firma-procura-220x118La procura ad litem è l’atto formale con il quale si conferisce al difensore lo ius postulandi, ovvero il ministero di rappresentare la parte in seno al processo Trattasi di un negozio unilaterale processuale, formale ed autonomo con il quale si conferisce al difensore il potere di rappresentanza in giudizio. La legge non determina il contenuto minimo della procura limitandosi a distinguere tra procura generale e speciale e stabilire che il difensore può compiere e ricevere, nell’interesse della parte, tutti gli atti del processo che dalla legge non sono riservati espressamente alla stessa. E’ inibito al procuratore, il compimento degli atti di disposizione del diritto contestato, in mancanza di espresso incarico.

Cass. civ. Sez. Unite, 14/03/2016, n. 4909

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente Sez. –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28789/2008 proposto da:

NEW IMPRE SERVICE S.R.L. (già IMPRE S.R.L.), in persona del liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VICOLO DEL BUON CONSIGLIO 31, presso lo studio dell’avvocato EDOARDO CALDI, rappresentata e difesa dall’avvocato D’ALESSANDRO COSIMO, per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO DI (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 312/2008 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 13/09/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/11/2015 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso, o in subordine per il rigetto del primo motivo del ricorso e rimessione alla sezione semplice.

Svolgimento del processo

Con sentenza del 13/9/2008 la Corte d’Appello di Trieste ha respinto il gravame interposto dalla società New Impre Service s.r.l. (già Impre s.r.l.) nei confronti del Condominio di (OMISSIS) Trieste in relazione alla pronunzia Trib. Trieste 24/5/2005, di parziale accoglimento della domanda da quest’ultimo in origine monitoriamente azionata contro i sigg.ri G.M.L. e M.G., quali eredi del defunto sig. M. S.; nonchè della domanda proposta in via riconvenzionale dagli opponenti M. e G. di risarcimento dei danni subiti dal loro appartamento a causa di infiltrazioni d’acqua prodottesi per la negligente custodia del tetto da parte della società New Impre Service s.r.l., appaltatrice di lavori di rifacimento commissionati dal Condominio, con conseguente condanna della predetta terza chiamata società New Impre Service s.r.l. a manlevare quest’ultimo della somma dal medesimo dovuta al M. e alla G..

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la società New Impre Service s.r.l. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 4 motivi. L’intimato non ha svolto attività difensiva.

Chiamata all’udienza del 7/10/2014, con ordinanza interlocutoria del 24/11/2014 il Collegio della II Sezione ha osservato quanto segue.

“Con il primo motivo di ricorso si deduce che la Corte d’appello, nel disattendere l’eccezione di inammissibilità della chiamata in causa della s.r.l. New Impre Service, è incorsa in “violazione e falsa applicazione degli artt. 75, 82, 83, 84, 164, 167 e 269 c.p.c., e art. 1130 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”; la decisione, sul punto, è stata motivata nella sentenza impugnata in base al rilievo che “tale eccezione, oltre ad essere intrinsecamente smentita dal tenore della procura ad litem rilasciata al legale del Condominio (… ogni facoltà), è stata sollevata soltanto nella comparsa conclusionale di primo grado, e dunque tardivamente, con piena accettazione cioè del contraddittorio svoltosi sino a quel momento: secondo il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, infatti (Cass., sez. 3^, 21.5.1998 n. 5083; id., 26.2.1997 n. 1739; id., 26.4.1995 n. 4623), il terzo che, pur essendo stato chiamato in causa da un difensore sfornito della procura a proporre istanze eccedenti l’ambito originario della lite, si costituisca in giudizio e, invece di eccepire la nullità dell’atto di chiamata, accetti il contraddittorio sul merito, non può più dedurre tale nullità nell’ulteriore corso del procedimento, nè la stessa può essere rilevata d’ufficio dal giudice”.

A “questi argomenti la resistente ha opposto: che l’amministratore del condominio non era abilitato a nominare un difensore per agire e resistere in giudizio già in primo grado, in mancanza di autorizzazione dell’assemblea; che la procura alle liti, rilasciata al procuratore a margine del ricorso per decreto ingiuntivo, non lo legittimava a chiamare in causa un terzo; che tale carenza di potere rappresentativo era eccepibile dalla parte e rilevabile dal giudice in ogni stato e grado del giudizio”.

