È illegittima l’adozione, nell’accordo sindacale tra datore di lavoro ed organizzazioni sindacali concernente l’attuazione di licenziamento per riduzione del personale, dell’unico criterio di scelta consistente nella vicinanza al pensionamento, qualora lo stesso non consenta l’esauriente ed univoca selezione dei lavoratori destinatari del licenziamento, sì da poter essere applicato senza alcun margine di discrezionalità da parte del datore di lavoro.

Cass. civ. Sez. lavoro, 22/06/2012, n. 10424   

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19088-2010 proposto da:

B.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE CORTINA D’AMPEZZO 65, presso lo studio dell’avvocato STEFANO NOLA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato VIGILANTE MARIA PIA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

FIAT GROUP AUTOMOBILES S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 19, presso lo studio dell’avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 470/2 010 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 09/02/2010 R.G.N. 9007/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/04/2012 dal Consigliere Dott. SAVERIO TOFFOLI;

udito l’Avvocato NOLA STEFANO;

udito l’Avvocato SALIMBENI MARIA TERESA per delega RAFFAELE DE LUCA TAMAJO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
Il Tribunale di Napoli rigettava la domanda proposta da B. E. contro la Fiat Group Automobiles s.p.a. di impugnativa del licenziamento intimatogli il 25.5.2006 in riferimento a procedura per la riduzione del personale.

L’appello proposto dal lavoratore era rigettato dalla Corte d’appello di Napoli.

Il giudice di appello in primo luogo riteneva di dover disattendere la doglianza della parte appellante secondo la quale il Tribunale gli aveva addossato l’onere della prova relativamente al licenziamento, mentre a fronte della deduzione in ricorso della violazione di alcune delle procedure da cui è onerata l’azienda sarebbe stato onere di controparte quello di dimostrare la assoluta correttezza del suo operato e la legittimità del licenziamento, anche alla luce, del principio di rilevabilità di ufficio delle nullità. Al riguardo la Corte riteneva fondato l’orientamento giurisprudenziale sulla necessaria specificità ed immodificabilità da parte dell’attore dei vizi della procedura ex L. n. 223 del 1991 che si intendano far valere, in relazione sia ai principi che informano il rito del lavoro ed in particolare i caratteri della domanda giudiziale ex art. 414 c.p.c., sia alla necessità di coordinare il principio sulla rilevabilità d’ufficio della nullità del negozio giuridico in ogni stato e grado del giudizio con le regole del processo e segnatamente con il principio dispositivo e con quello della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato.

Riteneva anche la Corte di merito che il primo giudice, a fronte comunque della prospettazione attorca di determinati elementi a sostegno della domanda, non avrebbe potuto dichiarare la totale nullità del ricorso.

Con specifico riferimento alla comunicazione L. n. 223 del 1991, ex art. 4, comma 3, il giudice di appello, premesso che con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado si era dedotto solo che non vi era “neanche stata – nella comunicazione che avvia la relativa procedura – una benchè minima motivazione relativa alle ragioni per le quali la resistente era passata dalla CIG ordinaria alla mobilità senza ricorrere all’intervento della CIG straordinaria” e che la violazione della procedura era rilevabile, in particolare, “con riguardo alla precisazione dei motivi dell’eccedenza di lavoratori e alla verifica degli esuberi per ciascuna unità produttiva e per profili professionali”, rilevava che tali rilievi (esclusa la possibilità di considerare allegazioni successive) erano generici e comunque privi di pregio.

Al riguardo, dopo enunciazione di principi in materia di licenziamento per riduzione di personale, la Corte ricordava che la parte datoriale, nella comunicazione “de qua”, aveva indicato le ragioni giustificative con riferimento alla progressiva riorganizzazione e revisione dei processi di funzionamento di strutture nelle quali vi erano già lavoratori in CIG, nell’ambito di un piano di contenimento dei costi di struttura e funzionamento, indicando il numero dei lavoratori interessati per ciascuna unità e distinti a seconda della qualifica di “operai”, “intermedi”, “impiegati/quadri” e “dirigenti”. Tale comunicazione doveva ritenersi idonea, poichè in effetti il contraddittorio con le organizzazioni sindacali è stato introdotto prospettando alle stesse una situazione ben nota e congruamente valutabile e la circostanza stessa del raggiungimento di un accordo con le OO.SS. appariva indicativa della possibilità per le stesse di effettuare le necessarie valutazioni anche sotto il profilo dell’esame della praticabilità di soluzioni alternative. Ciò in applicazione del principio secondo cui il mancato corretto adempimento da parte del datore di lavoro dell’obbligo di comunicare alle organizzazioni sindacali le informazioni sugli elementi indicati dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, (così come integrato dal D.Lgs. n. 151 del 1997), causato dalla inesattezza o dalla incompletezza dei dati, incide sulla validità dell’accordo che sia stato ugualmente concluso tra impresa e organizzazioni sindacali a norma del comma 5 e segg., solo quando la carenza informativa, essendo rilevante ai fini di una compiuta, trasparente e consapevole consultazione sindacale, abbia potuto condizionare la conclusione dell’accordo.

