1437In relazione alla delibazione di sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio concordatario, si possono registrare due orientamenti giurisprudenziali contrastanti. Ed infatti, se, da un lato, si ritiene che la prolungata convivenza tra i coniugi rappresenti condizione ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario, in quanto ciò esprimerebbe la volontà di accettazione del rapporto proseguito, confliggente con l’esercizio della facoltà di rimetterlo in discussione adducendo riserva mentale risalente al tempo delle nozze, dall’altro lato, si afferma che la prolungata convivenza dei coniugi successiva alla celebrazione del matrimonio, non è condizione ostativa, sotto il profilo dell’ordine pubblico interno, alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio canonico che deve, pertanto essere consentita in difformità dall’art. 123, comma 2, c.c. in tema di impugnazione del matrimonio per simulazione. Ciò perché, tale norma, pur avendo carattere imperativo, non configura espressione di principi e regole fondamentali con le quali la Costituzione e le leggi dello Stato delineano l’istituto del matrimonio, con la conseguenza che l’indicata difformità non pone la pronuncia ecclesiastica in contrasto con l’ordine pubblico italiano. Ciò premesso, atteso che, nel caso in esame, si è riproposto tale contrasto giurisprudenziale relativo alla possibilità di ravvisare o meno nella prolungata convivenza tra i coniugi una causa ostativa alla delibazione della sentenza di nullità del matrimonio, si è ritenuto opportuno rimettere alle Sezioni Unite la composizione del predetto contrasto, con tutte le questioni originatesi dalle sopra menzionate opzioni interpretative e allo stato irrisolte.

Cass. civ. Sez. I, 14/01/2013, n. 712  

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 12658/2011 proposto da:

T.D. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI RIPETTA 258, presso l’avvocato DEL FAVERO LUCA, rappresentato e difeso dall’avvocato BRUNO ROCCO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

F.F. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FONTANELLA BORGHESE 72, presso l’avvocato VOLTAGGIO PAOLO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FONTANA FEDERICA, ELISABETTA FRACCALANZA, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 58/2011 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata l’11/01/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/12/2012 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA CULTRERA;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato BRUNO ROCCO che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato VOLTAGGIO che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Venezia, con sentenza n. 508 depositata l’11 gennaio 2011, ha dichiarato l’efficacia nella Repubblica Italiana della sentenza del 12.12.2008 pronunciata dal Tribunale Ecclesiastico Regionale del Triveneto, confermata dal Tribunale Ecclesiastico Regionale Lombardo in data 3.9.2009 ed infine resa esecutiva con decreto 9.12.2009 dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario tra F. F. e T.D. celebrato in (OMISSIS), per accertata esclusione del bonum sacramenti del vincolo indissolubile del matrimonio da parte della F. manifestata a terzi, in particolare ai suoi familiari e ad un’amica e percepita dal sacerdote che curò la preparazione prematrimoniale, congiunto dello sposo, dunque ragionevolmente anche da questo.

Avverso questa decisione T.D. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi resistiti dall’intimata con controricorso, illustrato altresì con memoria difensiva depositata a mente dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

Il ricorrente deduce col primo motivo violazione della L. n. 121 del 1985, art. 8, dell’art. 123 c.c., e dell’art. 29 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per denunciare la contrarietà all’ordine pubblico interno degli effetti riconosciuti dalla Corte del merito alla pronuncia d’annullamento del matrimonio concordatario, seppur celebrato con la F. dieci anni prima, elevandone ad indici rivelatori la convivenza protratta per l’intera durata del rapporto matrimoniale e la nascita di una figlia. Richiama a conforto della censura il principio enunciato nella sentenza di questa Corte n. 1343/2011 secondo cui l’ordine pubblico interno matrimoniale evidenzia un palese “favor” per la validità del matrimonio quale fonte del rapporto familiare che, ove si sia protratto per lungo periodo di tempo, osta alla delibazione della pronuncia di nullità che investe l’atto. La controricorrente replica deducendo il difetto di autosufficienza del ricorso e quindi la sua inammissibilità, palesata dall’omessa specificazione degli elementi in cui si è concretata la vicenda fattuale; indi la sua infondatezza, desumibile dall’inapplicabilità del richiamato enunciato, siccome espresso in fattispecie in cui il giudice ecclesiastico aveva escluso il bonum prolis, difforme dal caso di esclusione del vincolo dell’indissolubilità del matrimonio accertata dal tribunale ecclesiastico nel caso in esame, e coltiva infine la sua difesa, richiamando in memoria difensiva il principio espresso da questa Corte nella sentenza n. 8926/2012, che ha escluso che la convivenza fra i coniugi rappresenti condizione ostativa alla delibazione della sentenza di nullità del matrimonio canonico ribadendo principio consolidato, contrastato unicamente dalla cennata sentenza n. 1343/2011.