Nel porre in rilievo come la prima di tali obiezioni attenga “a una questione non decisa nè dibattuta nel giudizio a quo, sicchè non può avere ingresso in questa sede”, la Sezione rimettente ritiene fondata la seconda, “poichè la facoltà di chiamare in causa un terzo in garanzia impropria deve essere conferita espressamente al difensore nella procura stessa o nel contesto dell’atto cui essa accede (v., per tutte, Cass. 29 settembre 2009 n. 20825), sicchè non può ritenersi compresa nella generica attribuzione di “ogni facoltà” nel mandato a richiedere l’emissione di un decreto ingiuntivo; resta pertanto da verificare se alla censura in esame la sentenza impugnata possa comunque resistere, sul fondamento dell’altra ratio decidendi su cui è basata: la preclusione dell’eccezione relativa al difetto di procura, in quanto formulata tardivamente”.

Osserva che “in proposito l’indirizzo della giurisprudenza di legittimità, in realtà, non è consolidato, come è stato definito nella sentenza impugnata, dato che ai precedenti richiamati dalla Corte d’appello (cui adde Cass. 16 marzo 2006 n. 5817, 11 marzo 1992 n. 2929, 7 maggio 1984 n. 2763) se ne contrappongono altri, sia anteriori sia successivi, di segno opposto: con Cass. 22 novembre 1996 n. 10307, 20 febbraio 1988 n. 1780, 24 marzo 1981 n. 1695, 9 maggio 1978 n. 2254, 9 novembre 1973 n. 2950 si è deciso che il difensore munito di procura per una determinata controversia non può in base alla stessa effettuare la chiamata in garanzia di un terzo introducendo nel processo una nuova e distinta controversia che ecceda i limiti dell’originario rapporto litigioso, salvo che la parte abbia inteso autorizzarla a rappresentarla anche nel giudizio da promuovere mediante la chiamata in garanzia; al di fuori di questa ipotesi la conseguente nullità non può considerarsi sanata qualora il chiamato si costituisca in giudizio senza dedurre preliminarmente il vizio in questione”.

Stante il rilevato contrasto interpretativo in ordine al potere del difensore di chiamare in causa un terzo (nella specie, l’appaltatrice società New Impre Service s.r.l.) in garanzia c.d. impropria sulla base di procura alle liti rilasciata dall’amministratore del condominio a margine del ricorso per decreto ingiuntivo, in difetto pertanto della specifica facoltà all’uopo espressamente conferita nella procura stessa o nel contesto dell’atto cui essa accede, la causa è stata dalla 2^ Sezione rimessa al Primo Presidente, che l’ha assegnata alle Sezioni Unite.

Motivi della decisione

Con il 1 motivo la ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione” degli artt. 75, 82, 83, 84, 164, 167 e 269 c.p.c., art. 1130 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente ritenuto ammissibile la sua chiamata in causa da parte del difensore del Condominio, pur difettando il medesimo di procura ad litem al riguardo.

Lamenta non potersi ritenere deporre per la relativa sussistenza l’espressione “ogni facoltà” contenuta nella procura ad litem rilasciata al predetto difensore dall’amministratore del Condominio per l’esperimento di azione monitoria nei confronti dei condomini G.M.L. e M.G. (quali eredi del defunto sig. M.S.), “in quanto morosi nel pagamento delle spese condominiali”, e non anche per la proposizione di “azione di responsabilità nei confronti di soggetti terzi”.

Si duole non essersi dalla corte di merito considerato che “per l’ulteriore azione, esperita nei confronti della New Impre s.r.l., l’Amministratore avrebbe dovuto munirsi a sua volta dell’autorizzazione dell’assemblea condominiale in quanto trattavasi di azione non esperibile in via autonoma a mente dell’art. 1130 c.c.”.

