È erronea la pronuncia del Giudice di secondo grado che accolga una domanda fondata su un fatto giuridico costitutivo del diritto radicalmente diverso da quello dedotto in primo grado ed idoneo ad introdurre un nuovo tema di indagine. Tale domanda, invero, è inammissibile in quanto proposta in violazione dell’art. 345 c.p.c. e del divieto di ius novorum in appello. (Nella specie la Corte di Appello, nel confermare la mancata compromissione del decoro architettonico dell’edificio condominiale, ha preso in considerazione, accogliendola, la domanda fondata sulla violazione della norma regolamentare, in precedenza, tuttavia, proposta per sostenere la illegittima alterazione della facciata, denunciata in quanto pregiudizievole al decoro architettonico. Escluso, dunque, il pregiudizio al decoro predetto dal Giudice di primo grado, la stessa alterazione non poteva essere fatta valere dal Condominio in appello sotto il diverso profilo della violazione del divieto di alterare le facciate).
Cass. civ. Sez. II, 26/11/2014, n. 25147
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –
Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –
Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –
Dott. MATERA Lina – Consigliere –
Dott. PROTO Cesare Antonio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 1888/2008 proposto da:
G.M.C. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AQUILEIA 12, presso lo studio dell’avvocato MORSILLO ANDREA, rappresentata e difesa dall’avvocato AVETA UGO;
– ricorrente –
contro
COND VIA (OMISSIS);
– intimato –
sul ricorso 6133/2008 proposto da:
COND VIA (OMISSIS) P.I. (OMISSIS), IN PERSONA DEL SUO AMM.RE P.T., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TIBURTINA 612, presso lo studio dell’avvocato PASSANTE ARIANNA, rappresentato e difeso dagli avvocati DOMENICO CHIANESE, NICOLA RICCIUTO;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
G.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AQUILEIA 12, presso lo studio dell’avvocato MORSILLO ANDREA, rappresentata e difesa dall’avvocato UGO AVETA;
– controricorrente al ricorso incidentale avverso la sentenza n. 3114/2007 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 08/10/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/10/2014 dal Consigliere Dott. CESARE ANTONIO PROTO;
udito l’Avvocato Luca Giordano con delega depositata in udienza dell’Avv. Aveta Ugo difensore della ricorrente che si riporta agli atti depositati;
udito l’Avv. Ricciuto Nicola difensore del Condominio che si riporta agli atti depositati;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, l’inammissibilità del ricorso incidentale.
Svolgimento del processo
Con citazione del 28/11/2000 il Condominio di via (OMISSIS) conveniva in giudizio la condomina G.M. C. chiedendone la condanna al ripristino della facciata del fabbricato in corrispondenza dei locali di proprietà della convenuta; il condominio assumeva:
– che la facciata era stata alterata in conseguenza dell’allargamento verso l’alto dell’entrata su via Pignatelli 87 con formazione ex novo di una finestra in vetro non allineata con le entrate dei locali contigui del fabbricato;
– che tale alterazione costituiva un illegittimo mutamento della facciata esterna condominiale con evidente squilibrio e deturpamento estetico.
Il condominio chiedeva, inoltre, la condanna della convenuta a riportare il suo bagno, che era stato spostato su un soppalco costruito anch’esso ex novo, nella sua posizione originaria, assumendo che tale spostamento costituiva violazione dell’art. 4 del Regolamento condominiale.
Questa ulteriore domanda era rigettata in entrambi i gradi del giudizio e la statuizione non è oggetto di ricorso per cassazione.
La convenuta opponeva:
– che l’immobile si trovava nella stessa situazione di fatto, ben visibile a tutti, da oltre trent’anni e che pertanto era stato usucapito il diritto a mantenerlo in tale situazione;
– di non avere mai eseguito modifiche all’ingresso del locale o al suo interno;
– che il fabbricato, di edilizia economica, presentava linee architettoniche semplici e comunque stravolte da numerosi interventi di altri condomini e per questo motivo non poteva dirsi cosa fosse consono o meno al decoro architettonico; comunque la maggiore apertura di circa 40 cm., verso l’alto non comportava pregiudizio al decoro.
