Dispone l’art. 1337 c.c.:
«Le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede».
È noto che l’articolo in esame riguardi la materia della cd. responsabilità precontrattuale, che viene in questione tutte le volte che sia lesa la libertà negoziale di un soggetto. Quest’ultima, come egregiamente è stato scritto, «. . . non tutela l’interesse all’adempimento ma l’interesse del soggetto a non essere coinvolto in trattative inutili, a non stipulare contratti invalidi o inefficaci e a non subire coartazioni o inganni in ordine ad atti negoziali» (così, Bianca C. M., Diritto civile, 3, Milano, 1997 [rist.], 160).
Ordunque, tra le figure sintomatiche della violazione della buona fede in ambito precontrattuale, la giurisprudenza ha individuato la violazione dei cc. dd. obblighi di avviso e d’informazione incombenti alle parti, sui quali sono degne di nota le seguenti massime:
«Nella fase antecedente alla conclusione di un contratto, le parti hanno, in ogni tempo, piena facoltà di verificare la propria convenienza alla stipulazione e di richiedere tutto quanto ritengano opportuno in relazione al contenuto delle reciproche, future obbligazioni, con conseguente libertà, per ciascuna di esse, di recedere dalle trattative indipendentemente dalla esistenza di un giustificato motivo, con il solo limite del rispetto del principio di buona fede e correttezza, da intendersi, tra l’altro, come dovere di informazione della controparte circa la reale possibilità di conclusione del contratto, senza omettere circostanze significative rispetto all’economia del contratto medesimo» (Cass. 29 maggio 1998, n. 5297);
«Il dovere di lealtà e correttezza nelle trattative impone comportamenti tali da evitare l’ingiusto danneggiamento degli interessi della controparte; tra tali doveri deve comprendersi quello di informazione e di manifestazione ragionevolmente sollecita dei giudizi e delle deliberazioni di volontà, specie quando queste abbiano ricevuto congrua stimolazione dalla controparte» (Trib. Firenze 15 aprile 1992);
«L’obbligo di comportarsi secondo buona fede, che deve presiedere il comportamento delle parti nel corso delle trattative (art. 1337 c.c.), si sostanzia soprattutto nel dovere di cooperazione e di informazione, al convergente fine della stipulazione del contratto, che va individuato ed apprezzato in relazione alla concreta fattispecie . . .» (Cass. 29 novembre 1985, n. 5920).
Non meno importante, nel quadro delle disposizioni civilistiche dettanti pregnanti doveri in capo al privato, è l’art. 1338 c.c., che così dispone:
«La parte che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa d’invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per avere confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto».
Orbene, sulla norma in parola si legga la seguente massima della S.C.:
« Le norme degli art. 1337 e 1338 c.c. mirano a tutelare nella fase precontrattuale il contraente di buona fede ingannato o fuorviato dalla ignoranza della causa di invalidità del contratto che gli è stata sottaciuta e che non era nei suoi poteri conoscere; ne consegue che, se vi è stata colpa da parte sua, se cioè egli avrebbe potuto, con l’ordinaria diligenza, venire a conoscenza della reale situazione e, quindi, della causa di invalidità del contratto . . . non è più possibile applicare le norme di cui sopra» (Cass. 7 marzo 2001, n. 3272).
Giorgio Vanacore – Avvocato del Foro di Napoli
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