Lamenta che “anche a voler condividere il principio del conferimento implicito del potere di chiamata in causa di terzo… nella comparsa di costituzione manca qualsiasi procura alle liti da cui inferire l’implicito mandato da parte del condominio: l’unica procura è quella apposta in calce al ricorso per decreto ingiuntivo”, che “legittimava il difensore del Condominio… per ogni fase e grado del processo, ma per agire esclusivamente contro i Sig.ri M. e non anche nei confronti di terzi estranei alla vicenda”, sicchè la sua chiamata in causa è “affetta da nullità assoluta per difetto di procura e, quindi, di legittimazione da parte del difensore ad esercitare lo ius postulandi nei confronti della New Impre Service s.r.l.”, in quanto “la carenza di ius postulandi in capo al difensore si traduce in un difetto di legitimatio ad causam e ad processum, che come è noto costituisce un presupposto indefettibile per la valida costituzione del contraddittorio e per tale ragione il relativo difetto è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo fatti salvi gli effetti del giudicato che, però, nel caso in esame non possono neppure essere adombrati”, avendo in ogni caso “tempestivamente eccepito l’inammissibilità della propria chiamata in causa già con la comparsa di costituzione”, a tale stregua pertanto impedendo “la valida costituzione del contraddittorio sulla nuova res litigiosa dedotta dal difensore del condominio in carenza di valida procura alle liti”.

Il motivo è infondato e va rigettato nei termini di seguito indicati.

Emerge dall’impugnata sentenza che la corte di merito ha nel caso respinto l’eccezione sollevata dall’odierna ricorrente di “inammissibilità della propria chiamata in causa per inesistenza di idonea procura ad hoc in capo al difensore del Condominio” sulla base di una doppia ratio decidendi.

Ha al riguardo in particolare affermato essere “agevole osservare” che tale eccezione risulta “intrinsecamente smentita” in ragione del “tenore della procura ad litem rilasciata al legale del Condominio (“… ogni facoltà”).

Ha quindi rilevato essere essa altresì tardiva, in quanto “sollevata soltanto nella comparsa conclusionale di primo grado”, “con piena accettazione” pertanto “del contraddittorio svoltosi sino a quel momento”.

La Sezione rimettente ha invero ravvisato il “latente o inconsapevole” contrasto segnalato nell’ordinanza interlocutoria di rimessione al Primo Presidente con riferimento a quest’ultima ratio.

Ritengono queste Sezioni Unite che la causa possa e debba essere invece decisa alla stregua della prima delle suindicate rationes.

La procura alle liti è l’atto formale con il quale si attribuisce al difensore lo ius postulandi, il “ministero” di rappresentare la parte nel processo (cfr. Cass., Sez. Un, 7/3/2005, n. 4814).

La procura ad litem ex art. 83 c.p.c. è negozio unilaterale processuale, formale ed autonomo (v. Cass., 23/11/1979, n. 6113), che investe della rappresentanza in giudizio il difensore e si distingue dal presupposto rapporto c.d. interno, il quale ha fonte nel contratto di prestazione d’opera professionale stipulato tra quest’ultimo e la parte – o chi per essa – (v. Cass., 24/2/2010, n. 4489; Cass., 4/4/1997, n. 2910; Cass., 8/6/1996, n. 5336; Cass., 26/1/1981, n. 579; Cass., 6/12/1971, n. 3547), restando insensibile alla sorte del contratto di patrocinio (v. Cass., 2/9/1997, n. 8388).

La legge non determina il contenuto necessario della procura, limitandosi a distinguere tra procura generale e speciale (art. 83 c.p.c., comma 2), e a stabilire che il difensore può compiere e ricevere, nell’interesse della parte, tutti gli atti del processo che dalla legge non sono ad essa espressamente riservati, mentre non può compiere atti che importano disposizione del diritto in contesa, se non ne ha ricevuto espressamente il potere (art. 84 c.p.c.).

Affermatosi che il contenuto della procura alle liti è determinato dalla natura del rapporto controverso e dal risultato perseguito dal mandante nell’intentare la lite o nel resistere ad essa (v. Cass., 18/4/2003, n. 6264; Cass., 4/4/1997, n. 2910; Cass., 6/3/1979, n. 1392), si è al riguardo da queste Sezioni Unite posto quindi in rilievo che, come “efficacemente sottolineato” anche in dottrina, i poteri processuali risultano al difensore attribuiti direttamente dalla legge, con la procura la parte realizzando “semplicemente una scelta ed una designazione”, e non anche un'”attribuzione di poteri”, al cui riguardo la volontà della parte è pertanto “irrilevante”, potendo assumere invero rilievo esclusivamente al fine della eventuale limitazione dei “poteri del procuratore derivanti dalla legge” (v. Cass., Sez. Un., 14/9/2010, n. 19510. E già Cass., 13/7/1972, n. 2373).

