Deve essere esclusa la preclusione della domanda tardiva di insinuazione al passivo fallimentare degli interessi maturati, ex art. 101 della legge fallimentare (R.D. n. 267 del 1942), dopo l’avvenuta ammissione tempestiva del credito principale (conf. cass. civ., sez. I, sent. n. 4554 del 2012).
Cass. civ. Sez. Unite, 26/03/2015, n. 6060
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Primo Presidente f.f. –
Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente Sezione –
Dott. RORDORF Renato – Presidente Sezione –
Dott. BERNABAI Renato – rel. Consigliere –
Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –
Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –
Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –
Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 15066-2010 proposto da:
G.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FABIO MASSIMO 60, presso lo 48 studio dell’avvocato CAROLI ENRICO, che lo rappresenta e difende, per delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
FIRS ITALIANA DI ASSICURAZIONI S.P.A. IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA, in persona del Commissario Liquidatore pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 82, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA IANNOTTA, che la rappresenta e difende, per delega a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4729/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 30/11/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/01/2015 dal Consigliere Dott. RENATO BERNABAI;
uditi gli avvocati Letizia CAROLI per delega dell’avvocato Enrico Caroli, Antonella IANNOTTA;
udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per l’accoglimento, p.q.r., del ricorso.
Svolgimento del processo
Con istanza ex art. 101 L. Fall. depositata presso il Tribunale di Roma il 30 giugno 2003 l’avv. G.F. chiedeva l’ammissione al passivo della FIRS ITALIANA ASSICURAZIONI s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa, al rango privilegiato, del proprio credito da interessi sulla somma di Euro 429.889,54, già riconosciuta con pari grado all’udienza fissata per la verifica dello stato passivo a titolo di compenso per l’attività professionale svolta in favore della compagnia.
La Firs italiana di assicurazioni s.p.a. si costituiva eccependo la preclusione da giudicato per effetto della intervenuta ammissione al passivo della sorte capitale.
Con sentenza 20 maggio 2005 il Tribunale di Roma accoglieva la domanda e per l’effetto ammetteva allo stato passivo gli interessi con il medesimo privilegio riconosciuto al credito principale e con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto fino alla data di definitività dello stato passivo.
In accoglimento del gravame proposto in via principale dalla FIRS, la Corte d’appello di Roma con sentenza 30 novembre 2009, respinta l’eccezione pregiudiziale di inammissibilità per genericità dei motivi, ex art. 342 cod. proc. civ., dichiarava inammissibile la domanda.
Motivava:
– che sussisteva la preclusione pro judicato in ordine al credito accessorio per interessi, dal momento che la verifica dello stato passivo ed il successivo procedimento ex art. 101 legge fallimentare erano fasi del medesimo accertamento giurisdizionale riguardante un credito da lavoro professionale, frazionato dal ricorrente nella sorte-capitale e negli interessi nonostante l’identica causa petendi.
Avverso la sentenza, non notificata, l’avv. G.F. proponeva ricorso per cassazione, articolato in tre motivi e notificato il 5 giugno 2010.
Deduceva:
1) la violazione dell’art. 342 cod. proc. civ. nel rigetto dell’eccezione di inammissibilità dell’appello proposto dalla Firs in liquidazione coatta amministrativa, nonostante la genericità dei motivi dedotti, privi di un supporto argomentativo idoneo a contrastare la motivazione della sentenza impugnata;
2) la violazione l’art. 2909 cod. civ. e art. 97 L. Fall. in ordine al ritenuto giudicato interno per effetto dell’ammissione al passivo del credito per sorte-capitale, da ritenere preclusivo della pretesa degli interessi, successivamente azionata ex art. 101 L. Fall.;
3) la violazione dell’art. 54 L. Fall., per non aver tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale 28 maggio 2001 n. 162 che implicitamente consentiva la proposizione di una nuova domanda per interessi precedentemente non proposta.
Resisteva con controricorso la Firs italiana assicurazioni S.p.A. in liquidazione coatta amministrativa.
