Configura un abuso del processo la condotta dei ricorrenti che pur essendo stati parti di una medesima procedura iniziata nell’aprile del 1993 avanti al TAR del Lazio (avendo proposto un’identica domanda concernente l’adeguamento triennale dell’indennità giudiziaria) e pertanto essendo la domanda di riconoscimento dell’equo indennizzo per l’eccessiva durata di tale procedura basata sullo stesso presupposto giuridico e fattuale, hanno proposto nello stesso ristretto arco temporale dieci distinti ricorsi alla Corte d’appello competente con il patrocinio del medesimo difensore.
Secondo la Cassazione “Quanto alla liquidazione delle spese del giudizio di merito non può essere seguito il criterio propugnato dalla difesa dei ricorrenti secondo il quale, essendo stati proposti distinti ricorsi ex lege n. 89/2001, riuniti dalla Corte d’appello solo in esito alla discussione in camera di consiglio, spetterebbero gli onorari e i diritti distintamente per ogni procedimento fino al momento della riunione”.
Queste le motivazioni dell’ordinanza.
“La giurisprudenza della Corte ha già avuto modo di affrontare il tema dell’utilizzo dello strumento processuale con modalità tali da arrecare non solo un danno al debitore senza necessità o anche solo apprezzabile vantaggio per il creditore ma anche da interferire con il funzionamento dell’apparato giudiziario ed ha ritenuto una tale condotta lesiva sia del canone generale di buona fede oggettiva e correttezza, in quanto contrastante con il dovere di solidarietà di cui all’art. 2 della Costituzione, sia contraria ai principi del giusto processo in quanto la inutile moltiplicazione dei giudizi produce un effetto inflattivo confliggente con l’obiettivo costituzionalizzato della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 della Costituzione (Sent. Sezioni Unite, 15 novembre 2007, n. 23726).
Tali principi, pur enunciati in tema di rapporti negoziali, possono trovare applicazione anche in fattispecie quali quella in esame laddove l’evento causativo del danno e quindi giustificativo della pretesa sia identico come unico sia il soggetto che ne deve rispondere e plurimi soli i danneggiati i quali, dopo aver agito unitariamente nel processo presupposto così dimostrando la carenza di interesse alla diversificazione delle posizioni ed avere sostanzialmente tenuto la stessa condotta in fase di richiesta dell’indennizzo agendo contemporaneamente con identico patrocinio legale e proponendo domande connesse per l’oggetto e per il titolo, instaurano singolarmente procedimenti diversificati pur destinati inevitabilmente (come puntualmente avvenuto nella fattispecie) alla riunione.
Una tale condotta, che è priva di alcuna apprezzabile motivazione e incongrua rispetto alla rilevate modalità di gestione sostanzialmente unitaria delle comuni pretese, contrasta innanzitutto con l’inderogabile dovere di solidarietà sociale che osta all’esercizio di un diritto con modalità tali da arrecare un danno ad altri soggetti che non sia inevitabile conseguenza di un interesse degno di tutela dell’agente, danno che nella fattispecie graverebbe sullo Stato debitore a causa dell’aumento degli oneri processuali: ma contrasta altresì e soprattutto con il principio costituzionalizzato del giusto processo inteso come processo di ragionevole durata (55.UV. n. 23726/07, sopra citata) posto che la proliferazione oggettivamente non necessaria dei procedimenti incide negativamente sull’organizzazione giudiziaria a causa dell’inflazione delle attività che comporta con la conseguenza di un generale allungamento dei tempi processuali”.
In conclusione: “Al riscontrato abuso dello strumento processuale non può tuttavia conseguire la sanzione dell’inammissibilità dei ricorsi, posto che non è l’accesso in sé allo strumento che è illegittimo ma le modalità con cui è avvenuto, ma comporta l’eliminazione per quanto possibile degli effetti distorsivi dell’abuso e quindi, nella fattispecie, la valutazione dell’onere delle spese come se unico fosse stato il procedimento fin dall’origine”.
(Corte di Cassazione – Sezione Prima Civile, Ordinanza 3 maggio 2010, n.10634).
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