La tematica introdotta dalle riferite opposte tesi difensive, non ancora contrastanti all’epoca della decisione assunta dalla Corte d’appello di Venezia, che ha dichiarato l’efficacia nel territorio dello Stato della sentenza di nullità pronunciata dal giudice ecclesiastico trascurando la disamina circa la portata ostativa ovvero l’irrilevanza della durata decennale del matrimonio celebrato tra le parti in causa ed allietato anche dalla nascita di una figlia, registra il riferito contrasto tra l’enunciato invocato dal ricorrente, espresso con la sentenza n. 1343/2001, ed il successivo recente arresto n. 8926 del 2012, evocato dalla controparte, palesemente espressivi di antitetica opzione esegetica. Afferma la sentenza n. 1343/2011 che la prolungata convivenza tra i coniugi rappresenta condizione ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario laddove si sia tradotta in un rapporto corrispondente alla durata del matrimonio o comunque ad un periodo di tempo considerevole dopo la celebrazione del matrimonio e la scadenza del termine per l’impugnativa del matrimonio – atto, in quanto siffatta situazione esprime la volontà di accettazione del rapporto proseguito, confliggente con l’esercizio della facoltà di rimetterlo in discussione adducendo, per quel che rileva in questa sede, riserva mentale risalente al tempo delle nozze, cioè un vizio del matrimonio – atto non più azionabile dopo la scadenza dei termini per l’impugnativa, e concretante incompatibilità ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario. La costruzione esegetica, che assume a dato dirimente la durata del matrimonio intesa quale convivenza prolungata dei coniugi successivamente alla celebrazione del matrimonio, richiamando espressamente l’arresto delle S.U. n. 19809 del 18 luglio 2008, rileva che l’ordine pubblico interno matrimoniale manifesta il “favor” per la validità del matrimonio, quale fonte del rapporto familiare incidente sulla persona e oggetto di rilievo e tutela costituzionali (Cass. S.U. 2008/19809) e, per l’effetto, nella cornice sistematica regolata secondo i dettami dell’art.29 della Costituzione e della riforma del diritto di famiglia, attribuisce rilievo preminente al matrimonio-rapporto fondato sull’unione coniugale, a sua volta fondante il rapporto familiare. Le ragioni che, attenendo alla coscienza dei nubendi, rilevano per la legge canonica, non necessariamente concretano cause invalidanti del matrimonio per l’ordinamento civile e, pur se ravvisabili, restano sanate dal protrarsi del rapporto che ne è seguito. A questo orientamento si è sostanzialmente uniformata la sentenza n. 9844/2012 in un caso in cui la sentenza del tribunale ecclesiastico aveva dichiarato la nullità del matrimonio concordatario per difetto di consenso, assumendo tale vizio psichico a condizione d’inettitudine del soggetto ad intendere i diritti ed i doveri del matrimonio al momento della manifestazione del consenso, sostanzialmente conforme all’ipotesi di invalidità contemplata dall’art. 120 c.c., sostenendo all’esito che la durata ventennale del matrimonio prospettata dalla ricorrente come impeditiva della delibazione, secondo il principio dettato da Cass. 2011 n. 1343, non rilevava nella specie, essendosi la medesima ricorrente limitata a porre in evidenza solo detto elemento temporale, e non l’effettiva convivenza dei coniugi nello stesso periodo, che in ogni caso avrebbe dovuto essere dedotta e provata in sede di delibazione. Anche Cass. 2012 n. 1780 ha aderito al richiamato arresto, con la distinzione concettuale ad esso sottesa tra matrimonio atto e matrimonio rapporto, pur escludendo nella specie l’instaurazione di un matrimonio-rapporto duraturo e radicato.