La sezione 6-1 della Corte di cassazione, cui la causa era stata assegnata in base ai criteri tabellari, sull’ordinanza del giudice relatore ex art. 380 bis cod. proc. civ. che proponeva l’accoglimento del secondo motivo, con ordinanza interlocutoria 4 luglio 2012, rimetteva la causa alla pubblica udienza dell’11 luglio 2013.
All’esito della discussione il collegio, ravvisata una questione di particolare importanza, con ordinanza 8 agosto 2013, rimetteva la causa al Primo Presidente, che la assegnava alle sezioni unite.
Entrambe le parti depositavano memoria illustrativa ex art. 378 cod. proc. civ..
All’udienza del 27 gennaio 2015 il Procuratore generale precisava le conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.
Motivi della decisione
Il primo motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.
Il ricorrente lamenta, infatti, la carenza di specificità dei motivi dell’appello della Firs, poi accolto: motivi, che si sarebbero risolti nella ripetizione pedissequa degli argomenti trattati in primo grado, senza confutazione analitica delle ragioni di diritto addotte dal Tribunale di Roma a sostegno della decisione. Sennonchè, la censura appare svolta in forma meramente assertiva, senza riproduzione dei predetti motivi di appello: quanto meno, nella parte essenziale da porre in relazione con la ratio decidendi della sentenza di prime cure.
La genericità della doglianza non consente neppure di valutare se, trattandosi di questioni di diritto non bisognose di specifica motivazione (secondo la formula tradizionale “il giudice dice il diritto”), la prospettazione di una tesi interpretativa diversa da quella del tribunale, seppur in ipotesi già illustrata in primo grado, fosse idonea, o no, a sollecitarne il riesame da parte del giudice del gravame.
Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 2909 cod. civ. e art. 97 L. Fall..
Il problema della proponibilità tardiva, ex art. 101 L. Fall., della domanda relativa al credito accessorio da interessi, quando già si sia proposta istanza tempestiva per la sorte-capitale (nella specie, a titolo di compenso di attività professionale) – accolta in sede di verifica dello stato passivo -presenta diverse sfaccettature, in parte riconducibili a profili di diritto processuale ordinario, in parte propri del rito speciale fallimentare.
Il primo aspetto da prendere in considerazione è l’identificazione stessa della domanda, ai fini della sua distinguibilità da quella già ammessa al passivo. Si tratta di attività interpretativa che deve muovere dall’ordinaria disamina degli elementi costitutivi della fattispecie: persone, causa petendi e petitum.
Pacifica, nella specie, l’identità della componente soggettiva, non appare revocabile in dubbio, invece, contrariamente all’avviso della corte territoriale, la diversità della causa petendi.
Vertendosi in tema di diritto di credito eterodeterminato, la pretesa al compenso professionale trae origine, infatti, da un contratto di opera intellettuale; laddove, la domanda accessoria relativa agli interessi moratori ha natura risarcitoria, fondata com’è sul ritardo nell’adempimento.
Ne consegue anche la difforme modalità di determinazione del quantum: in misura fissa, con riferimento alla sorte-capitale, in conformità con il parametro in concreto applicabile, in tema di compenso dell’opera intellettuale (art. 2233 cod. civ.); soggetta, invece, ad incremento progressivo, ratione temporis acti, in ordine all’obbligazione accessoria per interessi.
Tale inquadramento concettuale, con la distinzione netta tra le due causae petendi, vale a risolvere in senso affermativo la questione della separata proponibilità delle relative domande, per compenso e per interessi, rispettivamente in sede di verifica dello stato passivo ed in via tardiva ex art. 101 L. Fall.: fuori delle ipotesi, estranee al presente thema decidendum, in cui il debito per interessi resti, per contro, inscindibilmente legato alla sorte-capitale, al punto da poter essere anche liquidato d’ufficio, senza vizio di ultrapetizione: come nel caso di credito da lavoro subordinato o di credito risarcitorio da illecito aquiliano.