Alla procura alle liti, in assenza di specifica regolamentazione, si applica la disciplina codicistica sulla rappresentanza e sul mandato, avente carattere generale rispetto a quella processualistica (v.

Cass., Sez. Un., 4/5/2006, n. 10209; Cass., Sez. Un., 28/7/2005, n. 15783; Cass., Sez. Un., 6/8/2002, n. 11759. Cfr. altresì, in ordine all’applicabilità al mandato alle liti dei criteri ermeneutici di cui all’art. 1362 ss. c.c., Cass., Sez. Un., 4/5/2006, n. 10209;

Cass., 7/1/2004, n. 47; Cass., 3/2/1999, n. 921; Cass., 10/3/1998, n. 2646; Cass., 7/5/1997, n. 3966), ivi ricompreso in particolare il principio generale posto all’art. 1708 c.c. secondo cui il mandato comprende tutti gli atti necessari al compimento dell’incarico conferito (v. Cass., 18/4/2003, n. 6264; Cass., 4/4/1997, n. 2910;

Cass., 6/3/1979, n. 1392).

Pur in presenza di una procura ad litem di contenuto scarno e generico, si è ritenuto spettare al difensore, che gode di discrezionalità tecnica (salva la responsabilità verso il mandante per l’eventuale inosservanza delle istruzioni), di: impostare la lite e scegliere la condotta processuale più rispondente agli interessi del proprio rappresentato (v. Cass., 7/1/1984, n. 99; Cass., 20/6/1978, n. 3033); proporre tutte le domande comunque ricollegabili all’oggetto originario (v. Cass., 26/7/2005, n. 15619; Cass., 7/4/2000, n. 4356; Cass., 7/2/1995, n. 1393; Cass., 30/10/1981, n. 5736; Cass., 26/3/1979, n. 1745; Cass., 8/1/1977, n. 52; Cass., 13/10/1975, n. 3284); fissare con le conclusioni definitive il thema decidendum, salve le espresse limitazioni del mandato (v. Cass., 13/0/1972, n. 2373).

Si è pertanto riconosciuto il potere del difensore di modificare la condotta processuale in relazione agli sviluppi e agli orientamenti della causa nel senso ritenuto più rispondente agli interessi del proprio cliente (v. Cass., 4/2/2002, n. 1439; Cass., 3/7/1979, n. 3762), nonchè di compiere, con effetto vincolante per la parte, tutti gli atti processuali non riservati espressamente alla stessa, come ad esempio consentire od opporsi alle prove avversarie e di rilevarne l’inutilità (v. Cass., 3/7/1979, n. 3762), rinunziare a singole eccezioni o conclusioni, ridurre la domanda originaria e rinunziare a singoli capi della domanda, senza l’osservanza di forme rigorose (v. Cass., 24/9/2013, n. 21848; Cass., 8/1/2002, n. 140;

Cass., 10/4/1998, n. 3734; Cass., 15/5/1997, n. 4283; Cass., 28/1/1995, n. 1047; Cass., 1/12/1994, n. 10268; Cass., 28/10/1988, n. 5859; Cass., 20/6/1978, n. 3033).

Si è viceversa escluso che la procura alle liti consenta al difensore di effettuare atti che importino disposizione del diritto in contesa, come transazione, confessione, rinuncia all’azione o all’intera pretesa azionata dall’attore nei confronti del convenuto, rinunzia agli atti del giudizio (v. Cass., 17/12/2013, n. 28146;

Cass., 5/7/1991, n. 7413; Cass., 28/10/1988, n. 5859; Cass., 7/1/1984, n. 99; Cass., 20/6/1978, n. 3033; Cass., 2/8/1977, n. 3396); nonchè di introdurre una nuova e distinta controversia eccedente l’ambito della lite originaria (v. Cass., 26/7/2005, n. 15619; Cass., 7/4/2000, n. 4356; Cass., 7/2/1995, n. 1393; Cass., 26/3/1979, n. 1745; Cass., 13/10/1975, n. 3284), non potendo essere validamente utilizzata per un rapporto litigioso soggettivamente e oggettivamente diverso da quello per il quale è stata rilasciata (v.

