L’irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna telematica ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell’atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale. Con specifico riferimento alla copia notificata al convenuto, la mancanza della sottoscrizione del difensore non ne comporta la nullità se dalla copia stessa sia possibile desumere, sulla scorta degli elementi in essa contenuti, la provenienza da procuratore abilitato munito di mandato. Quel che infatti rileva, ai fini del raggiungimento dello scopo d’un atto affetto da nullità per difetto di sottoscrizione, è non già la sua conoscibilità, sebbene la sua riferibilità alla persona che ne appare l’autore. In particolare, non si verifica una nullità quando dalla copia dell’atto di citazione notificato, pur priva della firma del difensore, sia possibile desumere la provenienza dal procuratore abilitato.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21666/2018 R.G. proposto da:
R.M., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Paolo Venturi e Pierfrancesco Macone, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Nazario Sauro, n. 16;
– ricorrente –
contro
S.V., rappresentata e difesa dall’Avv. Fabio Bajetto, domiciliato, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 2, presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1097 del Tribunale di Genova depositata il 17 aprile 2018;
Udita la relazione svolta in camera di consiglio dal Consigliere Dott. Cosimo D’Arrigo;
letta la sentenza impugnata;
letto il ricorso, il controricorso e le memorie depositate ai sensi dell’art. 380-bis-1 c.p.c..
Svolgimento del processo
R.M. conveniva in giudizio, dinanzi al Giudice di pace di Genova, S.V., proprietaria dell’appartamento sovrastante il suo, sostenendo che da questo provenissero delle infiltrazioni di umidità.
Il Giudice di pace dichiarava la contumacia della convenuta e, accogliendo la domanda, la condannava al pagamento della somma di 3.220 Euro.
La S. appellava la decisione, sostenendo che la domanda dell’attrice fosse sprovvista di prova. L’appellata, per ciò che qui rileva, eccepiva l’inesistenza dell’atto di appello, in quanto la copia notificata non era firmata digitalmente; lamentava, inoltre, la mancanza della firma digitale anche nella procura alle liti e l’inesistenza della notificazione dell’atto di appello, mancando la relata.
Il Tribunale di Genova, in funzione di giudice d’appello, accoglieva l’impugnazione, rigettava le domande proposte in primo grado e compensava integralmente tra le parti le spese di lite.
Avverso tale sentenza la R. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. La S. ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie difensive.
Motivi della decisione
1. La ricorrente sostiene che la S. era decaduta dal termine perentorio per proporre l’appello, in quanto l’atto di impugnazione, la relativa procura alle liti e la sua notificazione erano afflitti da vizi tali da determinarne l’inesistenza.
2.1 Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 125 c.p.c., nonchè del D.L. n. 179 del 2012, del D.M. n. 44 del 2011, artt. 18 e 34, del D.M. Giustizia 16 aprile 2014, art. 12, del D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 20, comma 1-bis, della L. n. 53 del 1994, art. 3-bis.
In particolare, la ricorrente si duole della circostanza che l’atto di citazione in appello le sia stato notificato tramite una PEC contenente tre files non firmati digitalmente, riportanti l’estensione “.pdf”, anzichè “.p7m”.
Il motivo è infondato.
2.2 In primo luogo la doglianza sul difetto di qualificazione “.p7m” dell’atto non è fondata.
Secondo la recente giurisprudenza di questa Corte, infatti, le firme digitali di tipo CAdES e di tipo PAdES, sono entrambe ammesse ed equivalenti, sia pure con le differenti estensioni “.p7m” e “.pdf”, e devono, quindi, essere riconosciute valide ed efficaci, anche nel processo civile di cassazione, senza eccezione alcuna (Sez. U, Sentenza n. 10266 del 27/04/2018, Rv. 648132 – 02; Sez. 2, Sentenza n. 30927 del 29/11/2018, Rv. 651536 – 01).
2.3 Con riferimento poi all’asserita violazione delle regole dettate dalla L. n. 53 del 1994, art. 3-bis, e dal relativo Decreto ministeriale di attuazione, correttamente il giudice di appello ha ritenuto che ogni eventuale nullità fosse stata sanata dal raggiungimento dello scopo, ai sensi dell’art. 156 c.p.c. Difatti, l’irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna telematica ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell’atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale (Sez. U, Sentenza n. 7665 del 18/04/2016, Rv. 639285 – 01).