La preclusione della domanda tardiva di insinuazione al passivo fallimentare degli interessi maturati, ex art. 101 L. Fall., dopo l’avvenuta ammissione tempestiva del credito principale (art. 96 legge fallimentare) è già stata esclusa, del resto, dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass., sez. 1, 22 marzo 2012, n. 4554). Si pone allora il problema se la medesima soluzione valga anche nella procedura di liquidazione coatta amministrativa, connotata da profili di specialità nell’officiosità nell’iter formativo dello stato passivo.
Al riguardo, si osserva che l’impulso d’ufficio sia temperato, peraltro, dalla facoltà del creditore di presentare osservazioni alla comunicazione delle somme risultanti a suo credito secondo le scritture contabili e i documenti dell’impresa (art. 207, commi 1 e 3 L. Fall.). Alternativamente, i creditori che non abbiano ricevuto la predetta comunicazione possono chiedere, mediante raccomandata entro il termine di 60 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del provvedimento di liquidazione, il riconoscimento dei propri crediti (art. 208 L. Fall.).
Anche se si debba condividere l’orientamento prevalente, secondo cui non si tratta, in tal caso, di vera domanda giudiziale – perchè diretta al commissario liquidatore, che è organo amministrativo – resta comunque che di essa, come delle osservazioni, il commissario debba tenere conto: cosicchè il silenzio mantenuto sulle richieste formulate e l’omesso inserimento del credito nell’elenco di cui all’art. 209 L. Fall., comma 1, assumono valore implicito di rigetto:
contro il quale il creditore deve attivarsi mediante opposizione allo stato passivo, ex art. 98 L. Fall., per evitare il formarsi di una preclusione (Cass., sez. 1, 11 novembre 2013 n. 25.301; Cass., sez. 1, 19 febbraio 2003 n. 2476).
Simmetricamente, il mancato esercizio del potere di proporre specifica domanda o di presentare osservazioni alla comunicazione del commissario liquidatore – iniziative, previste solo come eventuali dalle norme citate – non preclude la proponibilità della domanda di ammissione tardiva del credito accessorio da interessi, non pregiudicata da alcun silenzio-rigetto.
Da ultimo, appare inconferente il richiamo argomentativo al principio di ragionevole durata, pure addotto dalla Firs Italiana assicurazioni s.p.a. in funzione preclusiva della domanda tardiva ex art. 101 L. Fall..
Al riguardo, si osserva che il canone in questione, sancito innanzitutto dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (art. 6, paragrafo 1), poi recepito dalla legislazione nazionale costituzionale (art. 111 Cost., emendato, in parte qua, in forza della L. Cost. 23 novembre 1999, n. 2) e ordinaria (L. 24 marzo 2001, n. 89) è rivolto allo stesso legislatore; e cioè, allo Stato- amministrazione affinchè realizzi l’obiettivo della definizione del giudizio entro un termine ragionevole: onde, non può essere distorto al fine di penalizzare proprio la parte privata, che di tale principio dovrebbe invece beneficiare, riducendone le possibilità di iniziativa giudiziaria, pur se conformi alla disciplina speciale del rito fallimentare: nella specie, inibendo domande di ammissione al passivo fallimentare tardive, e financo “ultratardive”, pur se rispettose dei limiti temporali fissati dall’art. 101 L. Fall., u.c., nel testo novellato.
Resta assorbito il terzo motivo, relativo alla violazione dell’art. 54 L. Fall.; così come impregiudicata l’ulteriore questione della individuazione del termine finale degli interessi, successiva, in via gradata, alla decisione rimessa al giudice del rinvio sulla domanda principale.
La sentenza dev’essere dunque cassata in relazione alla censura accolta, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, per un nuovo giudizio ed anche per il regolamento delle spese della fase di legittimità.
P.Q.M.
– Rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, assorbito il terzo;
– cassa la sentenza impugnata nei limiti di cui in motivazione, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese della fase di legittimità.
Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2015.
Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2015
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