Com’è noto ai più, il codice civile italiano dedica all’onere della prova la disposizione generale dell’art. 2697, disegnando in capo a chi agisce in giudizio un onere della prova dei fatti costituenti il fondamento e chi propone l’eccezione di quella dei fatti modificativi/estintivi.
A questi ultimi la dottrina aggiunge, com’è noto, i fatti impeditivi (intesi quali fatti speculari rispetto ai costitutivi od anche, secondo altra opzione dottrinaria, quale fatti autonomi in rapporto di occasionalità con il diritto dedotto).
I rilievi finora svolti sono confortati dall’esame delle eccezioni al principio posto dall’art. 2697 c.c., in seno alle quali si collocano:
A) il principio legale dell’inversione dell’onus probandi.
In particolare, sono espressione di esso:
– l’art. 1117 c.c. (presunzione di comproprietà delle parti comuni vincibile solo con la prova contraria che il titolo di acquisto originario, ovvero la obiettiva destinazione data dall’unico originario proprietario, abbia attribuito al singolo bene un uso ed un impiego diversi da quelli previsti dalla norma; cfr. Trib. Milano, 28 maggio 1992);
– l’art. 1142 c.c. (presunzione di continuità del possesso; cfr. Cass., 25 settembre 2002, n. 13921);
– gli artt. 1218 e 1681 c.c. (responsabilità del debitore e del vettore da inadempimento e/o ritardo;
– l’art. 1988 c.c. (promessa di pagamento e ricognizione del debito);
– gli artt. 2050-2054 c.c. (prova del fortuito nella responsabilità extracontrattuale; cfr., per i danni da cose in custodia, ex plur., Cass., 6 aprile 2004, n. 6753; per le attività pericolose, Trib. Siena, 23 agosto 1989 e Pret. Taranto, 22 maggio 1986);
– l’art. 2600, comma ult., c.c. (prova dell’atto di concorrenza sleale);
– l’art. 67, comma 1º, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (revocatoria fallimentare);
– l’art. 23, comma 6º, del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento);
– l’art. 121 del d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 (prova della nullità e decadenza del titolo di proprietà industriale; già art. 77 r.d. 29 giugno 1939, n. 1127; cfr. Cass., 11 dicembre 1999, n. 13863, Trib. Trento, 11 giugno 1999, Trib. Torino, 2 marzo 1998);
– l’art. 178 del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209 (prova della diligenza richiesta, da prestarsi dall’impresa assicuratrice, nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al contraente di un contratto di assicurazione sulla vita).
B) il principio dell’inversione dell’onus probandi posto dalla volontà privata ex art. 2698 c.c.);
C) le attenuazioni legali e di creazione dottrinale e giurisprudenziale, quali: C1) in seno alle prime, i c.c. dd. fatti notori di comune esperienza ex art. 115, comma 2º, c.p.c.; C2) le presunzioni, che l’art. 2727 c.c. definisce come conseguenze ritraibili dalla legge o dal giudice da un fatto noto per risalire ad un fatto ignorato; C3) in seno alle seconde, il comportamento di non contestazione (su cui vedasi, ex plur., Cass., 9 giugno 1999, n. 5699); C4) le ammissioni dei fatti (Cass., 6 agosto 2002, n. 11765).
A dispetto di quelle che sembrano delle vere eccezioni al principio, ed a comprova del fatto che esso rappresenti un principio immanente all’ordinamento, si ritiene comunemente di riconoscere all’inversione dell’onus probandi la copertura mediante riserva di legge (Cfr. Cass., 6 aprile 2001, n. 5154, id., 28 giugno 1984, n. 3796).
Ancora, sempre a strenua difesa del principio, Cass., sez. trib., 10 dicembre 2002, n. 17573 ha sostenuto che:
«L’inversione dell’onere della prova, in mancanza di apposito patto ex art. 2698 c.c., può risultare anche dal comportamento processuale della parte, ma, affinché ciò si verifichi, non è sufficiente che la parte sulla quale non grava l’onere deduca od anche offra la prova, occorrendo, invece, la inequivoca manifestazione della parte medesima di voler rinunciare ai benefici ed ai vantaggi che le derivano dal principio che regola la distribuzione dell’onere stesso e di subire le conseguenze dell’eventuale fallimento della prova dedotta od offerta» (Conff., ex plur., Cass., 26 aprile 1988, n. 3167, id., 23 agosto 1986, n. 5141). In sostanza, vien detto che la semplice deduzione od offerta di prova dalla parte che non vi è tenuta non implica rinuncia automatica ai benefici e vantaggi che le deriverebbero in forza del menzionato criterio, occorrendo invece una inequivoca manifestazione di volontà.
Giorgio Vanacore
Avvocato in Napoli
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