La Corte d’appello riteneva infondate anche le doglianze dell’appellante relative all’omesso rilievo, da parte del Tribunale, della mancanza dell’imprescindibile nesso causale tra la procedura seguita dalla FIAT ed il licenziamento (doglianze sviluppate anche in riferimento alle circostanze che: il licenziamento era avvenuto senza fare ricorso alla cassa integrazione straordinaria; con accordo con le OO.SS. del 18.5.2006 si era dato atto “che si erano esaurite le ragioni di crisi e che si sarebbe ripresa la normale attività lavorativa”; era stato previsto un corso di riallocazione ed erano state poste in essere operazioni volte ad aumentare il numero del personale con mansioni di zone manager, corrispondenti a quelle del ricorrente, in presenza di positive performances aziendali). Infatti le doglianze dell’appellante solo genericamente e infondatamente investivano la correttezza procedurale del recesso, risolvendosi prevalentemente in un inammissibile tentativo di sindacare le scelte aziendali concordate con le OO.SS. In particolare, non era possibile assegnare rilevanza alle dedotte circostanze della assunzione di altri lavoratori, nemmeno provata, e comunque inidonee, anche in assenza di ulteriori elementi e della loro possibile riferibilità ad esigenze aziendali sopravvenute e diverse, ad incidere sulla procedura di mobilità conclusasi senza vizi specificamente dedotti e rilevabili nel giudizio. Infatti, il ridimensionamento dell’attività imprenditoriale che legittima il ricorso alla procedura di mobilità L. n. 223 del 1991, ex artt. 4 e 24 non può ritenersi escluso nè dalla prestazione di lavoro straordinario dei dipendenti rimasti in servizio, nè dal mero affidamento a terzi di operazioni o lavorazioni prima svolte direttamente in azienda, e neppure dalla circostanza di nuove assunzioni, ove non risulti la necessità di colmare vuoti di organico originati ingiustificatamente dal processo di ristrutturazione e ove non si sia in presenza di un ampliamento dell’attività economica dell’impresa non giustificata sulla base delle ragioni che hanno portato alla riduzione del personale.

Quanto al verbale del 18.5.2006 prodotto dal ricorrente, si trattava di presa d’atto della ripresa dell’attività solo del centro Vendite Dirette di Pomigliano d’Arco, della Sede commerciale di Napoli e della Fiat Purchasing Italia S.r.l. di Pomigliano d’Arco e comunque di documento successivo all’accordo del 28.3.2006 e che non ne mutava i termini. Peraltro, le controdeduzioni della FIAT in ordine alla utilizzazione del personale nelle mansioni e zone assegnate al ricorrente – secondo le quali vi era stata una mera riorganizzazione dell’area di operatività degli addetti e non un aumento degli stessi – non erano state specificamente e convincentemente contestate dal lavoratore, e neanche assumeva significativo rilievo la circostanza che il licenziamento fosse intervenuto allorquando il dipendente frequentava un corso di formazione, essendo incontestata la circostanza, dedotta dalla FIAT, dell’esistenza di un’ordinaria prassi in tal senso per i dipendenti che, come il ricorrente, provenivano da un periodo di sospensione dell’attività.

