L’ordine di liberazione dei terreni emesso dal giudice delegato in sede fallimentare, «pur se strutturato sul modello di un tipico strumento del giudice dell’esecuzione, rimane un decreto del giudice delegato e, in quanto tale, deve essere impugnato con gli strumenti propri del procedimento concorsuale». (Cassazione civile sez. I, 06/11/2024, n.28509)

RILEVATO CHE

  1. Il giudice delegato al Fallimento di AGRICOLA MAINE Srl, con decreto in data 27 dicembre 2017, ordinava a La Valletta Società Agricola Srl, ai sensi dell’art. 560 cod. proc. civ., la liberazione anticipata dei terreni appartenenti alla società fallita da essa condotti in affitto agrario, sul rilievo che il canone pattuito col contratto registrato in data 18 ottobre 2017 era inferiore di un terzo al giusto prezzo, ex art. 2923, comma 3, cod. civ.

L’intimata proponeva opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi avverso l’atto di precetto notificatole dal curatore fallimentare in forza di tale provvedimento giudiziario.

Il Tribunale di Vicenza dichiarava l’inammissibilità dell’opposizione, in quanto l’unica forma di gravame proponibile contro l’ordine di liberazione anticipata emesso dal G.D. è il reclamo ex art. 26 L.Fall., per la cui proposizione non era stato rispettato il termine perentorio di dieci giorni previsto dalla disciplina fallimentare; aggiungeva che La Valletta Società Agricola a r.l. non era legittimata a impugnare il provvedimento, dato che non era titolare del titolo opponibile, in quanto il contratto di affitto agrario era stato stipulato dai suoi soci, Va.Ni. e Va.Ma.

  1. L’appello proposto da La Valletta Società Agricola a r.l. contro la decisione veniva respinto dalla Corte d’Appello di Venezia.

2.1 Il giudice distrettuale ricordava che al G.D. è riconosciuta la possibilità di emettere un provvedimento immediato di liberazione dell’immobile assoggettato a procedura concorsuale ai sensi dell’art. 560 cod. proc. civ.

Evidenziava che, nel caso in cui all’espropriazione si dia corso in sede fallimentare, lo strumento di difesa avverso l’ordine di liberazione emesso dall’organo della procedura concorsuale è quello proprio della procedura stessa, ovvero il reclamo previsto dall’art. 26 L.Fall.

Rilevava che la società appellante non aveva proposto impugnazione nella sede competente, ma aveva azionato il rimedio dell’opposizione all’esecuzione, che risultava, di conseguenza, inammissibile.

  1. La Valletta Società Agricola a r.l. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza di rigetto dell’appello, pubblicata in data 1 dicembre 2020, prospettando quattro motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso AGRICOLA MAINE Srl, tornata in bonis a seguito della definitività del decreto di omologa del concordato fallimentare da essa stessa presentato.
    Diritto
    CONSIDERATO CHE

4.1 Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 615 e 617 cod. proc. civ. e 26 L.Fall. si sostiene che nel caso di specie, in cui l’esecuzione non era mai iniziata, la tutela approntata dall’art. 26 L.Fall. non costituiva il rimedio esclusivo attivabile per impugnare gli atti esecutivi formati in sede fallimentare.

4.2 Il secondo e il terzo motivo di ricorso deducono, con riferimento all’art. 112 cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia sul secondo e sul terzo motivo di appello, con cui erano state, rispettivamente, denunciate l’irregolarità della notifica dell’ordine di liberazione anticipato e l’inesistenza di tale ordine.

4.3 Anche il quarto motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza impugnata, questa volta ai sensi dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., perché identica, nella sua parte motiva, ad altra sentenza emessa dalla medesima corte distrettuale nel giudizio di opposizione ex art. 615 c.p.c. proposto dalla ricorrente contro il diverso ordine di liberazione emesso dal G.D. nei confronti dei suoi soci, Va.Ni. e Va.Ma.

  1. Il primo motivo è infondato.

5.1 La corte di merito ha fatto richiamo al risalente e consolidato orientamento di questa Corte (fin da Cass. 2576/1970) secondo cui l’ordine di liberazione previsto dall’art. 560 cod. proc. civ. può essere adottato tanto nell’esecuzione individuale, quanto in quella concorsuale, in quest’ultimo caso tramite un provvedimento emesso dal giudice delegato alla procedura.

Una simile interpretazione estensiva conserva la sua attualità malgrado non sia più in vigore il disposto dell’art. 105, comma 1, L.Fall., che per le vendite fallimentari prevedeva l’applicazione delle disposizioni del codice di procedura civile relative al processo di esecuzione nei limiti della compatibilità.

Infatti, se la finalità dell’ordine di liberazione è quella di adottare un provvedimento sommario esecutivo semplificato funzionale agli scopi del processo di espropriazione forzata e, in particolare, all’esigenza pubblicistica di garantire la gara per la liquidazione del bene pignorato alle migliori condizioni possibili, notoriamente connesse, sul mercato dei potenziali acquirenti, allo stato di immediata, piena e incondizionata disponibilità dell’immobile (Cass. 9877/2022), non vi è motivo per ritenere che un simile strumento non possa essere adottato, ai medesimi fini, nell’ambito di un’esecuzione collettiva.

