Nell’ipotesi di indirizzo del destinatario presente, sia nel REginde, che nell’IPA, l’unica notifica valida è quella effettuata all’indirizzo Reginde; tale regola si applica anche al caso in cui l’indirizzo PEC compaia esclusivamente nel registro IPA e anche se ciò dipenda dall’inadempimento dell’ente pubblico rispetto alla richiesta di comunicare al Reginde il proprio indirizzo telematico necessario per le notificazioni PEC ad effetti legali. Cassazione civile sez. III, 25/08/2021, n.23445
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio - Presidente - Dott. SESTINI Danilo - Consigliere - Dott. POSITANO Gabriele - rel. Consigliere - Dott. VALLE Cristiano - Consigliere - Dott. MOSCARINI Anna - Consigliere - ha pronunciato la seguente: ORDINANZA sul ricorso 11904/2019 proposto da: UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA C. MONTEVERDI 16, presso lo studio dell'avvocato GIUSEPPE CONSOLO, rappresentato e difeso dall'avvocato PAOLO LAGUZZI; - ricorrenti - contro COMUNE DI TORTONA, rappresentato e difeso dall'Avv. GIANLUCA MARENZI, con domicilio unificato in Tortona, Corso Alessandro 62; - controricorrenti - avverso la sentenza n. 212/2019 della CORTE D'APPELLO di TORINO, depositata il 04/02/2019.
che:
Unipol sai S.p.A. evocava in giudizio, davanti al Tribunale di Alessandria, il Comune di Tortona chiedendone la condanna al pagamento della somma di Euro 91.344,85, oltre interessi moratori e spese legali, a titolo di franchigie (Euro 1500 per sinistro) anticipate dalla compagnia ai terzi danneggiati, con riferimento a 105 sinistri verificatisi tra l’anno (OMISSIS) e l’anno (OMISSIS), a carico del Comune, quale assicurato con tre distinte polizze stipulate per la responsabilità civile verso terzi e verso i prestatori di lavoro, con Milano Assicurazioni (poi confluita in UnipolSai). Tali polizze prevedevano delle franchigie fisse a carico dell’ente pubblico che non erano state corrisposte all’assicuratore. Il Comune non si costituiva in giudizio e ne veniva dichiarata la contumacia;
il Tribunale di Tortona, con sentenza del 22 dicembre 2016, accoglieva la domanda;
avverso tale decisione l’amministrazione comunale proponeva appello, con atto analogico notificato a mezzo di ufficiale giudiziario in data 9 marzo 2017, chiedendo la riforma della decisione. Preliminarmente il Comune rilevava la nullità della notifica telematica dell’atto di citazione di primo grado del 20 gennaio 2015 perché non effettuata ad alcuno degli indirizzi risultanti dai pubblici elenchi previsti del D.L. n. 179 del 2012, art. 16 ter, ma ad un indirizzo pec estratto dall’indice PA (o IPA) che non avrebbe potuto considerarsi “pubblico elenco”, valido ai fini della notificazione degli atti in materia civile. Rilevava l’improcedibilità della domanda per mancato esperimento della procedura di mediazione obbligatoria, la violazione dell’art. 102 c.p.c., per non essere stato integrato il contraddittorio nei confronti del broker, la prescrizione ai sensi dell’art. 2952 c.c., ed il difetto di prova. Si costituiva Unipolsai Assicurazioni chiedendo il rigetto del gravame, contestando tutti i motivi di impugnazione. Chiedeva l’acquisizione agli atti del giudizio dei documenti maturati successivamente alle preclusioni probatorie di primo grado relativi, tra l’altro, all’estratto del registro di protocollo del Comune di Tortona acquisito sulla base di un giudicato amministrativo formatosi nelle more del giudizio;
la Corte d’Appello di Torino, con sentenza del 4 febbraio 2019, in accoglimento dell’appello proposto, dichiarava la nullità della sentenza del Tribunale di Alessandria, pubblicata il 22 dicembre 2016, rimettendo la causa al primo giudice, condannando l’assicuratore al pagamento delle spese di lite;
avverso tale decisione propone ricorso per cassazione UnipolSai assicurazioni affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso il Comune di Tortona, che deposita procura speciale alle liti. Entrambe le parti depositano memorie. La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..
preliminarmente, il ricorso è ammissibile, atteso che la sentenza, con cui il giudice d’appello riforma o annulla la decisione di primo grado e rimette la causa al giudice “a quo” ex artt. 353 o 354 c.p.c., è immediatamente impugnabile con ricorso per cassazione, trattandosi di sentenza definitiva, che non ricade nel divieto, dettato dall’art. 360 c.p.c., comma 3, di separata impugnazione in cassazione delle sentenze non definitive su mere questioni, per tali intendendosi solo quelle su questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito che non chiudono il processo dinanzi al giudice che le ha pronunciate (Cass. Sez. U., Sentenza n. 25774 del 22/12/2015, Rv. 637968 – 01);
con il primo motivo si deduce la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, L. n. 53 del 1994, artt. 3 bis e 11, D.L. n. 179 del 2012, art. 16 ter e dell’art. 160 c.p.c.. Nonostante l’esistenza di pronunzie della Corte di Cassazione che confermerebbero la tesi sostenuta dalla Corte d’Appello, vi sarebbero ragioni per discostarsi da tale orientamento.