Riguardo ai criteri di scelta del personale su cui attuare la riduzione di personale, il giudice di appello riteneva non contestabile la correttezza del criterio di individuazione del personale eccedentario concordato dall’azienda con le OO.SS. Preliminarmente osservava al riguardo che, per giurisprudenza ormai consolidata e condivisa da questa Corte, era valutabile come legittimo e razionalmente adeguato il ricorso al criterio della prossimità al trattamento pensionistico, giustificato dal minor impatto sociale dell’operazione, tenuto presente anche che qualora, una volta adottato tale criterio, si verifichi il mantenimento in servizio di alcuni lavoratori prepensionabili, tale fatto non implica automaticamente la pretestuosità ed illegittimità del criterio di scelta concordato, ma occorre valutare che il margine di discrezionalità del datore di lavoro nella scelta dei lavoratori prepensionabili da licenziare non sia utilizzato a mero scopo discriminatorio in violazione dei principi di correttezza e buona fede. Nel caso di specie doveva tenersi presente che era incontestato quanto dedotto dalla FIAT in ordine alla circostanza che il B. era l’unico addetto dell’ente Brand Light Commercial Vehicle di Napoli che curava le vendite dei veicoli commerciali, ad essere in possesso dei requisiti per la collocazione in mobilità”; e che tale unità era tra quelle interessate dalle esigenze aziendali di riduzione del personale, mentre altri 4 addetti delle aree commerciali di Napoli, ma appartenenti ad enti differenti, pure interessati dalla saturabilità dei requisiti pensionistici, erano poi stati collocati in mobilità entro la data del 31.12.2006. Di conseguenza non appariva dubbia la corretta applicazione del criterio di scelta concordato con le OO.SS..

Quanto alle generiche doglianze riferite alla pretesa inadeguatezza del contenuto motivazionale del recesso, doveva rilevarsi che la comunicazione del recesso al lavoratore L. n. 223 del 1991, ex art. 4, comma 9 non è soggetta ad alcun particolare onere contenutistico, mentre con il ricorso introduttivo non erano state adeguatamente indicate come viziate le comunicazioni previste in favore di altri soggetti ivi indicate e che consentono al lavoratore di conoscere, anche se in via indiretta, le ragioni della collocazione in mobilità.

B.E. ricorre per cassazione con sei motivi. La società intimata resiste con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione
1.1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2967 c.c. e della L. n. 604 del 1966, art. 5, nonchè, insieme a vizi di motivazione, violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, e degli artt. 112 e 414 c.p.c..

Innanzitutto si lamenta contraddittorietà tra l’asserita genericità delle doglianze formulate nei confronti del licenziamento e l’esclusione della nullità del ricorso per violazione dell’art. 414 c.p.c..

Peraltro si deduce, in contrapposizione con i rilievi sul punto negativi o limitativi della sentenza, che la parte fin con il ricorso introduttivo del giudizio aveva specificamente e motivatamente dedotto il motivo di illegittimità del licenziamento consistente nella violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3. Al riguardo si richiamano le pagg. 11-13 del ricorso e in particolare la deduzione che l’accordo sindacale che determini l’individuazione dei lavoratori sulla base della sola anzianità contributiva non può supplire alla carenza che produca di fatto un’omissione nella procedura di cui all’art. 4 L. cit., in particolare con riferimento ai motivi dell’eccedenza di lavoratori e alla verifica degli esuberi per ciascuna unità produttiva e per profili professionali, e la deduzione che la stessa lettura degli allegati di cui all’accordo 28.3.2006 portava ad escludere la correttezza della individuazione dei lavoratori da porre in mobilità, essendo riscontrabile esclusivamente l’indicazione dei lavoratori in esubero, genericamente distinti tra operai e quadri/impiegati, senza alcuna altra indicazione (e a conferma si ricorda che la controparte già con la memoria di costituzione aveva replicato sul punto sostenendo la non esigenza di informazioni analitiche e dettagliate e la necessità di un’interpretazione non restrittiva delle indicazioni di legge e in particolare della richiesta indicazione dei profili professionali del personale esuberante).

Si deduce inoltre che il principio iura novit curia avrebbe richiesto l’esame da parte del giudice di merito della rilevanza degli aspetti fattuali richiamati alla sua attenzione.

Il mancato esame della lamentata violazione procedurale consistente nella mancata indicazione dei profili professionali dei lavoratori eccedentari nella comunicazione di avvio della procedura, è censurato anche sotto il profilo processuale della violazione dell’art. 112 c.p.c..

Dal punto di vista sostanziale si osserva anche che la carenza in questione della comunicazione d’avvio è in sè un fatto idoneo a fuorviare le scelte negoziali collettive e a incidere sul diritto del lavoratore, tanto che ne sono derivati non solo il licenziamento del ricorrente ma anche la assunzione di altri lavoratori sul medesimo posto già da lui occupato, anche perchè un licenziamento collettivo puramente numerico basato sull’anzianità contributiva apre certo alla possibilità e/o alla necessità di future nuove assunzioni per le carenze createsi per certi profili o livelli; oppure rende necessaria un’attuazione discrezionale e non trasparente del criteri di scelta. In termini più generali si insiste sulla necessità di una comunicazione iniziale rispettosa della prescrizioni di legge e completa, e specificamente si deduce che anche in caso di necessità di ridimensionare l’organico dell’intero complesso aziendale non può mancare l’indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti suddiviso tra i diversi profili professionali contemplati dalla classificazione del personale.