Cass., 18/6/1969, n. 2164; Cass., 18/6/1968, n. 2017).

La procura alle liti conferisce dunque al difensore il potere di proporre tutte le domande che non eccedano l’ambito della lite originaria.

Al riguardo si sono peraltro registrati non univoci orientamenti interpretativi relativamente, in particolare, alla domanda riconvenzionale;

all’appello incidentale; alla chiamata in causa di un terzo.

Quanto alla domanda riconvenzionale risulta ormai superato il risalente orientamento restrittivo al riguardo emerso (v. Cass., 7/11/1992, n. 12407; Cass., 4/6/1988, n. 3800), essendosi affermato che il mandato ad litem, anche quando sia conferito in calce alla copia notificata della citazione, attribuisce al difensore la facoltà di proporre tutte le difese che siano comunque ricollegabili all’originario oggetto della causa, e quindi anche la domanda riconvenzionale, atteso che quest’ultima, anche quando introduce un nuovo tema di indagine e mira all’attribuzione di un autonomo bene della vita, resta sempre fondamentalmente connotata dalla funzione difensiva di reazione alla pretesa della controparte (v. Cass., 29/10/2015, n. 22118; Cass., 26/7/2012, n. 13209; Cass., 27/5/2011, n. 11847; Cass., 5/11/2009, n. 23467; Cass., 24/10/2007, n. 22330;

Cass., 20/5/2009, n. 11744; Cass., 20/3/2009, n. 6883; Cass., Sez. Un., 15/1/2008, n. 5080; Cass., 7/4/2006, n. 8207; Cass., 2/10/2000, n. 13001; Cass., 7/4/2000, n. 4356; Cass., 5/1/2000, n. 38; Cass., 11/05/1998, n. 4744; Cass., 7/2/1995, n. 1393; Cass., 26/3/1979, n. 1745. E già Cass., 13/10/1975, n. 3284; Cass., 19/6/1973, n. 1811).

Con riferimento all’appello incidentale, queste Sezioni Unite hanno recentemente composto l’insorto contrasto interpretativo pervenendo ad affermare che secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa processuale, idonea a dare attuazione ai principi di economia processuale e di tutela del diritto di azione e di difesa della parte stabiliti dagli artt. 24 e 111 Cost., deve senz’altro riconoscersi al difensore dell’appellato il potere di proporre appello incidentale anche nel caso in cui la procura sia stata apposta in calce alla copia notificata dell’atto di citazione in appello, ossia ad uno degli atti previsti dall’art. 83 c.p.c., comma 3, in quanto la facoltà di proporre tutte le domande ricollegabili all’interesse del suo assistito e riferibili all’originario oggetto della causa è attribuita al difensore direttamente dall’art. 84 c.p.c., e non dalla volontà della parte che conferisce la procura alle liti, rappresentando tale conferimento non un’attribuzione di poteri ma semplicemente una scelta ed una designazione, con la conseguenza che la natura dell’atto con il quale od all’interno del quale viene conferita, o la sua collocazione formale, non costituiscono elementi idonei a limitare l’ambito dei poteri del difensore (v. Cass., Sez. Un., 14/9/2010, n. 19510).

In ordine alla chiamata di un terzo in causa, con particolare riferimento al rapporto di garanzia si è nella giurisprudenza di legittimità generalmente ritenuto il difensore del convenuto abilitato dalla procura conferita per resistere alla domanda attrice a chiamare in causa un terzo in garanzia ad. propria (che si ha quando la causa principale e quella accessoria abbiano lo stesso titolo, ovvero quando ricorra una connessione oggettiva tra i titoli delle due domande: v. Cass., 16/4/2014, n. 8898; Cass., 29/07/2009, n. 17688; Cass., 24/01/2007, n. 1515), onde sollevare il proprio assistito dall’eventuale soccombenza nei confronti dell’attore (v.