Nel resistere alla domanda di ripristino del bagno richiamava integralmente l’articolo 4 del regolamento condominiale.
Il Tribunale di Napoli con sentenza del 5/12/2003 rigettava la domanda attorea per le seguenti ragioni:
– perchè il dedotto mutamento della facciata esterna condominiale non alterava in alcun modo il decoro architettonico, restando così assorbita ogni valutazione sul fatto (che il primo giudice affermava non potersi escludere) che il varco di ingresso si trovasse sin dall’origine alla stessa altezza;
– relativamente allo spostamento del bagno perchè il regolamento condominiale che vietava lo spostamento dei servizi comuni riguardava beni condominiali e non i servizi privati.
La sentenza era appellata dal Condominio; G.M.C. chiedeva il rigetto dell’appello.
La Corte di Appello di Napoli con sentenza del 6/10/2007 riformava la sentenza di primo grado quanto alla statuizione sulla domanda di ripristino della facciata condominiale e accoglieva tale domanda.
La Corte di Appello rilevava che:
– che l’amministratore non aveva bisogno di alcun mandato assembleare per ottenere l’osservanza delle norme del regolamento del condominio e per la salvaguardia del decoro architettonico, nè per proporre appello avverso la sentenza che aveva rigettato la sua domanda;
osservava che, peraltro, l’assemblea gli aveva dato mandato di perseguire tutti i condomini che avessero fatto modifiche ai locali terranei;
– che il giudice di prime cure si era limitato a rilevare, l’insussistenza di un pregiudizio al decoro architettonico (effettivamente insussistente secondo la Corte di Appello), ma non aveva considerato la violazione, pur sussistente secondo il giudice di appello, dell’art. 4 del Regolamento che vietava modifiche o innovazioni delle facciate esterne, divieto che non poteva dirsi superato dalle norme che attribuiscono al singolo condomino di servirsi della cosa comune; osservava al riguardo che, pur essendo consentito dalle norme, l’ampliamento di un porta o di una finestra, nel caso concreto l’uso della cosa comune era configgente con una specifica disposizione del regolamento condominiale;
– che la deduzione, in grado di appello, della violazione del regolamento condominiale per sostenere l’illegittimità dell’alterazione della facciata non poteva considerarsi domanda nuova in quanto l’esistenza della norma regolamentare era stata tempestivamente dedotta a prescindere dal suo collegamento con le modifiche apportate alla facciata;
– che, quanto all’opponibilità del regolamento alla condomina, non era stata contestata in primo grado la trascrizione del regolamento e la produzione della nota di trascrizione in appello doveva ritenersi consentita per il carattere di indispensabilità della produzione e perchè imposta dai rilievi difensivi, in appello, dell’appellata;
– che l’art. 4 era norma generale che riguardava sia i piani superiori che quelli inferiori, mentre l’art. 7 era norma derogatrice solo per ipotesi specificamente considerate;
– che le testimonianze raccolte erano tra loro in contrasto quanto all’individuazione dell’epoca di modifica del varco di accesso, ma doveva essere attribuita maggiore credibilità a quelle che individuavano nel 1990 la data di realizzazione della modifica perchè sorrette da un argomento logico (le sopravvenute esigenze abitative di un inquilino che vi era andato ad abitare da solo).
G.M.C. ha proposto ricorso affidato a sei motivi.
Il Condominio ha resistito con controricorso e ha proposto ricorso incidentale affidato ad un motivo al quale la G. resiste con controricorso. Le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
Preliminarmente devono essere riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c., il ricorso principale e quello incidentale trattandosi di impugnazioni avverso la stessa sentenza.
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 163 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, artt. 165 e 166 c.p.c., art. 183 c.p.c., comma 5, artt. 345, 112, 115 e 116 c.p.c., art. 87 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 359 c.p.c., art. 2697 c.c., L. n. 353 del 1990, art. 52, e il vizio di motivazione.
