Tre importanti principi, relativamente alla liquidazione del danno non patrimoniale, vengono affermati nella sentenza sotto riprodotta per esteso.
1) in relazione ad un fatto illecito costituente anche fatto reato continuato per atti di libidine in danno di minore, la valutazione unitaria del danno non patrimoniale deve esprimere analiticamente l’iter logico ponderale delle poste (sinteticamente descritte e tipicizzate in relazione agli interessi o beni costituzionali del minore lesi) e non già una apodittica affermazione di procedere ad un criterio arbitrario di equità pura, non controllabile per la sua satisfattività.
2) Non è detto a priori che il danno morale sia sempre e necessariamente una quota del danno alla salute, specie quando le lesioni attengano a beni giuridici essenzialmente diversi, tanto da essere inclusi un diverse norme della Costituzione. Al contrario (come nella fattispecie in esame) il danno morale potrà assumere il valore di un danno ingiusto più grave.
3) Premesso che L’integrità della persona non può essere valutata in termini esclusivamente fisici, ma comprende anche la sfera psichica emotiva e relazionale, la cui sofferenza non sempre è obbiettivamente misurabile, ma non per questo cessa di essere reale … in fattispecie di illeciti che determinino un disturbo psichico reale il nesso di causa deve essere valutato secondo il criterio della elevata probabilità del collegamento causale tra il fatto umano scatenante e la successiva persistenza dello squilibrio psichico, senza necessità di ricorrere al criterio assoluto della certezza.
Cass. civ. Sez. III, 11-06-2009, n. 13530
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETTI Giovanni Battista – est. Presidente
Dott. FILADORO Camillo – Consigliere
Dott. FICO Nino – rel. Consigliere
Dott. CALABRESE Donato – Consigliere
Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 9340/2005 proposto da:
*****, elettivamente domiciliato in ROMA, *****, presso lo studio dell’avvocato *****, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ***** giusta procura in calce al ricorso; – ricorrente –
contro
*****;- intimati –
sul ricorso 11603/2005 proposto da:
*****, elettivamente domiciliato in ROMA, *****, presso lo studio dell’avvocato *****, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ***** giusto mandato in calce al controricorso; – ricorrenti –
contro
*****,*****,*****; – intimati –
avverso la sentenza n. 1819/2004 della CORTE D’APPELLO di MILANO, Sezione Seconda Civile, emessa il 25/05/04, depositata il 22/06/2004; R.G.N. 2688/01;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 10/03/2009 dal Consigliere Dott. NINO FICO;
udito l’Avvocato *****;
udito l’Avvocato ***** (per delega Avvocato *****);
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per il rigetto.
Svolgimento del processo
Con citazione del 28 febbraio 1997 i genitori della minore ***** (n. *****) ***** e *****, convennero dinanzi al Tribunale di Busto Arsizio *****, per sentirlo condannare al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti dalla minore nel corso del *****, da parte del convenuto autore di atti di libidine continuata.
La bimba si era infine confidata con i genitori, che avevano sporto denuncia. Ne era derivata una inchiesta penale chiusa con una condanna per patteggiamento.
Il ***** si costituiva negando ogni addebito ed eccependo la prescrizione.
La causa era istruita con prove orali e documentali e con espletamento della CTU sulla persona della *****, la quale, divenuta maggiorenne si costituiva in lite. Il Tribunale con sentenza del 11 giugno 2001 rigettava l’eccepita prescrizione in presenza di atti interruttivi, accertava la responsabilità del pedofilo in ordine al fatto storico come circostanziato e riteneva sussistere un danno psichico grave e permanente (nella misura del 25%) considerando le valutazioni peritali ed applicando il principio della causalità adeguata, e procedeva alla liquidazione delle sole voci di danno biologico (per L. 129.779.000) e di danno morale pari a 1/3 del danno biologico, secondo le vigenti tabelle attuariali milanesi; rigettava le domande risarcitorie patrimoniali e poneva le spese di lite e di consulenza medico legale a carico del convenuto.