Cass., 31/3/2000, n. 3928; Cass., 29/1/1991, n. 877; Cass., 14/4/1984, n. 2415), o comunque per esigenze difensive (v. Cass., 17/5/1986, n. 3274).

Nel sottolineare che la chiamata in causa del terzo in base ad una normale e generica procura originaria è ammissibile qualora la presenza del medesimo costituisca un’esigenza della difesa nel processo, si è al riguardo in particolare sottolineato che allorquando il convenuto per risarcimento di danni abbia conferito il mandato alle liti “con ogni più ampia facoltà di legge”, ed abbia subito indicato quale unico responsabile un terzo, deve ritenersi che la sua reale volontà sia stata quella di conferire al patrono non solo il potere di chiamare in causa il terzo per soddisfare l’esigenza di difesa rispetto alla domanda risarcitoria dell’attore, ma anche il potere di proporre nei confronti del terzo la domanda di risarcimento dei danni, e ciò al fine evidente di conseguire, in un unico processo, la decisione su tutte le pretese (v., con riferimento a caso di scontro di autoveicoli, Cass., 22/7/1991, n. 2421).

Si è viceversa escluso che una siffatta procura consenta al difensore di esperire contro il terzo azioni fondate su un titolo autonomo e distinto, implicanti un’estensione dell’ambito della lite (v. Cass., 16/3/2006, 5817; Cass., 17/5/1986, n. 3274. Cfr. altresì Cass., 26/7/2005, n. 15619; Cass., 7/4/2000, n. 4356; Cass., 7/2/1995, n. 1393; Cass., 24/3/1981, n. 1695; Cass., 12/5/1979, n. 2729; Cass., 26/3/1979, n. 1745; Cass., 13/10/1975, n. 3284).

Tale si è ritenuta, in particolare, la chiamata del terzo in garanzia c.d. impropria che si ha quando il convenuto tenda a riversare su di un terzo le conseguenze del proprio inadempimento in base ad un titolo diverso da quello dedotto con la domanda principale, ovvero in base ad un titolo connesso al rapporto principale solo in via occasionale o di fatto (v. Cass., 16/4/2014, n. 8898; Cass., 24/01/2007, n. 1515; Cass., 30/9/2005, n. 19208), perchè risponda in suo luogo, oppure venga condannato a rispondere di quanto sia eventualmente tenuto a prestare all’attore (v. Cass., 8/8/2002, n. 12029). Per la diversa ipotesi della chiamata del terzo responsabile, indicato dal convenuto come l’effettivo titolare passivo della pretesa dedotta in giudizio dall’attore, v. altresì Cass., 29/9/2015, n. 19223; Cass., 7/10/2011, n. 20610; Cass., 7/6/2011,12317; Cass., 21/10/2008, n. 25559; Cass., 28/1/2005, n. 1748. E già Cass., 19/6/1973, n. 1811.

A tale stregua, si è ad esempio escluso che nel giudizio promosso dal danneggiato da sinistro stradale il difensore del convenuto possa proporre, avvalendosi del mandato ricevuto solo per resistere alla pretesa azionata nei suoi confronti, domanda di garanzia contro l’assicuratore della parte rappresentata (v. Cass., 11/3/1992, n. 2929).

Per la chiamata del terzo in garanzia c.d. impropria si è ravvisato necessario il conferimento espresso al difensore (anche) del relativo potere, se del caso mediante nuova procura, in calce o a margine della citazione in chiamata.

Si è peraltro fatta in ogni caso salva l’ipotesi che l’attribuzione di siffatto potere risulti implicitamente evincibile dal contesto dell’atto cui essa accede; che dall’atto contenente la procura originaria emerga cioè la chiara espressione di volontà della parte di autorizzare il difensore (anche) alla chiamata in garanzia impropria (v. Cass., 29/9/2009, n. 20825; Cass., 25/5/2007, n. 12241;

Cass., 17/3/2005, n. 5768; Cass., 2/12/1998, n. 12223; Cass., 21/5/1998, n. 5083; Cass., 19/11/1987, n. 8534; Cass., 27/7/1983, n. 5151; Cass., 23/3/1977 n. 1136; Cass., 18/6/1968, n. 2017).

