in ordine al quale, in ogni caso, il giudice provvisto di giurisdizione è il Consiglio nazionale forense.
La pronuncia richiamata dal ricorrente è S.U. 22.12.2011 n. 28335.
Con tale sentenza le Sezioni Unite – superando il precedente orientamento, peraltro di segno contrario rispetto alla precedente consolidata giurisprudenza delle Sezioni Unite in materia di autonoma impugnabilita dell’atto di avvio dell’azione disciplinare – hanno dichiarato la non autonoma impugnabilità dell’atto di apertura del procedimento disciplinare davanti al Consiglio nazionale forense. E ciò, per avere l’atto di apertura del procedimento il solo scopo di segnarne l’avvio, con l’indicazione dei capi di incolpazione;
chiarendo che, a diversa conclusione, neppure può giungersi alla luce dell’art. 111 Cost., poichè l’immediato intervento di un giudice terzo si traduce in un inevitabile aggravio dei tempi del procedimento amministrativo davanti al Consiglio dell’ordine territoriale, con lesione anche del principio di cui all’art. 97 Cost..
Ma il Consiglio di Stato ha affermato che tale pronuncia “non può condurre a conclusioni diverse in ordine alla giurisdizione”.
E, sotto questo profilo, il Consiglio di Stato ha precisato che “Dall’impossibilità di impugnare l’atto di incolpazione innanzi al Consiglio nazionale forense non deriva automaticamente la possibilità di impugnare i medesimi atti innanzi al giudice amministrativo. Nè l’impossibilità di impugnare atti di avvio di un procedimento, che può concludersi con un atto sanzionatorio, viola principi di rango costituzionale”.
Aggiungendo: “Al contrario, la facoltà di impugnare innanzi al giudice amministrativo l’atto di incolpazione (con possibile suo annullamento per ragioni sostanziali) si risolverebbe in un’inammissibile trasferimento di giurisdizione, atteso che, ai sensi dell’art. 56 del r.g.l. 27 novembre 1933, n. 1578, le decisioni del Consiglio nazionale forense possono essere impugnate solo innanzi alle sezioni unite della Corte di cassazione”. Per cui, nessun diniego di giurisdizione da parte di “qualsivoglia giudice”, ma soltanto l’affermazione della giurisdizione del Consiglio nazionale forense, quale giudice di seconda istanza, e delle Sezioni Unite della Corte di cassazione sull’impugnazione del provvedimento emesso da quest’ultimo organo della giurisdizione disciplinare.
Nella specie, il thema disputandum è incentrato sulla ricorribilità, davanti al giudice amministrativo, dell’atto di apertura del procedimento disciplinare.
Ora, il fatto che l’atto di apertura del procedimento disciplinare disposto dal Consiglio dell’ordine territoriale a carico di un avvocato non costituisca una decisione ai sensi dell’ordinamento professionale forense, bensì sia da qualificarsi come mero atto amministrativo, il quale non incide, in maniera definitiva, sul relativo status professionale, e non decide questioni pregiudiziali a garanzia del corretto svolgimento della procedura (così S.U. n. 28335 del 2011) – e come tale non è autonomamente impugnabile davanti al Consiglio nazionale forense -, non determina automaticamente la sua impugnabilità davanti al giudice amministrativo.
E ciò per due ordini di ragioni.
Il primo è che l’ammissibilità di un tale intervento del giudice amministrativo violerebbe il principio del giudice naturale precostituito per legge, con un’inammissibile doppia trasgressione dell’ordo processus: da un lato, quello che vuole impugnabile soltanto davanti al Consiglio Nazionale forense unicamente il provvedimento definitivo emesso dal Consiglio dell’Ordine locale, dall’altro, quello per cui le decisioni del Consiglio nazionale forense possono essere impugnate soltanto davanti alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 56 r.g.l. 27.11.1933 n. 1578.
La qualificazione di atto amministrativo dell’atto di avvio del procedimento disciplinare, peraltro, al di là dei rilievi evidenziati, non conforta la tesi della sua impugnabilità davanti al giudice amministrativo, anche per la sua natura di atto interno al procedimento (endoprocedimentale) amministrativo che si svolge davanti al Consiglio dell’Ordine locale, privo di una sua autonoma rilevanza esterna.
