Nel diritto del lavoro, si è soliti parlare di omnicomprensività (e o unitarietà) della retribuzione, con riferimento a quel principio in base al quale la stessa includerebbe tutti indistintamente i compensi recanti i caratteri di continuità, obbligatorietà, corrispettività, determinatezza e o determinabilità.
Ordunque, ponendo attenzione al quadro normativo ed alle più recenti riflessioni giurisprudenziali e dottrinali, si constata, da ormai più di un ventennio, la vigenza di un principio opposto a quello della omnicomprensività (e ciò a decorrere dall’indirizzo inaugurato da Cass., sez. un., 13 febbraio 1984, n. 1069; conf., id., 23 dicembre 1999 n. 14484).
Tuttavia, quando una norma legislativa depone nel senso della omnicomprensività della retribuzione, essa è inderogabile in peius da qualsivoglia norma contrattuale collettiva (Cass., sez. unite, 4 aprile 1984 n. 2183).
Da tutto quanto detto discende che ove una disposizione testuale (normativa e o pattizia) non stabilisca expressis verbis che un dato compenso, avente carattere continuativo nel tempo, costituisca base di calcolo di un dato istituto retributivo – come accade per l’indennità di mancato preavviso ai sensi e per gli effetti del chiaro disposto dell’art. 2121 c.c. –, non è a parlarsi di unitarietà della retribuzione, del che è riprova il seguente pronunciato: «L’inesistenza di un principio di onnicomprensività della retribuzione comporta che un certo emolumento non possa, in mancanza di una previsione esplicita di legge o di contratto collettivo, essere incluso nella base di calcolo di altri istituti retributivi e che la contrattazione collettiva possa legittimamente escludere determinate voci retributive dalla computabilità ai fini dei vari istituti indiretti, salvo che questi siano regolati da norma imperativa (come nel caso della tredicesima mensilità la cui base di calcolo – ex art. 9 dell’accordo interconfederale 27 ottobre 1946, esteso “erga omnes” con d.P.R. 28 luglio 1960 n. 1070 – è costituita dalla retribuzione globale mensile di fatto); restando l’interpretazione della disciplina collettiva di diritto comune riservata al giudice del merito, la cui valutazione è censurabile in sede di legittimità solo per violazione di criteri legali di ermeneutica contrattuale o per vizi di motivazione. (Nella specie, l’impugnata sentenza, confermata in tale parte dalla S.C., aveva ritenuto che la contrattazione collettiva dei dipendenti di imprese di navigazione marittima non prevedeva, fino al c.c.n.l. 8 novembre 1991, la regola della computabilità dell’indennità per lavoro notturno prestato a turni avvicendati nella base di calcolo per quattordicesima mensilità, ferie e permessi; tale pronuncia è stata invece cassata nella parte in cui escludeva tale computabilità nella gratifica natalizia o tredicesima mensilità (in tal senso, espressamente, Cass., sez. lav., 5 novembre 1998, n. 11137; conff., in dottrina, tra gli altri, Persiani, Il tramonto del principio della omnicomprensività della retribuzione e il problema del giudice sulla contrattazione collettiva, nota a Cass., sez. un. sent. 1069/1984, cit., Giur. It., 1984, I, 1, 1557; carinci ed aa., Diritto del lavoro, Torino, 1994, 326).
Ad ogni modo, al fine di orientare l’interprete nei numerosi casi – limite che abbiano a riguardare la materia de qua, la giurisprudenza ha anche suggerito l’adozione di un criterio di accertamento ex ante del requisito della continuatività di un istituto retributivo: «Con riguardo ad istituti retributivi indiretti il cui importo, in mancanza di una regola legale di onnicomprensività, debba essere determinato alla stregua della retribuzione normale definita dalla disciplina collettiva (nella specie, art. 6, c.c.n.l. del 1976 per gli autoferrotranvieri), la continuatività di un compenso (nella specie, per lavoro notturno), ai fini dell’inclusione di esso nella retribuzione predetta, deve essere accertata ex ante e non già ex post e, quindi, con riferimento alla sussistenza o no di una previsione astratta di sua corresponsione e non già alla stregua della continuatività in concreto della sua erogazione» (in tal senso, espressamente, Cass., sez. lav., 11 giugno 1990, n. 5654).
Ancora di recente, la S.C. è tornata su tale ultimo punto, assumendo che il carattere costante della corresponsione del compenso per lavoro notturno non è indice presuntivo dell’omnicomprensività, in assenza di altri indici testuali (legge o contratto collettivo): «L’incidenza di un elemento retributivo nella determinazione di altri, fatti salvi i casi disciplinati dalla legge, non dipende dalla mera frequenza dell’erogazione: ad esempio nella quantificazione della retribuzione spettante durante le ferie il compenso per lavoro notturno prestato con continuità può essere computato solo se previsto dalla disciplina collettiva (Cass., sez. lav., 16 maggio 2003, n. 7707).
Giorgio Vanacore
Avvocato in Napoli
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