Si insiste anche sulla tesi che sarebbe stato onere del datore di lavoro provare la legittimità del licenziamento, ex art. 2967 c.c. e L. n. 604 del 1966, art. 5.

1.2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 233 del 1991, art. 4 con riferimento al punto del nesso causale tra la procedura di mobilità e il licenziamento del ricorrente.

Si censura la mancata verifica del punto in questione, osservandosi che l’onere della prova al riguardo incombeva al datore di lavoro e che l’addebito al lavoratore di genericità delle sue difese è ingiusto se si tiene presente la genericità dei motivi addotti dall’azienda a giustificazione della riduzione di personale, al riguardo evidenziandosi anche che proprio la mancata delimitazione dell’ambito produttivo interessato alla riorganizzazione e la non individuazione delle specifiche cause della riduzione di personale osta poi alla verifica del nesso causale tra esigenza riorganizzativa e ogni singolo licenziamento.

Si censura in particolare l’affermazione sulla mancata prova dell’assunzione di altri lavoratori per la posizione lavorativa ricoperta dal ricorrente, ricordando che sul punto era stata dedotta una prova orale non espletata e la mancata positiva valorizzazione degli elementi addotti indicativi della mancata esigenza di eliminazione della posizione lavorativa del ricorrente (mancata dichiarazione di cassa integrazione straordinaria; accordo del 18.5.2006 attestante l’esaurimento delle ragioni di crisi e la ripresa dell’attività lavorativa presso la sede commerciale di Napoli a cui era addetto il lavoratore; invio del ricorrente ad un corso per il reinserimento nell’attività lavorativa).

1.3. Il terzo motivo denuncia vizi di motivazione in relazione alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 5 e art. 11, e all’art. 112 c.p.c..

Su lamenta omessa motivazione in relazione al vizio relativo alla mancata indicazione da parte dell’azienda delle ragioni che impedivano la utilizzazione diversa del personale eccedente.

1.4. Il quarto motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla L. n. 223 del 1991, art. 4 e all’art. 112 c.p.c..

Si lamenta omessa motivazione riguardo al punto specifico della incidenza sanante dell’accordo sindacale del 28.3.2006 riguardo alla mancata indicazione nella comunicazione iniziale dell’azienda degli esuberi per ciascuna unità produttiva e soprattutto dei profili professionali dei singoli lavoratori in esubero. Ciò anche con particolare riferimento all’incidenza del licenziamento collettivo proprio sul sig. B. in qualità di Zone Manager. Si rileva e lamenta infatti la omessa valutazione della mancata indicazione dei profili professionali del personale eccedentario nel caso di individuazione quale unico criterio di scelta della prossimità alla fruibilità del trattamento pensionistico. Si deduce al riguardo che gli allegati all’accordo del 28.3.2006 contengono solo l’indicazione del numero dei lavoratori in esubero, genericamente distinti tra operai e quadri/impiegati, senza alcuna altra indicazione (si richiama a conferma la memoria di costituzione in appello, in cui si precisa che vi è solo l’ulteriore specificazione territoriale per province).

1.5. Il quinto motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9.

Si lamenta la violazione della norma richiamata per il fatto che la società resistente ha individuato i criteri di scelta in maniera eccessivamente generica e, comunque, non ha formato alcuna graduatoria tra i possibili lavoratori eccedentari. Si sottolinea la puntuale deduzione della questione in primo grado e in appello.

1.6. Il sesto motivo denuncia violazione dell’art. 1375 c.c..

Si deduce la violazione dei criteri di correttezza e buona fede da parte dell’azienda nella ricomprensione del ricorrente tra i lavoratori eccedentari. con particolare riferimento alla contraddizione del licenziamento del ricorrente con l’accordo sindacale del 18.5.2006 e le relative attestazioni, nonchè con l’invio del lavoratore al corso propedeutico al concreto reinserimento nell’attività produttiva. Riguardo a quest’ultimo elemento lamenta l’apoditticità e l’illogicità intrinseca della esclusione da parte del giudice di appello del valore e del rilievo di detta circostanza.

2. Il ricorso, i cui motivi sono esaminati congiuntamente in ragione della loro connessione, merita accoglimento per le ragioni, aventi rilievo decisivo e assorbente, di seguito indicate.

