Cass., sez. lav., 20 maggio 2004 n. 9631,: «Nel procedimento di verificazione della scrittura privata, il giudice del merito, ancorché abbia disposto una consulenza grafica sull’autografia d’una scrittura disconosciuta, ha il potere – dovere di formare il proprio convincimento sulla base d’ogni altro elemento di prova obiettivamente conferente, comprese le risultanze della prova testimoniale, senza essere vincolato ad alcuna graduatoria fra le varie fonti di accertamento della verità . . . In relazione a questo particolare elemento probatorio è da osservarsi che, anche se ogni umano aspetto della persona è oggettivamente irripetibile (e di alcuni – come le impronte digitali, i lineamenti del volto, le vibrazioni della voce, e la stessa iride – esaminati e differenziati da sofisticati strumenti, l’attuale tecnologia può affermare – o negare – con certezza l’appartenenza ad una specifica persona), ed è tale anche la forma della scrittura (e questa irripetibilità ne giustifica la comparazione), tuttavia la verifica dell’irripetibilità di questo particolare aspetto, fondata sulla – pur pregevole – umana valutazione recata da una consulenza grafologica, inevitabilmente affidata ad elementi (svolazzi, pressioni, curve, lunghezze, altezze) allo stato non matematicamente ponderabili, assume, oggettivamente, un rilievo probatorio di ben limitata consistenza».
Cass. 1 marzo 2002 n. 3009, opina che il giudice avrà facoltà di intervenire con il suo motivato giudizio al riguardo anche desunto da fattori diversi dalla perizia grafica. Conf., Trib. Milano 9 aprile 1998:
«Avendo le indagini grafiche limitato valore probatorio perché prive del carattere di compiutezza e di assoluta certezza in quanto fondate su tecniche interpretative diverse e contrastanti, è indispensabile riferirsi a tutti gli altri elementi di prova al fine di desumere le complessive ragioni del convincimento giudiziale».
Cass. 28 aprile 2005 n. 8881: «In tema di verifica dell’autenticità della scrittura privata, la limitata consistenza probatoria della consulenza grafologica, non suscettiva di conclusioni obiettivamente ed assolutamente certe, esige non solo che il giudice fornisca un’adeguata giustificazione del proprio convincimento in ordine alla condivisibilità delle conclusioni raggiunte dal consulente (giustificazione cui è tenuto con riguardo ad ogni genere di consulenza, le cui conclusioni condivida o disattenda), ma anche che egli valuti l’autenticità della sottoscrizione dell’atto, eventualmente ritenuta dalla consulenza, anche in correlazione a tutti gli elementi concreti sottoposti al suo esame. Per le stesse ragioni, la consulenza grafologica non costituisce un mezzo imprescindibile per la verifica dell’autenticità della sottoscrizione, potendo il giudice evitare di fare ricorso ad essa ove tale accertamento possa essere effettuato sulla base degli elementi acquisiti o mediante l’espletamento di altri mezzi istruttori». Non dissimilmente si esprime, ratione materiae, la S.C. penale: «In tema di falsità, allo scopo di accertare la sussistenza dell’elemento oggettivo, non può ritenersi sempre indispensabile l’espletamento della perizia grafica, la quale peraltro, ha valore solo d’indizio. Invero, per il principio della libertà della prova e del libero convincimento del giudice, la certezza della falsità del titolo può essere desunta anche da altri elementi (fattispecie nella quale il giudice di merito ha ritenuto superflua l’indagine peritale, ricavando la prova della falsità del documento e della responsabilità dell’imputato dal disconoscimento della firma da parte di colui che appariva come l’emittente, dalla genuinità dell’intestazione del titolo a favore dell’imputato e dall’autenticità della girata da costui apposta, dalla consegna del titolo a persona creditrice dell’imputato. La S.C. rilevando che, in sede di ricorso, l’imputato, lamentando il mancato esperimento della perizia grafologica, aveva semplicemente tentato di rielaborare il fatto attraverso una non consentita rilettura degli atti, ha rigettato il gravame)».
Sul punto, si leggano ancora Cass. 17 dicembre 1999 n. 14227 ed id., 6 aprile 1981, n. 1940, Cass. pen. 20 gennaio 2003 n. 12839, ed id., 23 ottobre 1990.
