L’art. 7, comma 1, della legge 27 luglio 2000 n. 212, recante «Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente» richiama espressamente, per ciò che riguarda il requisito di legittimità della motivazione degli atti dell’amministrazione finanziaria, la disposizione generale dell’art. 3, legge 7 agosto 1990 n. 241, recante «Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi»
Così dispone l’art. 7 della citata l. 212/2000:
«Gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama».

È noto che, a decorrere dall’entrata in vigore della menzionata normativa in materia di diritti del contribuente, la giurisprudenza sia ormai giunta con univocità di vedute a riconoscere una valenza indiscussa al requisito di legittimità individuato nella motivazione dell’atto impositivo, la quale è assolutamente servente al rispetto del principio del contraddittorio, la cui applicazione alla materia tributaria è oggi un dato incontrovertibile.
Così la S.C. in argomento:
«In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’avviso di accertamento deve indicare, a pena di nullità, non solo le ragioni giuridiche, ma anche i presupposti di fatto posti a base della maggiore pretesa impositiva avanzata nei confronti del contribuente, come definitivamente chiarito dall’art. 7, comma 1, l. 27 luglio 2000 n. 212 (c.d. “statuto del contribuente”), che ha recepito un principio enunciato in via generale, con riferimento ad ogni provvedimento amministrativo, dall’art. 3, comma 1, l. 7 agosto 1990 n. 241, e che era comunque già desumibile, nella materia de qua, dal testo originario dell’art. 42, d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600» (Cass., 15 marzo 2002, n. 3861).
Il menzionato indirizzo è stato fatto proprio, ad un dì presso, dalla giurisprudenza unanime delle Commissioni tributarie, che ha approfondito il tema stabilendo quanto segue:
«La cartella di pagamento recante la pretesa sanzionatoria deve rispettare le prescrizioni dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e dell’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, che impongono che ogni atto dell’Amministrazione finanziaria, specie se di natura sanzionatoria, indichi i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’Amministrazione stessa, poiché la assoluta mancanza di motivazione mina la possibilità per il contribuente di conoscere l’iter logico – giuridico seguito, con gravi conseguenze sulla possibilità di reagire ad atti arbitrari, illegittimi o erronei e incidendo così sulla possibilità di agire in giudizio a tutela dei propri diritti ed interessi legittimi (art. 24 della Costituzione); in tal senso, deve ritenersi che l’obbligo di motivazione debba essere valutato con particolare rigore anche alla luce del nuovo testo dell’art. 111 della Costituzione, così come modificato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, che impone condizioni di parità tra le parti per il corretto instaurarsi del contraddittorio» (Commiss. trib. prov. Verona, 21 gennaio 2002, n. 161).
Ed ancora: «Se nella motivazione degli atti della amministrazione finanziaria si fa riferimento ad un altro atto questo deve essere allegato all’atto che lo richiama. Spetta in ogni caso all’ufficio l’onere di mettere a disposizione del contribuente o quantomeno di produrre in giudizio copia dell’atto richiamato, ciò sia a tutela della difesa del contribuente sia a beneficio della commissione che deve valutare e giudicare la controversia» (Commiss. trib. prov. Pisa, 6 ottobre 2000, n. 84).

Giorgio Vanacore
avvocato in Napoli

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