La ricorrente sostiene:
– che la norma regolamentare è stata ritenuta dalla Corte di Appello norma impositiva di un vincolo di natura reale e che di conseguenza il vincolo doveva essere trascritto, mentre nessuna deduzione era stata formulata con riferimento alla natura contrattuale del regolamento e alla sua trascrizione;
– che la domanda era carente di specificità in relazione all’illegittimità dell’alterazione della facciata inizialmente riferita solo al decoro architettonico;
– che la domanda, se fondata sull’esistenza di un vincolo reale non era stata provata e non poteva essere provata in appello.
La ricorrente, formulando il quesito ex art. 366 bis c.p.c., ora abrogato, ma applicabile ratione temporis, chiede se comporta violazione artt. 163, 183, 184, 345 c.p.c., e delle preclusioni scaturenti da tali norme la deduzione per la prima volta in appello di una fattispecie di titolo fondante la causa petendi non dedotta nè nell’atto di citazione, nè per tutto il corso del giudizio di primo grado (la natura contrattuale del regolamento condominiale) e la esibizione di esso e della sua trascrizione che non sussistono per il tipico regolamento di condominio. 2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione art. 112 c.p.c., art. 183 c.p.c., comma 4, art. 345 c.p.c., e art. 1120 c.c., e il vizio di motivazione.
La ricorrente sostiene che l’alterazione della facciata era denunciata in quanto pregiudizievole al decoro architettonico;
essendo stato escluso il pregiudizio al decoro architettonico dal giudice di primo grado, la stessa alterazione non poteva essere fatta valere dal Condominio in appello sotto il diverso profilo della violazione del divieto di alterare le facciate; la ricorrente osserva che l’inammissibilità della nuova domanda era stata denunciata con la comparsa di costituzione in appello e che in primo grado si era sempre e solo discusso del decoro architettonico, mentre la violazione del regolamento era stata dedotta con riferimento ad una diversa condotta (lo spostamento del bagno).
Pertanto la domanda formulata con l’appello, con riferimento all’alterazione della facciata, era fondata su un diverso fatto giuridico, ossia la violazione dell’art. 4 del regolamento; la Corte di Appello non poteva prendere in considerazione la nuova domanda e, invece, accogliendola, ha violato il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, nonchè il disposto dell’art. 345 c.p.c..
La ricorrente, formulando i quesiti ex art. 366 bis c.p.c., chiede:
– se sia consentito in grado di appello all’attore di estendere la causa petendi di una domanda all’altra domanda o se ciò costituisca mutamento della causa petendi quando in citazione sono formulati due distinti capi di domanda con esplicita formulazione della rispettiva causa petendi sulla quale le parti hanno discusso;
– se è corretto risolvere decidere sulla contestazione di novità della domanda traslando da una domanda all’altra la causa petendi o ritenendo dedotta una comune causa petendi senza considerare l’espressa distinzione operata nell’atto di citazione e senza rilevare e motivare se fosse mai stata discussa e trattata come causa petendi per la domanda rispetto alla quale non era stata esplicitamente dedotta e senza valutare la non percepibilità della diversa causa petendi e se operando in tale modo il giudice sia incorso nella violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., e nel vizio di motivazione.
3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 1362, 1363 e 1364 c.c., nell’interpretazione degli artt. 4 e 7 del regolamento e la violazione degli artt. 1102 e 1139 c.c., e il vizio di motivazione.
La ricorrente sostiene che l’art. 7 avrebbe dovuto essere correttamente interpretato come riferentesi non solo ai coprifila o alle cornici dei varchi di ingresso, ma più in generale alle mostre di ingresso, modificabili ai locali a piano terra.