3. Nella comunicazione preventiva agli organismi sindacali che l’azienda che intenda procedere ad una riduzione di personale deve effettuare a norma della L. n. 223 del 1991, art. 4, deve essere compresa l’indicazione “del numero, della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale eccedente” (comma 3).

Si tratta di elementi che rilevano non solo ai fini di una valutazione circa la concreta portata del progettato ridimensionamento aziendale, ma anche per la connessione con le indicazioni sui motivi che determinano la situazione di eccedenza e per i quali non si ritiene possibile adottare una misura organizzativa diversa dalla riduzione di personale.

Nella giurisprudenza di questa Corte ha formato oggetto di un particolare approfondimento la questione relativa alla incidenza della prescrizione normativa sulla indicazione dei profili professionali. Cass., sez. un., 15 ottobre 2002, n. 14616, nel confermare l’imprescindibilità del rispetto della procedura di cui all’art. 4 L. cit., non sostituibile da un diretto accordo sindacale avente ad oggetto l’identificazione del lavoratori da licenziare sulla base della sola anzianità contributiva, ha sottolineato la rilevanza anche della specificazione delle unità produttive e dei profili professionali interessati, necessaria ai fini di una corretta individuazione dei lavoratori da coinvolgere nella riduzione di personale.

Successivamente, in relazione ad un’altra vicenda di ampia riduzione di organico di una grande azienda, si è in un primo momento ritenuto, a proposito della prescritta indicazione dei profili professionali del personale da coinvolgere nella riduzione di personale, che la dizione normativa implicasse l’insufficienza della sola indicazione del livello di inquadramento nell’ambito della classificazione del personale dettata dalla contrattazione collettiva, quando nel medesimo livello fossero raggruppate professionalità varie ed eterogenee (Cass. 11 luglio 2007, n. 15479), ma successivamente si è ritenuta sufficiente la indicazione della ripartizione del personale ritenuto eccedente per categorie o livelli contrattuali di inquadramento (oltre che per aree geografiche), tenute presenti le ragioni concrete della riduzione di personale, di alleggerimento dell’organico complessivo dell’azienda a livello nazionale (Cass. n. 82, 84 e 5884/2009, n. 5884/2011). Si è rilevato in linea di diritto che il riferimento legislativo ai “profili professionali” comporta l’esclusione della idoneità del solo dato formale delle categorie (ex artt. 2095 e 2103 c.c.), essendo privilegiato il dato funzionale delle categorie o qualifiche di inquadramento, rispetto al quale però doveva tenersi presente che nella specie la contrattazione collettiva caratterizzava le “aree funzionali” (livelli) di inquadramento per l’idoneità allo svolgimento di una pluralità di mansioni.

4. Nella specie, premesso che l’attuale ricorrente, come da atto la stessa sentenza impugnata, aveva lamentato la mancata precisazione dei motivi dell’eccedenza di lavoratori e in tale quadro anche, in particolare, la mancanza di specificazioni relative ai profili professionali coinvolti dalla riduzione di personale, la sentenza impugnata ha violato gli esposti principi nel non dare rilievo alla circostanza che nella specie nella comunicazione iniziale è mancata la specificazione dei profili professionali, sicuramente per tale non potendosi intendere il solo riferimento alle generiche e complessive categorie legali degli operai, impiegati, quadri e dirigenti (oltre che degli “intermedi”, categoria contrattuale diretta ad integrare detta classificazione di origine legale), che non sono idonee, particolarmente con riferimento alle ampie categorie degli operai e degli impiegati, a fornire in maniera adeguata quelle specificazioni funzionali che sono indispensabili al fine di dare adeguata concretezza e motivazione a qualsiasi piano di ristrutturazione aziendale, ancorchè focalizzato su risparmi conseguibili sul piano dei costi del personale.