Infatti, i pubblici elenchi per la notificazione degli atti erano stati introdotti dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16 ter, che riportava, tra gli elenchi pubblici, anche l’IPA (indice delle Pubbliche Amministrazioni), il registro INI-PEC ed il REGINDE, cioè il Registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della Giustizia, contenente i dati identificativi, nonché l’indirizzo di posta elettronica certificata dei soggetti abilitati esterni è alimentato da quanto previsto dalle specifiche tecniche oggetto del provvedimento del DGSIA del 16 aprile 2014. Il D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito nella L. 11 agosto 2014, n. 114, aveva modificato il comma 1 della Legge di Conversione del D.L. n. 179 (L. 17 dicembre 2012, n. 221) eliminando l’IPA dal novero dei pubblici elenchi, con la conseguenza che dal 18 agosto 2014 potevano ritenersi tali solo quelli previsti del citato art. 16 ter, comma 6 e cioè quelli del Registro delle imprese, INI-PEC, REGINDE, ANPR e Registro PPAA. La giurisprudenza di legittimità si è sempre riferita ad ipotesi nelle quali la notifica doveva essere eseguita nei confronti di un soggetto (ed es. Avvocatura dello Stato, Ministeri, eccetera) comunque iscritto al REGINDE. Nel caso di specie il Comune di Tortona non era registrato presso tale elenco, per cui le decisioni di legittimità richiamate dalla Corte territoriale non sarebbero pertinenti. Il Comune di Tortona è tra le amministrazioni inadempienti, che non hanno presentato richiesta al Ministero di Giustizia di censimento del proprio indirizzo entro il termine del 30 novembre 2014. Il problema che si pone nel presente giudizio è quello se l’Indice PA, presso cui è stata eseguita la notifica, può considerarsi un pubblico elenco e se una siffatta notificazione deve ritenersi nulla anche nel caso di ente pubblico non censito nel REGINDE. La giurisprudenza di merito, in tali fattispecie, avrebbe ritenuto sussistente l’errore scusabile sulle modalità della notificazione;
a prescindere da ciò, trattandosi di difformità rispetto al modello legale l’effetto non sarebbe quello della nullità, operando il principio previsto all’art. 156 c.p.c., che consente una valutazione di idoneità al raggiungimento dello scopo dell’atto. In definitiva, l’Indice PA o IPA, pur non richiamato dall’art. 16 ter, sarebbe un pubblico elenco, come affermato dalla giurisprudenza di merito. E, la notifica effettuata ad un indirizzo tratto da tale indice non sarebbe nulla, ma solo irregolare, riguardando le formalità relative al luogo di notificazione che non inciderebbero sulla idoneità dell’atto al raggiungimento dello scopo. In via subordinata, poiché tale irregolarità sarebbe stata determinata dall’inerzia della amministrazione rispetto all’obbligo legale di comunicare un diverso indirizzo PEC da inserire nel pubblico elenco tenuto dal Ministero della Giustizia, il giudice non avrebbe potuto dichiarare la nullità della notifica;
con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 156 c.p.c., u.c.. Tale disposizione inibisce la declaratoria di nullità nel caso in cui l’atto abbia raggiunto lo scopo cui è destinato e consente il richiamo all’art. 160 c.p.c.. Nel caso di specie la notifica avrebbe prodotto il risultato dell’effettiva conoscenza dell’atto per cui la questione di nullità non avrebbe potuto essere dedotta, se non prospettando anche le ragioni per le quali la erronea applicazione della regola processuale avrebbe comportato, per la controparte, la specifica lesione del diritto di difesa;
con il terzo motivo, si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione delle medesime disposizioni oggetto del primo motivo, nonché dell’art. 354 c.p.c.. Il giudice di legittimità, quale giudice del fatto a fronte di una eccezione processuale, potrebbe valutare l’erroneità della decisione di appello che, rimettendo la causa al primo giudice avrebbe precluso alla compagnia di assicurazioni appellata di ottenere una decisione di merito sul diritto di credito azionato;
i motivi vanno trattati congiuntamente perché strettamente connessi e sostanzialmente del tutto sovrapponibili;
appare opportuna una premessa sulla disciplina di settore. Il D.L. 29 novembre 2008, n. 185, prevedeva che le pubbliche amministrazioni, qualora non avessero provveduto ai sensi del menzionato art. 47 CAD, avrebbero dovuto istituire una casella (o un indirizzo) di posta elettronica certificata, da comunicare al Centro Nazionale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione (CNIPA), il quale avrebbe provveduto alla pubblicazione di tali caselle in un elenco consultabile per via telematica (art. 16, comma 8);