La verifica della effettiva estensione della procura rilasciata al difensore si è affermato costituire un obbligo del giudice, a garanzia non tanto delle controparti quanto della stessa parte che l’ha rilasciata, perchè la medesima non risulti esposta al rischio del coinvolgimento in un’ulteriore controversia non voluta, in ragione dell’autonoma iniziativa del proprio difensore (v. Cass., 22/11/1996, n. 10307).

Si è da queste Sezioni Unite posto d’altro canto in rilievo come il difetto di ius postulandi ridondi invero sul piano della valida instaurazione del contraddittorio (v. Cass. Sez. Un., 1/6/2002, n. 9556).

Orbene, va osservato come dal principio affermato da queste Sezioni Unite in base al quale i poteri del difensore discendono direttamente dalla legge, la procura valendo solamente a realizzare la scelta e la designazione dell’avvocato e a far emergere la relativa (più o meno ampia) eventuale limitazione in base alla volontà della parte (v.

Cass., Sez. Un., 14/9/2010, n. 19510), deve correttamente trarsene, quale ulteriore corollario, che la procura, ove risulti come nella specie conferita in termini ampi e comprensivi (“con ogni facoltà”), in base a un’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa processuale idonea a dare attuazione ai principi di tutela del diritto di azione e di difesa nonchè di economia processuale (artt. 24 e 111 Cost.) deve intendersi come idonea ad attribuire al difensore il potere di esperire tutte le azioni necessarie o utili per il conseguimento del risultato a tutela dell’interesse della parte assistita.

Ivi ricompresa, pertanto, l’azione di garanzia c.d. impropria, volta come detto a salvaguardare l’interesse della parte mediante la chiamata in causa del terzo, perchè risponda in suo luogo o venga condannato a tenerla indenne di quanto risulti eventualmente tenuta a prestare all’attore.

Esigenza invero pienamente avvertita dalla corte di merito nell’impugnata sentenza, che della disciplina in argomento ha dato corretta interpretazione, meritevole di trovare conferma in questa sede.

Emerge evidente, a tale stregua, come la suindicata seconda ratio decidendi risulti costituire in realtà un mero obiter dictum, la cui disamina rimane conseguentemente assorbita, anche relativamente ai profili di contrasto interpretativo al riguardo segnalati dalla 2^ Sezione nell’ordinanza di rimessione.

Con il 2 motivo la ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione” dell’art. 324 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè “motivazione contraddittoria e insufficiente”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente rigettato l’eccezione di giudicato sollevato con riferimento alla sentenza Trib. Trieste n. 1084/04, ove si è accertato “che la New Impre s.r.l. aveva eseguito i lavori a regola d’arte e non aveva provocato danni a terzi”.

Lamenta che la corte di merito “ha erroneamente ritenuto di poter affermare la diversità dell’oggetto del contendere avendo riguardo allo stato soggettivo dell’esecutore dei lavori”.

Si duole che la corte di merito non indichi “sulla base di quali elementi di prova acquisiti al processo sarebbe giunta al convincimento che, in occasione delle infiltrazioni verificatesi nei giorni 15-17 novembre 1995, i lavori non fossero stati ancora ultimati e, soprattutto, che le infiltrazioni lamentate dai signori M. dipendessero e provenissero dalla parte del tetto su cui la Impre s.r.l. aveva in precedenza eseguito ed ultimato i lavori di impermeabilizzazione”, laddove da altre emergenze processuali emerge che “i lavori per cui è causa erano stati realizzati a regola d’arte e senza provocare danni di sorta a chicchessia”.

Con il 3 motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” degli artt. 1667 e 342 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito abbia “erroneamente rigettato l’eccezione di decadenza e prescrizione dell’azione di garanzia esperita dal condominio”, in quanto sprovvista “di qualsiasi supporto argomentativo idoneo ad esplicitarne il fondamento”, laddove “il motivo risulta ampiamente argomentato proprio in ragione del profilo che aveva portato il Tribunale a rigettare le eccezioni di decadenza e prescrizione”.