Nè può ritenersi adeguato, al fine di ritenere sufficiente la iniziale comunicazione, il riferimento alla circostanza del raggiungimento di un accordo con le organizzazioni sindacali. E’ vero che la conclusione di un accordo in esito alle consultazioni seguite all’iniziale comunicazione dell’azienda può rendere irrilevanti le lacune di tale comunicazione di avvio, a meno che i suoi vizi siano tali da fuorviare o eludere l’esercizio dei poteri di controllo preventivo attribuiti alle organizzazioni sindacali (cfr. Cass. n. 25758/2008, 5582/2012), ma il dato circa la consistenza della riduzione di personale con riferimento ai vari profili professionali costituisce, come si è visto, un elemento imprescindibile di qualsiasi esame e valutazione in merito ad una prospettata ristrutturazione aziendale e quindi, per poter attribuire efficacia sanante all’accordo sindacale è condizione minima necessaria che almeno in tale occasione tale dato venga precisato. Nella specie, invece, è mancato qualunque positivo accertamento in tal senso da parte del giudice di appello (peraltro, secondo quanto dedotto dal ricorrente con riferimento specifico alle produzioni documentali, l’accordo farebbe riferimento, nei suoi allegati, alle sole categorie generali di operai, impiegati, ecc, mentre la resistente nel controricorso con riguardo all’accordo menziona solo il riferimento del medesimo al criterio di individuazione costituito dalla possibilità del lavoratore di conseguire un trattamento di quiescenza nell’arco di fruizione della mobilità ordinaria).

5. La sentenza impugnata è censurabile anche nella parte in cui ha ritenuto idonei i criteri di scelta adottati nella specie.

Il principio al quale al riguardo ha fatto riferimento – quello secondo cui la circostanza che del criterio di scelta della possibilità dei lavoratori di accedere al pensionamento non sia sufficiente da solo alla identificazione dei lavoratori ricompresi nella riduzione di personale non ne determina l’illegittimità, semprechè il datore di lavoro nella attuazione del medesimo criterio si attenga a criteri correttezza, buona fede e non discriminazione -, inizialmente recepito da alcune sentenze di questa Corte (Cass. n. 9956/2000 e 13393/2002), è stato sottoposto a riesame e condivisibilmente si è ritenuto che il criterio di scelta adottato nell’accordo sindacale tra datore di lavoro e organizzazioni sindacali per l’individuazione dei destinatari del licenziamento può anche essere unico e consistere nella prossimità al pensionamento, alla condizione però che esso permetta di formare una graduatoria rigida e possa essere applicato e controllato senza alcun margine di discrezionalità da parte del datore di lavoro. (Cass. n. 12781/2003, 21541/2006, 9866/2007, 1938/2011).

Si tratta di un indirizzo indubbiamente condivisibile perchè i criteri di scelta possono implicare aspetti discrezionali nella fase attuativa, e in questo caso il datore di lavoro nella comunicazione prevista dall’art. 4, comma 9, della legge deve fornire puntuali indicazione delle modalità con cui essi sono stati applicati (cfr.

Cass. n. 24166/2004 circa la necessità che in questa sede emergano univoche modalità di esplicazione dei criteri), ma non vi può essere un’area residua di discrezionalità di scelta da parte del datore di lavoro nella quale non risulti operante nessun criterio predeterminato, in ragione della insufficiente capacità selettiva dell’unico criterio di scelta convenzionalmente stabilito.

Ed è opportuno sottolineare come l’obiettività dei criteri di scelta costituisca una misura di tutela necessaria al fine di evitare che il datore di lavoro possa scegliere a sua discrezione quali lavoratori in concreto licenziare in occasione di una riduzione di personale. Nè sarebbe sufficiente per contrastare un tale modo di esercizio dei poteri del datore di lavoro la facoltà del lavoratore di provare l’eventuale carattere discriminatorio del suo licenziamento.

6. In conclusione il ricorso deve essere accolto, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa ad altro giudice (stessa Corte in diversa composizione) che si atterrà ai seguenti principi: 1) “La indicazione nella comunicazione agli organismi sindacali di avvio della procedura di licenziamento per riduzione di personale, dei profili professionali del personale eccedente, a norma della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, non è validamente integrata dalla sola indicazione delle generiche categorie degli operai, intermedi, impiegati, quadri e dirigenti, mentre la conclusione, nell’ambito della procedura di consultazione, di un accordo tra il datore di lavoro e i sindacati sul licenziamento collettivo non può ritenersi idonea a rendere irrilevante, ai fin della legittimità dei licenziamenti, l’indicata carenza della comunicazione iniziale se anche l’accordo non contiene le necessarie indicazioni sui profili professionali dei lavoratori destinatari del licenziamento”; 2) “non è legittima l’adozione, nell’accordo sindacale tra datore di lavoro e organizzazioni sindacali relativo all’attuazione di licenziamenti per riduzione di personale, dell’unico criterio di scelta consistente nella prossimità al pensionamento, se lo stesso non permetta l’esauriente e univoca selezione dei lavoratori destinatari del licenziamento, in modo da poter essere applicato senza alcun margine di discrezionalità da parte del datore di lavoro”.

Al giudice di rinvio si demanda anche la regolazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione.

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