Contro la decisione proponeva appello il *****, sia per l’an che per il quantum liquidato, anche in relazione alla natura transitoria del danno psichico; resistevano le controparti chiedendo il rigetto del gravame ed i genitori della giovanetta chiedevano di essere estromessi essendo ormai presente in lite la danneggiata in proprio quale maggiorenne.
La Corte di appello di Milano, con sentenza del 22 giugno 2004, così decideva:
in parziale accoglimento della impugnazione proposta da ***** condanna l’appellante al pagamento della somma di L. sessanta milioni a titolo di risarcimento del danno biologico; conferma nel resto la sentenza appellata; respinge l’eccezione di carenza di legittimazione passiva svolta dai genitori della *****, condanna l’appellante al rimborso delle spese del grado. Per quanto qui ora interessa la Corte milanese sosteneva di dover accertare la natura transitoria del danno psichico (in ordine al disturbo post traumatico) non avendosi la certezza che il disturbo della personalità, rilevato in sede di esami di consulenza, fosse riferibile alla menomazione originaria e procedeva (ff. 12 della motivazione) ad una valutazione equitativa globale, con riferimento alla sentenza di primo grado, indicata in 60 milioni, senza precisare se tale somma includesse o non il danno morale ridotto, e senza considerare la natura del debito di valore e la persistenza dell’inadempimento.
Contro la decisione hanno proposto: ricorso principale la *****, affidato a due motivi di censura; controricorso e ricorso incidentale il ***** affidato a due motivi ed illustrato da memoria. I ricorsi sono stati previamente riuniti per la connessione.
Motivi della decisione
Il ricorso principale merita accoglimento, dovendosi rigettare quello incidentale per le seguenti considerazioni.
Per chiarezza logico espositiva viene per primo in esame il ricorso incidentale, notificato anche ai genitori della ***** che non si sono costituiti.
A.ESAME DEL RICORSO INCIDENTALE. Nel primo motivo del ricorso si deduce “Error in iudicando per violazione dell’art. 2697 c.c., artt. 112, 115 e 116 c.p.c., art. 445 c.p.c., ed il vizio della motivazione su punti decisivi (ff. 6 a 53 del ricorso)”.
Preliminarmente, ai fini della valutazione di tale complesso motivo si osserva che essendo il giudizio di cassazione a critica vincolata, ogni motivo deve assolvere specificatamente alla funzione che gli è propria e deve essere quindi dotato non solo di autosufficienza ma di una chiara indicazione della censura.
Nella tecnica espositiva invece si registra una continua contaminazione tra i diversi mezzi di censura come un espediente per porre nuovamente in discussione l’esame del merito sotto il profilo del travisamento dei fatti.
Deve invece riaffermarsi, anche in relazione alla delicata fattispecie in esame, che il ruolo del giudice di legittimità non include un terzo esame del merito, ma solo il controllo della legalità del modo e dei mezzi adoperati dal giudice del merito nella sua decisione. E’ un controllo sulla logica e non sul fatto.
Tanto precisato, occorre scindere le due censure, per rilevare il difetto di specificità e coerenza in ordine alla censura per error in iudicando e la inammissibilità della censura per vizio della motivazione.
Quanto alla prima censura si osserva che il giudizio di appello si fonda su un prudente apprezzamento delle prove, ritualmente acquisite e valutate nel contraddittorio tra le parti, incluse le prove a carattere scientifico e le rilevanti deposizioni testimoniali che descrivono la personalità e la viva intelligenza della minore. Il controllo del modo e della legalità dei mezzi di prova raccolti non rivela le violazioni degli articoli di legge sopraindicati, e dunque non vi è alcun errore in iudicando o in procedendo da considerare.