È opportuno poi ricordare che la locazione “a canone vile” stipulata in data anteriore al pignoramento non è opponibile all’aggiudicatario ai sensi dell’art. 2923, comma 3, cod. civ., ed è inopponibile anche alla procedura, e ai creditori che ad essa danno impulso, in ragione dell”interesse pubblicistico al rituale sviluppo del processo esecutivo, ovvero per un motivo di ordine pubblico processuale, che impone l’anticipazione degli effetti favorevoli dell’aggiudicazione e del decreto di trasferimento, col peculiare regime di efficacia ultra partes di quest’ultimo; ne consegue che è pienamente legittima l’emanazione diretta, da parte del giudice dell’esecuzione, dell’ordine di liberazione – con la successiva attuazione da parte del custode, senza che sia necessario munirsi preventivamente di un titolo giudiziale conseguito in sede cognitiva – avvalendosi delle stesse inopponibilità previste per l’aggiudicatario, potendo i vari soggetti coinvolti o pregiudicati da tale provvedimento trovare tutela delle loro ragioni nelle forme dell’opposizione agli atti esecutivi (Cass. 9877/2022, Cass. 12473/2023).

5.2 L’adottabilità dell’ordine di liberazione in sede fallimentare (non contestata in alcun modo dall’odierna ricorrente) non può che condurre alle conclusioni a cui è giunta la corte di merito.

Il fatto che la norma prevista per l’esecuzione individuale trovi applicazione estensiva nell’ambito dell’esecuzione collettiva non comporta, infatti, che in entrambe le procedure l’intimato possa avvalersi dello specifico mezzo di impugnazione dettato solo per la prima di esse.

Invero, il provvedimento emesso in sede fallimentare, pur se strutturato sul modello di un tipico strumento del giudice dell’esecuzione, rimane un decreto del giudice delegato e, in quanto tale, deve essere impugnato con gli strumenti propri del procedimento concorsuale.

Il che significa che il reclamo di cui all’art. 26 L.Fall., da proporre in linea generale avverso i provvedimenti del giudice delegato, sostituisce, nell’ambito fallimentare, l’opposizione prevista dal combinato disposto degli artt. 560, comma 3, (nel testo in vigore ratione temporis) e 617 cod. proc. civ. per il procedimento esecutivo individuale.

Non rimane, quindi, che ribadire che il decreto emesso dal giudice delegato di immediata liberazione dell’immobile trasferito assoggettato a procedura concorsuale deve essere impugnato in sede fallimentare solo mediante il reclamo previsto dall’art. 26 L.Fall. (cfr. Cass. 25025/2019, Cass. 21224/2011).

  1. Anche il secondo e il terzo motivo vanno respinti, perché la Corte d’Appello ha in realtà pronunciato sulle censure svolte nel secondo e nel terzo motivo di gravame, mostrando di ritenerle infondate, laddove ha sottolineato che era il reclamo lo strumento attraverso il quale sarebbe stato attivato il contraddittorio fra la procedura e l’occupante e sarebbe stato possibile porre tutte le questioni concernenti l’esistenza e la legittimità del provvedimento che disponeva il rilascio (“.. attivando – tempestivamente, nel termine di dieci giorni decorrente dalla notifica del provvedimento di liberazione dell’immobile, ex art. 26, comma 2, L.Fall. – il rimedio proprio in sede fallimentare, ovvero il reclamo avverso il provvedimento del giudice delegato, e tutte le questioni relative alla legittimità o meno di quel provvedimento che disponeva il rilascio, nonché alla opponibilità al fallimento di un titolo giustificativo dell’occupazione avrebbero dovuto essere sollevate in quella sede”; pag. 5 del provvedimento impugnato).
  2. Il quarto motivo, infine, è manifestamente infondato.

La motivazione che il giudice deve offrire, a mente dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., costituisce la rappresentazione dell’iter logico-intellettivo seguito per arrivare alla decisione, di modo che la stessa assume i caratteri dell’apparenza ove non assolva a una simile funzione e rechi argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento che ha portato alla formazione del convincimento espresso, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U., 22232/2016).

Nel caso di specie la corte territoriale ha invece fornito una chiara ed inequivoca spiegazione delle ragioni poste a base della propria decisione, affermando che l’opposizione era inammissibile perché non proposta secondo le modalità di impugnazione tipiche della procedura fallimentare (solo mediante le quali sarebbe stato possibile addurre le contestazioni relative alla legittimità del provvedimento di rilascio e all’opponibilità del titolo giustificativo).

Questi argomenti sono del tutto pertinenti alle questioni agitate dall’appellante, poiché spiegano le ragioni per cui la statuizione del primo giudice non incorreva in censura.

Poco importa, poi, che argomenti similari siano stati offerti a giustificazione del rigetto dell’impugnazione presentata nell’ambito del giudizio di opposizione avverso un diverso ordine di liberazione emesso nell’ambito della medesima procedura fallimentare, poiché, come detto, la motivazione della sentenza assolve la sua funzione quando rappresenta lo sviluppo del ragionamento logico seguito dal giudice per arrivare alla decisione e sia coerente con la fattispecie presa in esame e alle specifiche questioni sollevate dalle parti, a prescindere dal fatto che argomenti e valutazioni coincidenti possano essere stati offerti anche in cause di contenuto simile o analogo.

  1. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
    PQM
    P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.700, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.

Così deciso in Roma il 26 giugno 2024.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2024.