Se ne è invece consapevolmente discostata la sentenza n. 8926 del 2012 che, in fattispecie in cui si era accertato il vizio simulatorio di uno degli sposi, ha escluso che la convivenza dei coniugi successiva alla celebrazione del matrimonio, che pur nella specie considerata si era protratta per oltre trent’anni, “esprima norme fondamentali che disciplinano l’istituto del matrimonio e, pertanto, non è ostativa, sotto il profilo dell’ordine pubblico interno, alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio canonico”. L’arresto si colloca espressamente nel solco tracciato dal precedente delle S.U. n. 4700/1988 che aveva risolto analogo contrasto affermando che “Con riguardo alla sentenza del tribunale ecclesiastico dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario per esclusione unilaterale di uno dei “bona matrimonii”, manifestata all’altro coniuge, la delibazione, nella disciplina di cui alla L. 27 maggio 1929, n. 810, art. 1, e L. 27 maggio 1929, n. 847, art. 17, (nel testo risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 1982), deve ritenersi consentita anche se detta nullità sia stata dichiarata su domanda proposta dopo il decorso di un anno dalla celebrazione, ovvero dopo il verificarsi della convivenza dei coniugi successivamente alla celebrazione stessa, in difformità dalla disposizione dettata dall’art. 123 c.c., comma 2, in tema d’impugnazione del matrimonio per simulazione, atteso che la norma, pur avendo carattere imperativo, non configura espressione di principi e regole fondamentali con le quali la Costituzione e le leggi dello Stato delineano l’istituto del matrimonio, e che, pertanto, la indicata difformità non pone la pronuncia ecclesiastica in contrasto con l’ordine pubblico italiano”. E, a lume di questa esegesi, conclude assumendo che la convivenza, pur esprimendo l’effettiva comunione spirituale e materiale creatasi tra i coniugi nonostante il vizio genetico riscontrato dal giudice ecclesiastico, non comporta contrasto tra i due ordinamenti, quello canonico che regola la validità del matrimonio-atto e quello interno che, a dispetto del riscontrato difetto, opta per la stabilità del matrimonio-rapporto trascorso il tempo ritenuto congruo dal legislatore. Ed invero, prosegue nella motivazione la sentenza n. 8926/2012, “considerata la natura dei rapporti fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica, disciplinati da accordi il cui valore, nell’ambito del principio di bilateralità, è consacrato nell’art. 7 Cost., comma 2, che fornisce copertura costituzionale anche agli accordi successivi ai Patti Lateranensi, ivi espressamente indicati”, e pur nel vigore della L. 25 marzo 1985, n. 121, che ha dato esecuzione all’accordo di modificazioni ed al protocollo addizionale del 18 febbraio 1984 tra la Santa Sede e l’Italia, restando attribuita in via esclusiva al tribunale ecclesiastico la cognizione sull’invalidità del matrimonio concordatario, siccome disciplinato nel suo momento genetico dalla legge canonica, la Corte d’appello, chiamata in sede di delibazione ad attribuirne efficacia nel nostro territorio, è tenuta a “trovare un punto di equilibrio” nelle non poche ipotesi di divergenza tra il diritto canonico e quello civile. Di qui “la necessità di delimitare il concetto di “ordine pubblico interno” circoscrivendolo al caso (cfr. S.U. n. 5026/1982) in cui si ravvisi una contrarietà ai canoni essenziali cui secondo l’ordinamento interno è improntata la struttura dell’istituto matrimoniale, tra i quali non si annovera l’instaurazione del “matrimonio-rapporto” e la stabilità ad esso attribuita dalla previsione dell’art. 123 c.c., comma 2.