Quanto alla seconda censura, che attiene all’iter logico seguito dai secondi giudici, peraltro molto favorevoli nella riduzione dei danni, lo stesso si svolge secondo un iter logico parallelo, che non tiene conto della ratio decidendi, che è adeguatamente motivata e completa nell’analisi del raccolto probatorio, ed è esaustiva per quanto riguarda l’accertamento del fatto storico e della gravissima responsabilità della condotta di un uomo maturo che insidia una innocente bambina, conducendola dentro un garage ed abbassando la serranda.
A nulla vale dunque la pedante riproduzione dei documenti, relazioni e consulenze, ben note ai giudici del merito, con annotazioni critiche. L’iter logico dei giudici del merito è completo ed esaustivo ed è insindacabile in questa sede.
Il SECONDO MOTIVO attiene invece alla quantificazione del danno, sia come error in iudicando sia come vizio della motivazione. Si aggiunge che, non avendo la controparte impugnato la scissione del nesso causale, sul punto si sarebbe verificato un giudicato interno.
Il motivo, che per il ricordato principio di autonomia e specificità deve essere esaminato sotto i due diversi profili di censura, è manifestamente infondato per l’error in iudicando, posto che il giudice di appello ha accolto la censura riducendo il danno biologico a danno transitorio; ma è infondato anche per il c.d. giudicato interno, posto che il devolutimi in appello intendeva negare il fatto storico e radicalmente l’intero nesso causale e dunque la controparte aveva il pieno diritto di contraddire sul punto.
Sotto il profilo del vizio della motivazione è invece inammissibile, posto che la valutazione del nesso di causalità ha rilevanza come error in iudicando, e non come vizio della motivazione in parte favorevole alle tesi riduttive (onde difetta l’interesse del ricorrente).
B. ESAME DEL RICORSO PRINCIPALE. Il ricorso merita accoglimento, ma per chiarezza occorre riassumere le censure:
1. NEL PRIMO MOTIVO si deduce l’error in procedendo per OMESSA PRONUNCIA, sotto il profilo della violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.
La tesi è che il giudice dell’appello, nel ridimensionamento del danno biologico e quindi del danno morale, non confermando il criterio delle tabelle milanesi, ma assumendo di dare un criterio puro di liquidazione, attribuisce un valore globale al risarcimento, pari a L. 60 milioni (rispetto ai 173 liquidati dal primo giudice) senza precisare l’iter logico della quantificazione, trattandosi di due poste risarcitorie ben definite, una per il danno psichico da patologia (transitoria, ma sul punto vale la seconda censura) ed altra per danno da reato qualificato da dolo e quindi di particolare gravità.
Dalla lettura del dispositivo e dalla sua integrazione con la parte motiva della sentenza emerge quindi una lacuna che non attiene ad errore materiale, bensì ad una omessa pronuncia, dato che non risulta in alcun modo liquidato il danno morale da reato. Inoltre l’omessa pronuncia concerne anche il punto della mancata considerazione della persistenza dell’inadempimento da parte del soggetto obbligato ai fini della liquidazione dei danni, sia pure in misura ridotta, ma come debito di valore attualizzato al tempo della seconda sentenza, e quindi con rivalutazione ed interessi compensativi e legali.
2. NEL SECONDO MOTIVO si deduce invece l’error in iudicando per la violazione delle regole giuridiche sulla valutazione integrale dei danni psicofisici e morali (artt. 2043, 2056, 2059, 1223 e 1226 c.c.) in relazione al principio della causalità, ed il vizio della motivazione su punti decisivi in relazione alla valutazione della diversa gravità delle poste di danno (vedi lo sviluppo autonomo di tale motivo a ff. 28 a 31 del ricorso).