Con il 4 motivo denunzia “motivazione insufficiente e contraddittoria”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che la corte di merito abbia escluso che “le infiltrazioni d’acqua fossero derivate dalla rottura di un tubo pluviale”, laddove “tale affermazione… contrasta irrimediabilmente proprio con le prove testimoniali, documentali, fotografiche e tecniche acquisite nel corso dell’istruttoria ad eccezione delle apodittiche deduzioni compiute dal CTU in piena solitudine ed autonomia”.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Quanto all’eccezione di giudicato esterno asseritamente formatosi sull’evocata sentenza del Tribunale di Trieste n. 1084/04 di cui al 2 motivo, va posto anzitutto in rilievo che la ricorrente non ha invero osservato il principio ripetutamente affermato da questa Corte secondo cui il giudicato esterno (che è rilevabile d’ufficio) può far stato nel processo solamente laddove vi sia certezza in ordine alla relativa formazione, incombendo pertanto a colui il quale ne invochi l’autorità (v. Cass., 19/9/2013, n. 21469; Cass., 24/11/2008, n. 27881; Cass., Sez. Un., 16/6/2006, n. 13916) fornire la relativa prova, mediante la produzione della sentenza munita dell’attestazione di cancelleria ex art. 124 disp. att. c.p.c., in ordine all’intervenuto relativo passaggio in giudicato (v. Cass., 8/5/2009, n. 10623; Cass., 24/11/2008, n. 27881; Cass., 3/11/2006, n. 23567. Da ultimo v., Cass., 19/9/2013, n. 21469, ove si è esclusa la sufficienza del deposito della sola certificazione di cancelleria attestante il passaggio in giudicato della sentenza, in quanto inidonea a dare certezza in ordine al contenuto del provvedimento;

Cass., 3/4/2014, n. 7768; Cass., 14/7/2015, n. 14646).

Va ulteriormente osservato che i motivi risultano formulati in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che la ricorrente fa riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (es., alla “lettera d.d. 05.07.05 inviata dal Direttore dei lavori geom. E.C.”, all’espletata CTU, al “supplemento di perizia”, al “corredo probatorio acquisito agli atti”, alle “risultanze testimoniali, documentali, fotografiche, e tecniche acquisite nel corso dell’istruttoria”, alle “dichiarazioni testimoniali della B.”, alle dichiarazioni del teste R.) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., in particolare, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 24/10/2014, n. 22607; Cass., 9/4/2013, n. 8569; Cass., 23/3/2010, n. 6937), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass., 19/8/2015, n. 16900; Cass., 6/11/2012, n. 19157; Cass., 3/11/2011, n. 22726).

Quanto ai pure denunziati vizi di motivazione, i motivi non recano la corrispondente prescritta “chiara indicazione” delle relative “ragioni”, secondo lo schema e nei termini delineati da questa Corte, non risultando riassuntivamente indicato il fatto controverso, gli elementi la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione, gli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria, inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica di questa Corte, con interpretazione che si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (cfr. Cass., 20/5/2013, n. 12248; Cass., 24/11/2011, n. 24850; Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360).

Senza sottacersi, con riferimento in particolare al 2 e al 4 motivo, che la ricorrente in realtà si duole dell’erroneo apprezzamento delle emergenze processuali senza invero nemmeno formulare censura ai sensi degli artt. 115 e 116 c.p.c..

Va infine osservato, in ordine alla doglianza circa l’inammissibilità ex art. 342 c.p.c., del motivo di appello “sub c)”, che la fondatezza dell’assunto posto dalla corte di merito a sostegno di tale declaratoria (l’essere cioè esso “sprovvisto di qualsiasi supporto argomentativo idoneo ad esplicitarne il fondamento”) trova invero sintomatica conferma già in base al tenore della censura riportata nel ricorso e a suo tempo sottoposta al vaglio del giudice del gravame, inammissibilmente essa sostanziandosi in una mera valutazione e in un’asserzione formulata in termini di mera apodittica contrapposizione alla decisione del giudice di prime cure (“il ragionamento motivatorio seguito dal Tribunale per affermare la responsabilità contrattuale della New Impre Service s.r.l. non è condivisibile perchè si fonda su una circostanza di fatto non vera e non provata”).

All’inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.

Nulla sulle spese non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2016

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