Formulando i quesiti chiede:
– se viola gli artt. 1362, 1363 e 1364 c.c., la interpretazione del regolamento che si limiti ad attribuire ad una parola un ritenuto senso letterale tra gli altri possibili senza considerare le possibilità di un diverso significato tenendo conto dalle destinazione oggettiva della norma delle ragioni di logica e necessità e della comune intenzione delle parti, desumibile dal comportamento successivo al contratto per le accertate modifiche in larghezza e in altezza dei varchi di ingresso nel corso di 28 anni successivi al regolamento;
– se il giudice deve motivare sulla scorta delle regole interpretative la sussistenza di una certezza interpretativa dando conto del perchè non è consentito alcun dubbio e se altrimenti non è consentita la soppressione di un diritto o facoltà riconosciuti dalla legge.
4. Con il quarto motivo la ricorrente deduce la violazione del’art. 342 c.p.c., e del principio tantum devolutum quantum appellatum e il vizio di motivazione Sostiene che il Condominio non propose alcuna censura rispetto all’affermazione del giudice di primo grado secondo la quale la prova testimoniale non sembra escludere la possibilità che il varco si presentasse all’altezza attuale sin dall’origine;
invece il giudice di appello ha ritenuto che parte attrice avesse comprovato che i varchi, all’origine, avessero tutti la stessa altezza; in tal modo sarebbe stata modificata la valutazione delle prove del primo giudice senza che fosse stato proposto un motivo di appello così violando il principio tantum devolutum quantum appellatum.
5. Con il quinto motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 342 e 112 c.p.c., del principio tantum devolutimi quantum appellatimi, dell’art. 2909 e il vizio di motivazione perchè il Giudice di appello avrebbe dovuto rigettare un motivo di appello del condominio relativo alla nullità delle prove testimoniali dei testi indotti dalla convenuta per contrarietà all’art. 252 c.p.c., e per mancata identificazione; la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto che il motivo di appello riguardasse l’attendibilità e non la nullità della testimonianza; non era stata contestata l’attendibilità dei testi della convenuta e non ne era stato richiesto il riesame.
6. Con il sesto motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., e il vizio di motivazione in ordine alla valutazione delle prove raccolte per decidere sull’eccezione di prescrizione.
7. Con l’unico motivo di ricorso incidentale il Condominio deduce la violazione degli artt. 112 e 91 c.p.c., e art. 75 disp att. c.p.c., e dei D.M. 5 ottobre 1994, n. 585, e D.M. 8 aprile 2004, n. 127, e della L. n. 794 del 1942, art. 24; il Condominio lamenta che la Corte di Appello ha liquidato di ufficio spese diritti e onorari pur in presenza di note spese specifiche e che ha liquidato spese vive documentate in misura inferiore a quanto documentato e i diritti di procuratore e gli onorari di avvocato, che dovevano essere liquidati con gli importi previsti per le cause di valore indeterminabile in importi inferiori a quelli previsti dalle tariffe forensi e ha ridotto sensibilmente gli importi richiesti con la nota spese senza alcuna motivazione.
8. Il secondo motivo del ricorso principale è fondato e deve essere accolto.
Dall’esame diretto dell’atto di citazione del Condominio, della comparsa di costituzione della G. e della sentenza di primo grado, consentito a questa Corte in considerazione della natura processuale del vizio dedotto, risulta che il Condominio aveva formulato due domande con due distinte richieste rispettivamente fondate su due distinte ragioni: con la prima domanda era richiesto la condanna della convenuta al ripristino della facciata del fabbricato in quanto (v. il punto 6 della citazione) l’alterazione apportata costituisce “un illegittimo mutamento della facciata esterna condominiale con evidente squilibrio e deturpamento estetico”; con la seconda domanda era chiesto di riportare il bagno nella sua ubicazione originaria ripristinando lo status quo ante in quanto (v punto 5 della citazione) lo spostamento violava l’art. 4 del Regolamento condominiale; era infine formulata una domanda di risarcimento danni sia in conseguenza dell’alterazione estetica della facciata, sia per la violazione dell’art. 4 del regolamento condominiale.
Pertanto il Condominio non aveva inteso invocare la violazione del regolamento condominiale per l’alterazione della facciata, ma aveva dedotto l’alterazione del decoro architettonico, con implicito, ma inequivoco riferimento al divieto di innovazioni di cui all’art. 1120 c.c., che, appunto, vieta innovazioni che alterino il decoro architettonico.