Così riassunti i motivi,occorre procedere con una PREMESSA GIURIDICA GENERALE che contiene la applicazione dello STARE DECISIS delle recenti sentenze delle Sezioni unite civili di questa Corte, ed i principi vincolanti e condivisi da questa sezione e quindi vincolanti direttamente il giudice del rinvio; si tratta, come è noto delle quattro sentenze gemelle SSUU 11 novembre 2008 nn 26972 a 75 e delle SSUU del 25 febbraio 2009 n. 57 che contengono una precisazione per la esatta considerazione della gravità del fatto reato ai fini risarcitori.
La dottrina civile italiana che per gran parte sostiene la svolta storica della NOMOFILACHIA COSTITUZIONALE delle sezioni unite del 2008, osserva che nel preambolo sistematico comune alle quattro sentenze, la Corte procede ad una riforma del sistema della responsabilità civile, sia per l’illecito civile, sia per lo inadempimento contrattuale, nei casi tipici in cui viene leso un diritto umano fondamentale. La riforma si pone limitatamente all’ampliamento della categoria del danno non patrimoniale, che ha sede categoriale nell’art. 2059 c.c., costituzionalmente orientato, ma poi si estende anche alle situazioni contrattuali ed in particolare a quelle in cui, per effetto di un contatto sociale, il contratto o il rapporto giuridico contiene una clausola di protezione che si traduce in un obbligo che una parte deve adempiere a favore di altri. Le sezioni unite pongono, per la prima volta,un duplice scudo di tutela per i diritti umani fondamentali, sia da illecito aquiliano che da illecito contrattuale, e pertanto tale filonomachia si conforma alla grande tradizione europea del riconoscimento e concreta tutela civile e giurisdizionale dei diritti fondamentali (che la Carta di Nizza ed il Trattato di Lisbona, ratificato dall’Italia con L. 2 agosto 2008, n. 152, impongono agli Stati della Unione).
LA PREMESSA giova alla soluzione della problematica oggetto di esame, non solo per la valutazione scientifica del danno biologico psichico e del suo nesso causale, ma in relazione alla particolare natura del danno che è da lesione di vari diritti umani fondamentali: in primo luogo il diritto alla integrità morale della minore ed al rispetto della sua dignità e dell’armonioso e sano sviluppo del suo carattere (art. 2, 3 e 32 Cost., tra di loro coordinati), in secondo luogo per la privazione della libertà e delle possibilità di autodeterminarsi (art. 13 e 32 Cost.) durante gli episodi di atti di libidine e pedofilia (consumati in un luogo chiuso e sotto la minaccia morale di mantenere il segreto); in terzo luogo la lesione della salute psichica, con la determinazione di un danno gravissimo, anche se dovesse essere delimitato tra i 9 ed i 13 anni (ma sul punto la motivazione è meritevole di riforma come da puntuale impugnazione).
In relazione a tale premessa questa Corte, in accoglimento delle censure riassunte, rileva come la Corte di appello abbia commesso tre errori giuridici decisivi: un primo, in relazione alla omessa pronuncia in ordine alla voce relativa al gravissimo danno morale costituente fatto reato; un secondo in relazione alla illogica riduzione della gravità del danno psichico pur in presenza di accertamento medico legale che aderiva alle più recenti indicazioni della scienza, (con particolare riferimento all’esperienze dei minori assoggettati a prestazioni e violenze sessuali) ed un terzo errore di ordine motivazionale in ordine ai criteri di valutazione del danno non patrimoniale, come categoria generale omnicomprensiva,che include anche il danno biologico e il danno da reato, (con particolare riferimento alla intensità del dolo e della lesione dei diritti umani come sopra evidenziati).