Peraltro, con specifico riferimento alla copia notificata al convenuto, è stato precisato che la mancanza della sottoscrizione del difensore non ne comporta la nullità se dalla copia stessa “sia possibile desumere, sulla scorta degli elementi in essa contenuti, la provenienza da procuratore abilitato munito di mandato. Quel che infatti rileva, ai fini del raggiungimento dello scopo d’un atto affetto da nullità per difetto di sottoscrizione, è non già la sua conoscibilità, sibbene la sua riferibilità alla persona che ne appare l’autore” (Sez. 3, Ordinanza 15 maggio 2018, n. 11793, non massimata, in motivazione). In particolare, non si verifica una nullità quando dalla copia dell’atto di citazione notificato, pur priva della firma del difensore, sia possibile desumere la provenienza dal procuratore abilitato.
3.1 Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 83 c.p.c., del D.M. n. 44 del 2011, art. 18, comma 5, della L. n. 53 del 1994, art. 3-bis e del D.L. n. 179 del 2012, art. 16-undecies. La ricorrente si duole della mancanza dell’attestazione di conformità e della sottoscrizione digitale della procura alle liti allegata all’atto di citazione in appello, che – a causa di tali mancanze – sarebbe priva pure del carattere della specificità.
Il motivo è infondato.
3.2 Per quanto attiene al formato “.pdf”, anzichè “.p7m”, della procura si rinvia a quanto sopra rilevato in relazione al primo motivo (par. 2.2), ribadendosi l’irrilevanza del formato per la validità dell’atto.
3.3 L’attestazione di conformità è stata prodotta in occasione dell’iscrizione a ruolo e del deposito del fascicolo telematico. A quella data era ancora possibile il rilascio ex novo della procura, secondo quanto previsto dall’art. 125 c.p.c., comma 2.
La ricorrente sostiene che tale articolo non potrebbe applicarsi alla notifica a mezzo PEC, che è regolata da norme speciali.
Tale asserzione non è, tuttavia, condivisibile, in quanto non si scorge alcuna incompatibilità fra le regole della notificazione degli atti giudiziari a mezzo PEC e la possibilità di regolarizzare il mandato alle liti nel termine stabilito dall’art. 125 c.p.c., comma 2.
Si aggiunga, inoltre, che la circostanza che l’atto di citazione sia stato notificato tramite PEC certamente non esclude l’applicazione dell’art. 182 c.p.c., comma 2. A maggior ragione, pertanto, deve ritenersi consentito integrare i poteri rappresentativi, mediante il deposito telematico di una procura alle liti debitamente munita di asseverazione di conformità, al momento dell’iscrizione a ruolo della causa.
4.1 Con il terzo motivo si deduce la violazione della normativa relativa alla sottoscrizione, trasmissione e notifica degli atti propri a mezzo PEC, del D.M. n. 44 del 2011, art. 18, n. 5, (così come modificato dal D.M. n. 48 del 2013), della L. n. 53 del 1994, art. 3-bis, commi 4 e 5, del D.L. n. 179 del 2012, art. 16-undecies e degli art. 148 e 156 c.p.c. La ricorrente lamenta l’inesistenza della notificazione – oltre che per i vizi dell’atto di citazione e della procura alle liti sopra trattati – per difetto della relata di notifica e per l’indicazione asserita-mente errata nell’oggetto della PEC. Il motivo è infondato.
4.2 Anzitutto, la notificazione a mezzo PEC sarebbe nulla perchè – in violazione della L. n. 53 del 1994, art. 3-bis, comma 4, – nell’oggetto non era riportata la dicitura “notifica ai sensi della L. n. 53 del 1994”.
La censura è infondata.
Infatti, l’irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna dello stesso ha comunque prodotto il risultato della sua conoscenza e determinato così il raggiungimento dello scopo legale (Sez. U, Sentenza n. 23620 del 28/09/2018, Rv. 650466 – 02; fattispecie relativa alla mancata indicazione, nell’oggetto del messaggio di PEC, della dizione “notificazione ai sensi della L. n. 53 del 1994”).
4.3 Più in generale, però, deve dirsi che pure le notifiche a mezzo PEC opera il principio della sanatoria della nullità se l’atto ha raggiunto il suo scopo, ex art. 156 c.p.c., comma 3, (Sez. U, Sentenza n. 7665 del 18/04/2016, Rv. 639285 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 20625 del 31/08/2017, Rv. 645225 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 24568 del 05/10/2018, Rv. 651155 – 03).
La ricorrente richiama la sentenza di questa Corte n. 23968 del 12 ottobre 2017, ma si tratta di un precedente inconferente, perchè si trattava di un caso in cui la notifica venne effettuata prima presso il domicilio del difensore, non andata a buon fine, e poi ripetuta solo tramite posta elettronica non certificata neppure dal difensore della parte, bensì da una sua collaboratrice.
5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, nella misura indicata nel dispositivo.
Ricorrono altresì i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lei proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2020