In base all’art. 2051 c.c.: «Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito».
È noto che in ordine al titolo della responsabilità di cui alla citata norma si siano formati due indirizzi.
Un primo indirizzo, di matrice soggettiva, che oggi sembra minoritario, ravvisa nella fattispecie di cui all’art. 2051 c.c. un’ipotesi di responsabilità civile cd. aggravata, caratterizzata da una presunzione iuris tantum di colpa, cioè di mancanza di diligenza, vincibile solo con la prova del caso fortuito (in tal senso, Cass. civ., 17 maggio 2001 n. 6767, id., 26 gennaio 1999 n. 699, id., 9 febbraio 1994 n. 1332 14 gennaio 1992 n. 347, in dottrina, per tutti, C. M. Bianca, Diritto civile, La responsabilità, Milano, 1994, rist. 2002, 718).
Secondo altro, e più recente, indirizzo, di matrice oggettiva, la norma in parola contempla un’ipotesi di responsabilità oggettiva, perciò prescindente dalla colpa del custode, comunque anch’essa vincibile con la prova del fortuito (in tal senso, Cass. 15 gennaio 2003 n. 472, id., 20 luglio 2002 n. 10641, id., 16 novembre 1999 n. 12694, id., 20 maggio 1998 n. 5031, precedute dall’importante Cass., sez. un., 11 novembre 1991 n. 12019; in dottrina, per tutti, P.G. Monateri, La responsabilità civile, in Trattato di diritto civile [dir. R. Sacco], Torino, 1998, 1038).
Ad ogni modo, entrambe le esaminate teorie sulla natura della responsabilità per danno da cose in custodia, assecondando il tenore letterale dell’art. 2051 c.c., fanno gravare sul custode la prova liberatoria della di lui colpevolezza, cioè del caso fortuito, individuato dalla teoria oggettiva come l’evento atto ad interrompere il nesso di causalità tra condotta e danno, e dalla teoria soggettiva come sinonimo della di lui assenza di colpa, per aver adottato un comportamento diligente.
Del pari, entrambe le teorie affermano che due sono i requisiti della responsabilità ex art. 2051 c.c., e segnatamente, un rapporto tra la cosa ed il danno da essa derivante ed una relazione di custodia tra il titolare del potere fisico sulla cosa e quest’ultima.
Il primo requisito viene tradizionalmente individuato dalla giurisprudenza della S.C. come « . . . una relazione danno – cosa, che si esprime nella derivazione del danno dal dinamismo connaturato alla cosa o dallo sviluppo in essa di un agente dannoso . . . (in tal senso, espressamente, Cass., 26 gennaio 1999, cit.), con la conseguenza che il danno può dirsi derivato dal «fatto della cosa» (l’espressione è di Cass. 20 maggio 1998, cit.).
L’altro requisito si individua, per il custode, nel «potere di effettiva disponibilità e controllo della cosa», dal che discenderebbe che «custodi della cosa sono coloro che – privati o enti pubblici – ne hanno il possesso o la detenzione, legittimi o abusivi. Anche i locatari e i concessionari sono quindi presunti responsabili per i danni prodotti dalla cosa o dalle parti della cosa affidata alla loro custodia» (in tal senso, in dottrina, tra tutti, C. M. Bianca, op. cit., 716 s.).
Come sopra anticipato, la norma dell’art. 2051 c.c. addossa al custode la prova liberatoria del caso fortuito, che la teoria oggettiva individua come evento atto ad interrompere il nesso di causalità tra condotta e danno e la teoria soggettiva come esimente di colpa per il custode.
Con riferimento alla fattispecie del danno da caduta d’albero si assiste alla concordia tra la giurisprudenza di merito e di legittimità nel ravvisare una responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c. in capo al soggetto che ne aveva la custodia, ciò in quanto si tratta di evento prevedibile ed evitabile da una persona avveduta e diligente: «La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, a norma dell’art. 2051 c.c., può essere esclusa solo se si provi il caso fortuito, consistente in un evento imprevedibile ed eccezionale. Non può quindi ritenersi caso fortuito, interruttivo del nesso di causalità, un temporale, seppure caratterizzato da forti raffiche di vento e caduta di grandine – nella fattispecie si trattava del danno causato all’autovettura dalla caduta di un albero piantato ai bordi di una strada urbana – (in tal senso, espressamente, Trib. di Cagliari 6 dicembre 1995; ancora, Tribunale di Verona, 26 gennaio 1994, Cass., sez. un., 11 novembre 1991 n. 12019 cit., Cass. 26 febbraio 1994 n. 1947).
Nell’ipotesi in rassegna, quindi, a giusta ragione s’invoca la sussistenza della responsabilità da cose in custodia ex art. 2051 c.c., e ciò a legittimo detrimento della responsabilità ex 2043 c.c., norma usata (e spesso abusata) in materia di responsabilità civile aquiliana.
Giorgio Vanacore
avvocato in Napoli
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