1. PRIMO ERRORE: OMESSA PRONUNCIA IN ORDINE ALLA LIQUIDAZIONE DEL DANNO MORALE. Il ridimensionamento del liquidato da 173 a 60 milioni è giustificato (ff. 12 della motivazione) unicamente con il ridimensionamento del danno biologico (ritenuto erroneamente di natura transitoria e non permanente) e la somma liquidata equitativamente (senza ricorrere al sistema tabellare, peraltro adottato correttamente dal primo giudice) non consente di comprendere l’iter logico della valutazione equitativa, che è tale da far ritenere la omessa considerazione della posta del danno morale, che di per sè resta gravissimo in considerazione dei vari episodi di violenza. Non essendo possibile integrare il dispositivo oscuro con la carente motivazione, resta evidente la non corrispondenza del decisum al tema decidendi, indipendentemente dal fatto che la parte danneggiata non avesse interposto appello, ritenendosi soddisfatta dalle modeste somme liquidate. (Cfr. per utile riferimento: Cass. 2007 n. 6945, 2005 n. 6891, 2004 n. 11455 tra le significative).
IL PRINCIPIO DI DIRITTO cui il giudice del rinvio deve uniformarsi è dunque il seguente: in relazione ad un fatto illecito costituente anche fatto reato continuato per atti di libidine in danno di minore, la valutazione unitaria del danno non patrimoniale deve esprimere analiticamente l’iter logico ponderale delle poste (sinteticamente descritte e tipicizzate in relazione agli interessi o beni costituzionali del minore lesi) e non già una apodittica affermazione di procedere ad un criterio arbitrario di equità pura, non controllabile per la sua satisfattività.
La posta del danno morale deve essere dunque comparata a quella del danno biologico, e non è detto a priori che il danno morale sia sempre e necessariamente una quota del danno alla salute, specie quando le lesioni attengano a beni giuridici essenzialmente diversi, tanto da essere inclusi un diverse norme della Costituzione. Al contrario (come nella fattispecie in esame) il danno morale potrà assumere il valore di un danno ingiusto più grave,in relazione all’attentato alla dignità morale del minore ed alla compromissione del suo sviluppo interrelazionale e sentimentale.
SECONDO ERRORE: ERRORES IN IUDICANDO IN RELAZIONE AI CRITERI DI ACCERTAMENTO DEL DANNO PSICHICO PERMANENTE ED AL NESSO DI CAUSALITA’ TRA LA CONDIZIONE SCATENANTE E LA PERMENENZA DEL DECORSO DEL DISTURBO. La Corte di appello, decidendo nel giugno 2004, si è discostata dai principi di diritto affermati da questa Corte di Cassazione in tema di danno psichico e di accertamento del rapporto causale tra il disturbo psichico reale, conseguenza di un evento lesivo, e la sua persistenza nel tempo, come disturbo bordline della personalità. Non risultano in vero comprese nè citate le svolte giurisprudenziali compiute con le sentenze nn. 8127 e 8128 del 2003, che hanno evidenziato la considerazione del danno psichico come aspetto del danno biologico, da inserire con il c.d. danno esistenziale (ma nei termini di sintesi descrittiva non categoriale e limitata a posizioni soggettive costituzionalmente protette) tra le voci del danno non patrimoniale. L’integrità della persona non può essere valutata in termini esclusivamente fisici, ma comprende anche la sfera psichica emotiva e relazionale, la cui sofferenza non sempre è obbiettivamente misurabile, ma non per questo cessa di essere reale.
(Cfr. punto 2.13 delle SSUU n. 26972-2 il successivo punto 3.4.1. sul superamento del tradizionale orientamento che limita il risarcimento al solo danno morale soggettivo identificato come patema d’animo transeunte).
La LESIONE PSICHICA – secondo autorevole indicazione della scienza medico legale – è l’ingiusto turbamento, giuridicamente apprezzabile, dell’equilibrio psichico della persona, con conseguente impedimento di estrinsecare la propria personalità nel contesto familiare e nel contesto sociale di appartenenza.
IL DANNO PSICHICO invece, come danno conseguenza, deve essere il risultato di una condotta lesiva, e consiste in una patologia psichica che inficia l’equilibrio della personalità del soggetto leso, provocando sofferenza e dolore, che nella scienza medica non sono sinonimi ma due pregiudizi diversi per entità ed intensità.