Di conseguenza la convenuta con la comparsa di costituzione e risposta si era difesa:
– con riferimento allo spostamento del bagno contestando che il regolamento comportasse il divieto di spostare i servizi privati (essendo riferibile solo ai servizi comuni);
– con riferimento all’alterazione della facciata osservando, tra le altre difese (nessuna delle quali fondata su norme del regolamento o loro interpretazione, perchè non erano in contestazione per la facciata), che la maggiore apertura verso l’alto di circa 40 cm. non ledeva neppure astrattamente il decoro architettonico.
Queste difese erano state integralmente accolte dal giudice di primo grado che con la sentenza del 5/12/2003, quanto all’alterazione della facciata, escludeva che la diversa altezza del varco di ingresso potesse in alcun modo incidere sul decoro architettonico, sia per le dimensioni, sia per la tipologia, sia per lo stato dei luoghi (in presenza di alterazioni ben più vistose); il regolamento condominiale era invece esaminato solo per escludere che lo spostamento del bagno potesse costituire una violazione dell’art. 4.
Solo con l’atto di appello il Condominio sosteneva che la verifica dell’illegittimità dell’intervento sulla facciata andava valutata non solo come violazione del decoro architettonico, ma anche come violazione di una norma del regolamento.
La Corte di Appello ha confermato che il decoro architettonico non era compromesso, ma ha preso in considerazione, accogliendola, la domanda fondata sulla violazione della norma regolamentare, in precedenza mai proposta per sostenere l’illegittima alterazione della facciata; pertanto ha accolto una domanda fondata su un fatto giuridico costitutivo del diritto radicalmente diverso e idoneo ad introdurre un nuovo tema di indagine e che doveva e deve invece essere dichiarata inammissibile perchè proposta in violazione dell’art. 345 c.p.c., e del divieto di ius novorum in appello.
Per tali ragioni la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto delle domande (quelle ritenute ammissibili) proposte dal condominio in quanto:
– la domanda di ripristino della facciata per violazione del divieto di alterare il decoro architettonico deve essere rigettata per infondatezza per i motivi già esposti nelle sentenze di primo e secondo grado che qui si richiamano;
– per i motivi già esposti nelle sentenze di primo e secondo grado deve essere rigettata anche la domanda di condanna allo spostamento del bagno;
– la nuova domanda, formulata solo con l’atto di appello, diretta ad accertare una violazione del regolamento condominiale con riferimento all’alterazione della facciata è inammissibile e come tale non poteva e non può neppure essere esaminata.
Gli altri motivi di ricorso sono di conseguenza assorbiti, come pure è assorbito il ricorso incidentale del Condominio, relativo solo alla insufficiente liquidazione delle spese da parte del giudice di appello.
Deve essere revocata l’ordinanza con la quale era stata richiesto il deposito della delibera condominale che autorizza il ricorso incidentale, trattandosi di ricorso incidentale solo sulle spese.
In ordine alle spese processuali dell’intero giudizio si osserva che il giudizio è stato instaurato nel 2000, ossia prima della riforma introdotta nel 2009 con la quale la compensazione delle spese ex art. 92 c.p.c., non può essere disposta se non concorrono gravi ed eccezionali ragioni; secondo la previgente normativa, per la compensazione delle spese erano invece sufficienti giusti motivi.
Nella fattispecie si ravvisano appunto giusti motivi per compensare le spese dell’intero giudizio tenuto conto della particolarità della fattispecie nella quale i fatti materiali, come esposti dal condominio, sono stati accertati, pur essendo escluso che potessero dar luogo ad una rimessione in pristino, della complessità della lite, evincibile da due pronunce di merito difformi, oltre che della natura eminentemente processuale del vizio che ha portato alla cassazione della sentenza che aveva accolto l’appello del Condominio.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il secondo motivo del ricorso principale, dichiara assorbiti gli altri motivi e il ricorso incidentale.
In relazione al motivo accolto cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta le domande del condominio.
Compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2014.
Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2014
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