Rilevante è, invece, il provvedimento definitivo, nel quale confluisce al termine del procedimento disciplinare in sede locale;
provvedimento questo, impugnabile davanti all’Organo giurisdizionale provvisto di giurisdizione: il Consiglio Nazionale forense.
A questo punto, però, deve sottolinearsi e ribadirsi che è principio pacifico nella giurisprudenza della Corte di cassazione che i motivi inerenti alla giurisdizione – in relazione ai quali soltanto è ammesso, ai sensi dell’art. 111 Cost., u.c. e dell’art. 362 c.p.c., il sindacato della Corte di Cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato – vadano identificati, o nell’ipotesi in cui la sentenza del Consiglio di Stato abbia violato (in positivo o in negativo) l’ambito della giurisdizione in generale (come quando abbia esercitato la giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa oppure, al contrario, quando abbia negato la giurisdizione sull’erroneo presupposto che la domanda non potesse formare oggetto in modo assoluto di funzione giurisdizionale), o nell’ipotesi in cui abbia violato i cosiddetti limiti esterni della propria giurisdizione.
Ipotesi, questa, che ricorre quando il Consiglio di Stato abbia giudicato su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, oppure abbia negato la propria giurisdizione nell’erroneo convincimento che essa appartenga ad altro giudice, ovvero ancora quando, in materia attribuita alla propria giurisdizione limitatamente al solo sindacato della legittimità degli atti amministrativi, abbia compiuto un sindacato di merito (S.U. 23.11.2012 n. 20727; S.U. 14.9.2012 n. 15428; S.U. 21.6.2012 n. 10294; S.U. 12.4.2012 n. 5756; S.U. 25.7. 2011 n. 16165; S.U. 9.6.2011 n. 12539).
Nessuna di queste ipotesi ricorre nel caso in esame in cui, correttamente, il Consiglio di Stato ha declinato la propria giurisdizione, per appartenere la stessa, per legge, ad altro organo.
Conclusivamente, il primo motivo è rigettato.
Con il secondo motivo si denuncia nullità assoluta della sentenza impugnata per violazione di una norma di diritto art. 111 Cost., art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4, per violazione degli artt. 3, 24, 25 e 97 Cost..
Con il terzo motivo si denuncia violazione di una norma di diritto (artt. 83, 100 e 101 c.p.c.) ex art. 111 Cost., art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, in riferimento alla mancata – corretta valutazione della eccezione di nullità per difetto di legittimazione attiva della parte opponente e per nullità/inesistenza della delega e difetto dello “ius postulandi” in capo ai procuratori di parte opponente – violazione di una norma di diritto ex art. 111 Cost., art. 360 c.p.c.., nn. 4 e 5, per omessa valutazione di causa di pregiudizialità penale.
Con il quarto motivo si denuncia violazione di norma di legge ex art. 111 Cost., art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, per violazione/errata/omessa/ applicazione di una norma di diritto (LL. 1990/241 – 205/15) omessa pronuncia riguardo la richiesta di valutazione del diniego all’accesso agli atti del procedimento.
Con il quinto motivo si denuncia nullità della sentenza impugnata violazione di norma di legge ex art. 111 Cost., art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, per violazione /errata/omessa applicazione di una norma di diritto (R.D.L n. 1578 del 1933 – R.D. n. 37 del 1934).
Questi motivi riguardano questioni dedotte davanti al giudice amministrativo, in relazione a violazioni relative a quel giudizio, ma non attengono a violazioni di limiti esterni della giurisdizione amministrativa.
Come tali, non possono formare oggetto di censura e di esame da parte di queste Sezioni Unite, dovendo in ogni caso, considerarsi assorbiti dalle conclusioni raggiunte in ordine all’esame prioritario del primo motivo. Conclusivamente, il primo motivo di ricorso è rigettato; i successivi sono dichiarati assorbiti.
Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo, sono poste a carico del ricorrente.
P.Q.M.
La Corte, a sezioni unite, rigetta il primo motivo.
Dichiara assorbiti gli altri. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in complessivi Euro 3.800,00, di cui Euro 3.600,00 per compensi, oltre accessori.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 23 aprile 2013.
Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2013
Add Comment