la L. 24 dicembre 2012, n. 228, ha successivamente inserito l’IndicePA tra i pubblici elenchi, rendendolo utilizzabile per tutte le notifiche;
il D.Lgs. 26 agosto 2016, n. 179, art. 6 ter, ha poi ha inserito l’IPA nel Codice dell’amministrazione digitale;
dal D.Lgs. 13 dicembre 2017, è stato poi ridenominato “Indice dei domicili digitali delle P.A. e dei gestori di pubblici servizi” e definito “pubblico elenco di fiducia”;
per quello che interessa in questa sede, l’IPA era equiparato agli elenchi pubblici dai quali poter acquisire gli indirizzi PEC validi per le notifiche telematiche, dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16 ter. Il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16 sexies (convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, come introdotto dal D.L. n. 90 del 2014, art. 52, a sua volta convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 114) stabiliva che “salvo quanto previsto dall’art. 366 c.p.c., quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui al D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6-bis, nonché dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia”;
pertanto, fatto salvo quanto disposto dall’art. 366 c.p.c., per il giudizio di cassazione, la notificazione degli atti destinati a soggetti tenuti a “munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata” doveva eseguirsi presso il medesimo indirizzo PEC “comunicato”;
come rilevato dalla ricorrente, ai sensi del D.L. n. 179 del 2012, art. 16, suddetto comma 12, nel testo risultante dalla modifica attuata con D.L. n. 90 del 2014, le amministrazioni pubbliche avrebbero dovuto comunicare, entro il 30 novembre 2014, al Ministero della Giustizia l’indirizzo PEC valido ai fini della notifica telematica nei loro confronti, da inserire in un apposito elenco. La disposizione era, però, priva di sanzione;
il comma 1 dell’art. 16 ter, prevede che “a decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, artt. 6-bis, 6-quater e 62, dall’art. 16, comma 12, del presente Decreto, del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 16, comma 6, convertito con modificazioni dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2, nonché il Registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della Giustizia”;
il D.P.C.M. 16 febbraio 2016, n. 40, art. 14, comma 2 (Regolamento recante le regole tecnico-operative per l’attuazione del PAT), prevede che le notificazioni alle amministrazioni non costituite in giudizio sono eseguite agli indirizzi PEC di cui al D.L. n. 179 del 2012, art. 16, comma 12, fermo quanto previsto dal R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611;
il D.L. n. 179 del 2012, art. 16 ter – in seguito alla modifica ad opera del D.L. n. 90 del 2014 – non include più tra gli elenchi rilevanti ai fini dell’estrazione degli indirizzi validi per la notificazione di atti processuali l’Indice PA e si limita a richiamare della L. n. 2 del 2009, art. 16, comma 6, che riguarda il registro delle imprese;
permane la regolarità della notificazione alle P.A. eseguita presso l’indirizzo digitale estratto dall’elenco di cui del menzionato D.L. n. 179 del 2012, art. 16, comma 12 (ReGIndE o Registro Generale degli Indirizzi Elettronici);
il “ReGIndE” contiene, fra l’altro, gli indirizzi di posta elettronica certificata di quelle pubbliche amministrazioni che hanno comunicato di voler ricevere le notificazioni per via telematica, in conformità con quanto previsto del medesimo D.L. n. 179 del 2012, art. 16 ter, comma 1 bis;
da ultimo, il legislatore al fine agevolare la individuazione di un domicilio elettronico idoneo alla notificazione telematica, ha previsto al D.L. n. 76 del 2020, art. 28, comma 1, lett. c), (D.L. 16 luglio 2020, n. 76, contenente “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione”, non applicabile al caso in esame ratione temporis), che “in caso di mancata indicazione nell’elenco di cui all’art. 16, comma 12 (nel ReGIndE), la notificazione alle pubbliche amministrazioni degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale è validamente effettuata, a tutti gli effetti, al domicilio digitale indicato nell’elenco previsto dal D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6-ter (nell’Indice PA);
secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, riferito alle ipotesi in cui l’indirizzo del destinatario sia stato inserito nel Reginde, è nulla la notifica eseguita presso un diverso indirizzo di posta elettronica tratto da altri registri, come quello IPA (Cass. 5 aprile 2019, n. 9562, afferma che l’unico registro valido è quello inserito nel Reginde; Cass. n. 23738 del 2018, si riferisce alla notifica eseguita a un indirizzo diverso da quello del Reginde; Cass. n. 11574 del 2018 e Cass. n. 14523 del 2017, riguardano ipotesi di notifiche eseguite presso l’Avvocatura dello Stato, che ha un indirizzo nel Reginde ed altri indirizzi presenti in altri elenchi);