IL PUNTO DI PARTENZA per la individuazione e valutazione del danno psichico è quindi la metodologia di accertamento nosografico di uno stato psichico con valore di malattia. Inoltre nella vasta letteratura scientifica che si occupa della violenza anche sotto forma subdola di violenza morale e di corruzione, riferita alla utilizzazione dei minori per fini sessuali, pone in evidenza la gravità della lesione da stress postraumatico e la evoluzione nosografica in danno permanente che squilibra la formazione della personalità di passaggio tra infanzia, adolescenza, giovinezza.
Emerge, dai brevi ed incompleti cenni all’elaborato della consulenza medica, che il medico consulente abbia fatto uso della metodologia americana della Post traumatic stress disorder (PTDS) e della evoluzione nosografica in DSM IV, senza però condividere la prassi legale statunitense che applica, ai fini della causalità, il principio “preponderance of the evidence” ossia il criterio del “più probabile che non”, che troviamo puntualmente applicato dalle Sezioni Unite civili italiane nella nota sentenza 11 gennaio 2008 n. 576, con la enunciazione del principio probabilistico e della causalità adeguata, che questa sezione 3^ condivide sin dal 1998 (sentenza n. 9037, salvo anteriori) risultando conforme al favor victimae che qualifica la funzione sociale della responsabilità civile da illecito, in relazione al diverso principio del favor rei, che concernendo il valore della libertà, esige maggiori garanzia nel campo della repressione penale.
Ma se questo punto di arrivo è da condividere, allora la valutazione probabilistica del nesso di causalità, contenuta nella CTU in termini elevati (nel 70/80% dei casi gli atti sessuali e di libidine compiute su minori costituiscono la condizione o la concausa determinante un danno psichico grave di natura permanente) costituisce un criterio soddisfacente di imputazione della condotta alle conseguenze di menomazione psichica, ed ha errato il CTU ad esigere invece il criterio assoluto della certezza, e tale errore è stato acriticamente recepito dal giudice dell’appello, con effetti devastanti in ordine alla sua quantificazione. Su tale punto l’accoglimento del motivo è con rinvio unicamente per la riconsiderazione unitaria della posta biologica assieme al danno morale, secondo i criteri di cui alle SU del 2008 (punti 2.13,3.11,4.8 tra di loro coordinati).
Il PRINCIPIO DI DIRITTO cui il giudice del rinvio è vincolato è il seguente:
“Nella fattispecie di atti di libidine continuati su una bimba di nove anni, che riporta un disturbo psichico reale, in conseguenza di atti lesivi commessi da un pedofilo, la valutazione della dimensione temporale dello evento, in senso patogenico, con rilievo di disturbi dell’equilibrio psichico tipo bordline, a distanza di anni di tempo, deve ritenersi accertata in base al criterio della elevata probabilità del collegamento causale tra il fatto umano scatenante e la successiva persistenza dello squilibrio psichico, senza che sia stata posta in evidenza l’esistenza di un fattore successivo tale da disconnettere la sequenza causale accertata. Il danno psichico così emergente appare correttamente motivato, sulla base tabellare attuariale, nella gravità rapportata al 25% considerando gli esiti permanenti accertati dalla CTU. Il criterio giuridico da applicare è duplice, attinendo da un lato alla causalità adeguata e d’altro lato alla valutazione della gravità della lesione secondo i rangers della metodologia scientifica di accertamento. Nel caso di applicazione tabellare secondo i criteri della medicina legale italiana, il giudice, peritus peritorum, dovrà considerare, ai fini della quantificazione del danno, le condizioni soggettive personalizzanti ed il pregiudizio per la perdita della vita di relazione, sulla base della definizione analitica data dal legislatore delle assicurazioni, da considerarsi come definizione di base per una corretta valutazione”.