Affermata dai plurimi arresti citati nella motivazione della sentenza riferita (Cass. 10 maggio 2006 n. 10796, 7 aprile 2000 n. 4387, 7 aprile 1997 n. 2002, 17 giugno 1990 n. 6552 e 17 ottobre 1989 n. 4166), la tesi ivi propugnata si colloca in una cornice interpretativa del tutto contrastante con quella fondante la sentenza n. 1343/2011 che ha inteso far riferimento alla nozione di ordine pubblico predicata dalla sentenza delle sezioni unite del 18 luglio 2008 n. 19809, che tuttavia, in un caso di nullità basata su un vizio del consenso scaturente dall’ignoranza dell’infedeltà prematrimoniale di uno dei coniugi, e “nell’ambito della delineata distinzione fra cause di incompatibilità assolute e relative (essendo soltanto le prime ostative alla delibazione in considerazione del favor al riconoscimento delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale ai sensi del citato Protocollo addizionale)”, ha concluso per l’irrilevanza nel giudizio di legittimità della convivenza come causa ostativa alla delibazione, in quanto la relativa eccezione non era stata esaminata nè prospettata in sede di merito.

La composizione del rilevato contrasto ad avviso di questo collegio deve essere rimessa alle sezioni unite della Cassazione, cui s’intende sottoporre la definizione anche delle ulteriori questioni originate dalle riferite opzioni interpretative, allo stato irrisolte, secondo il seguente ordine logico: 1.- se la protrazione ultrannuale della convivenza rappresenti condizione integrante violazione dell’ordine pubblico interno e per l’effetto sia ostativa alla dichiarazione d’efficacia della sentenza di nullità del matrimonio pronunciata dal giudice ecclesiastico, ed in presenza di quali vizi del matrimonio – atto operi, in tesi, tale preclusione. In questa cornice, in particolare, se il limite dell’ordine pubblico si riferisca alla convivenza da intendersi quale coabitazione materiale, cui fanno riferimento gli artt. 120 e 122 c.c., in caso di vizi del consenso, ovvero sia “significativa di un’instaurata affectio familiae, nel naturale rispetto dei diritti ed obblighi reciproci, per l’appunto, come tra (veri) coniugi (art. 143 c.c.), tale da dimostrare l’instaurazione di un matrimonio-rapporto duraturo e radicato nonostante il vizio genetico del matrimonio-atto” (Cass. n. 1780/2012), dovendo in tal senso intendersi la locuzione “abbiano convissuto come coniugi” di cui al comma 2 dell’art. 123 c.c. in caso di simulazione. E, in logica consecuzione: 2.- se, in caso affermativo, il contrasto tra l’indicata condizione e l’ordine pubblico interno sia verificabile d’ufficio dalla Corte d’appello, versandosi in un caso d’impedimento assoluto alla riconoscibilità della sentenza ecclesiastica (in tal senso Cass. citata n. 1780 del 2012), dal momento che l’ordine pubblico esprime valori di natura indeclinabile ed è per l’effetto indisponibile, ovvero sia rilevabile solo su eccezione della parte che si oppone alla delibazione; 3.- se, ammessa la rilevabilità d’ufficio, rientri nei poteri della Corte d’appello, la cui indagine è astretta entro il limite del compendio istruttorio formatosi nel giudizio ecclesiastico, disporre l’acquisizione di ulteriori elementi di verifica; 4.- se l’incompatibilità in discorso, laddove si ritenga rilevabile d’ufficio, sia riscontrabile anche dalla Corte di Cassazione se emerge dagli atti (secondo quanto è avvenuto in sede di pronuncia n. 1343/2011) e sia dunque scrutinabile senza necessità d’ulteriore istruttoria.

Tutto ciò premesso, gli atti vanno rimessi al Primo presidente perchè valuti l’opportunità di rimettere la composizione delle indicate questioni alle Sezioni Unite.
P.Q.M.

La Corte:

rimette gli atti al Primo Presidente perchè valuti l’opportunità di assegnare la trattazione del ricorso alle Sezioni Unite.

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