ritiene questa corte che costituisca principio generale quello secondo cui, nell’ipotesi di indirizzo del destinatario presente, sia nel REginde, che nell’IPA, l’unica notifica valida è quella effettuata all’indirizzo Reginde;
tale regola si applica anche al caso in cui l’indirizzo PEC compaia esclusivamente nel registro IPA e anche se ciò dipenda dall’inadempimento dell’ente pubblico rispetto alla richiesta di comunicare al Reginde il proprio indirizzo telematico necessario per le notificazioni PEC ad effetti legali;
in questi termini deve essere interpretato anche il citato decreto L. 16 luglio 2020, n. 76, contenente “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione”, non applicabile al caso in esame, ratione temporis, secondo cui la notificazione alle pubbliche amministrazioni è validamente effettuata anche presso il domicilio digitale indicato nell’elenco previsto dall’art. 6-ter del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82. Infatti, se il legislatore ha ritenuto necessario introdurre tale specifica disciplina, deve desumersi che la precedente normativa non consentisse di effettuare una valida notifica presso il registro IPA;
inoltre, se il legislatore avesse voluto dettare una interpretazione autentica della precedente normativa di settore, avrebbe dovuto chiarirlo, mentre alcun elemento in tal senso è dato evincere dal nuovo dato normativo, con la conseguenza che i principi applicabili sono quelli correttamente richiamati dalla Corte territoriale che, per quanto detto, non trovano deroga nell’ipotesi in cui l’amministrazione sia stata inadempiente rispetto alla richiesta di comunicare il proprio indirizzo telematico al Reginde (e, conseguentemente, sia titolare di un indirizzo PEC esclusivamente nel registro IPA);
deve infatti rilevarsi che, quando la legge prevede che, ai fini dello svolgimento della tutela giurisdizionale, sia necessario espletare un adempimento, che rilevi anche per la controparte, quando la norma non individua uno specifico comportamento processuale a carico della controparte, in mancanza di adempimento, troveranno applicazione le regole generali vigenti per l’espletamento di tale adempimento. Le norme prevedevano una rituale modalità alternativa di notificazione che, nel caso di specie, non è stata espletata;
va ribadito, quindi, il principio della nullità della notifica per violazione delle disposizioni che, ai fini della validità delle notificazioni telematiche degli atti, attribuiscono valenza soltanto ad alcuni elenchi, con la conseguenza che, ogni differente recapito informatico, ancorché effettivamente collegato all’amministrazione destinataria, non costituisce l’indirizzo ritenuto dal legislatore idoneo al perfezionamento della notificazione;
il profilo del collegamento dell’indirizzo all’amministrazione destinataria rileva al (diverso) fine dell’eventuale sanatoria del vizio di nullità, attraverso la costituzione. Ai sensi dell’art. 160 c.p.c., la nullità della notifica telematica avvenuta presso altro indirizzo PEC dell’amministrazione, è sanabile esclusivamente con la costituzione in giudizio del destinatario della notificazione, secondo il principio del raggiungimento dello scopo previsto dall’art. 156 c.p.c., comma 3. Nel caso di specie tale costituzione, come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale, non è avvenuta;
le considerazioni che precedono consentono di superare le ulteriori censure oggetto del secondo motivo, già prese in esame e confutate dalla Corte territoriale, riguardo all’ambito di operatività del principio di raggiungimento dello scopo, non ricorrendo l’ipotesi di inesistenza della notificazione, ma di nullità, per mancato rispetto delle regole del domicilio digitale. Infine, come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale, il Comune, quale parte appellante, aveva ben individuato il pregiudizio subito per non essere stato posto nelle condizioni di partecipare al giudizio di primo grado, indicando le attività processuali che avrebbe svolto in quella sede;
ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; le spese del presente giudizio di cassazione vanno integralmente compensate tra le parti attesa la sostanziale novità della specifica questione. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315), evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza della Corte Suprema di Cassazione, il 23 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2021