IL TERZO ERRORE CONSISTE NELLA DENUNCIA DI MOTIVAZIONE INCOERENTE E INADEGUATA SUI PUNTI DECISIVI IN RELAZIONE AI CRITERI DI ACCERTAMENTO DEL NESSO CAUSALE E DI LIQUIDAZIONE EQUITATIVA. L’errore sussiste in relazione alle considerazioni svolte ed è stato correttamente dedotto con i riferimenti all’iter argomentativo, sintetico ma giuridicamente contraddittorio ed illogico.
Un ulteriore PRINCIPIO attiene alla VALUTAZIONE UNITARIA DEL DANNO NON PATRIMONIALE DA CONSIDERARE COME VINCOLANTE SULLA BASE DEI DICTA DELLE SU DEL 2008 E DALLA SUCCESSIVA SU N. 3667 DEL 2009. Il principio ovviamente è adattato alla fattispecie complessa da sussumere sotto l’illecito civile ai fini risarcitori.
Nel caso in cui da fatti umani delittuosi, compiuti a fini di libidine sessuale, sulla persona di una minore, di anni nove, ma capace di intendere e volere, ed il risarcimento sia chiesto dalla medesima unicamente sotto il profilo del danno morale e del danno biologico permanente, le poste non patrimoniali devono essere unitariamente risarcite, sulla base di una valutazione ponderale analitica compita dal giudice del merito, che deve considerare il diverso peso dei beni della vita compromessi: il bene della libertà e della dignità umana della minore, compromessi dagli atti di corruzione ad opera di un adulto che agiva con dolo ed in circostanze di minorata difesa, ed il bene della salute psichica, gravemente compromessa in una fase fondamentale della crescita umana e della formazione del carattere e della disponibilità al relazionarsi nella scuola e quindi nella vita sociale. La REGULA iuris della unitarietà del danno non patrimoniale, affida al giudice un obbligo giuridico di completa ed analitica motivazione giuridica per la ponderazione delle voci di danno giuridicamente rilevanti, tanto più quando vengono in esame varie e contestuali lesioni di diritti umani. Non può stabilirsi a priori il maggior valore del danno biologico rispetto al danno morale, proprio perchè questo ultimo non è soltanto pretium doloris, ma anche la risposta satisfattiva alla lesione della dignità umana, di cui tanto si discute per l’autodeterminazione delle scelte di vita e di fine vita.
La prudenza e la coscienza sociale del giudice terrà conto dunque della gravità e della serietà delle lesioni, che hanno decisamente superato la soglia della tolleranza, per colpire beni essenziali della persona di un minore innocente, con una valutazione unitaria coerente e personalizzante. Questa è la lezione delle Sezioni Unite che tutti i giudici debbono applicare.
In conclusione, l’accoglimento dell’appello principale ed il rigetto di quello incidentale determinano un rinvio chiuso, ristretto alla valutazione unitaria dei danni biologico e morale, nei limiti del devolutum residuo, tenendo tuttavia conto della natura del debito di valore e del persistente inadempimento ai fini della rivalutazione e di interessi compensativi. La Cassazione è con rinvio alla Corte di appello di Milano che si atterrà ai principi di diritto come sopra enunciati.
SUSSISTE OBBLIGO DI SEGRETAZIONE DEI DATI PERSONALI DELLA MINORE NEI SENSI DI CUI IN DISPOSITIVO.
P.Q.M.
RIUNISCE i ricorsi, accoglie quello principale e rigetta l’incidentale, cassa in relazione e rinvia anche per le spese del giudizio di Cassazione alla Corte di appello di Milano in diversa composizione.
DISPONE ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, l’obbligo di segregazione dei dati anagrafici e sensibili inerenti alla minore coinvolta nei fatti processuali, in relazione alla riproduzione ed utilizzazione anche parziale della presente sentenza da parte di chiunque assuma le veste di diffusore.
Così deciso in Roma, il 10 marzo 2009.
Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2009
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