Trib. pen. Taranto 20 giugno 1996, in tema di falso ideologico commesso da p.u., di cui si riporta uno stralcio della motivazione: «. . . Le due consulenze di parte pervengono a conclusioni nettamente differenti:mentre il consulente tecnico della difesa, … perviene ad una affermazione di sicura genuinità ed autenticità della firma . . . il CT del P.M . . . ad un giudizio di falsità della firma, ottenuta con la tecnica della imitazione . . . 1) in particolare la consulenza tecnica per il P.M. accentra la propria attenzione sulla analisi del gesto grafico della pressione, sulla caratteristica del c.d. “gesto fuggitivo” . . . Conclusioni del CT del PM: le firme di paragone sono chiaramente frutto di un gesto spontaneo; la firma in verifica è esecuzione lenta di un disegno frutto di imitazione, ed è perciò sicuramente falsa. 2) Per converso, il CT della difesa contrappone alla consulenza per il PM le seguenti osservazioni: a) dal confronto fra la firma contestata e le firme di comparazione emerge similarità di “engramma ideativo” vale a dire esiste lo stesso modo di ideare la firma nella sua interezza espressiva; b) le forme grafiche risultano eseguite con la spontanea similarità dei movimenti formativi; c) vi è corrispondenza dei rapporti ritmici fra “attacchi” e “stacchi” tra le varie lettere; d) stessa modulazione dei tratti grafici, stesso affievolimento pressorio in finale dei tratti, perfetta concordanza di elementi costitutivi e modalità esecutive; e) già tali elementi escludono che la firma contestata possa costituire frutto di imitazione; in aggiunta a ciò va poi considerato che, poiché del documento contestato è a disposizione soltanto la fotocopia, sulla quale è stato eseguito l’esame grafologico, le anomalie pressorie che appaiono sul tracciato grafico della sottoscrizione . . . in verifica non sono dovute ad innaturalezze immesse imitazione (come ritenuto dal CT del PM), ma dipendono dal fatto che il tracciato grafico riprodotto per fotocopiatura, specialmente quando la riproduzione fotostatica è fatta da altra fotocopia, rimane deformato dalle localizzazioni delle polveri di toner, come spiegato alle pagg. 42-43 della CT della difesa. Sulla base di tali considerazioni il CT della difesa conclude nel modo che segue: la firma in verifica risulta essere genuinamente autografa. 3) La perizia del CTU . . . Dalla disamina poi delle due consulenze tecniche della difesa e del PM il perito osserva che la prima non ha applicato il metodo della comparazione relativa al reperto dei segni coattivi indispensabili per una “certezza identificatoria, mentre la seconda si è limitata ad affrontare il problema soltanto sotto il profilo della comparazione morfologica delle scritture in esame . . . Si è così affermato che “ogni qualvolta deve procedersi a comparazione delle scritture, la perizia deve essere eseguita secondo i principi della grafologia, in quanto non è sufficiente la comparazione pura e semplice di determinati segni calligrafici per stabilire l’appartenenza di due scritti ad una medesima persona, dovendosi tener conto di tutti gli altri elementi rilevatori dal carattere”; ed ancora, che “in tema di perizia per accertare la autenticità di una nuova scrittura, il vecchio metodo in cui il perito procedeva esclusivamente ad una comparazione alfabetica è stato abbandonato non avendo nulla di scientifico . . . Al metodo calligrafico si è quindi sostituito quello grafonomico, che studia la grafia non solo nel suo aspetto obiettivo, ma in relazione altresì alla scrittura, individuandone difformità e somiglianza e, soprattutto, le caratteristiche distintive, idonee a farne stabilire la provenienza da un determinato soggetto. Le conclusioni cui il Tribunale ritiene doversi pervenire, sul caso di specie, non può prescindere dalla considerazione che i tre esami della firma rispettivamente svolti da tutti i consulenti tecnici sono giunti a conseguenze difformi: quella per il PM conclude per la sicura falsità, quella della difesa per la sicura autenticità, la CTU nel senso della incertezza in ordine alla paternità della firma, sulla scorta della rilevata compresenza di fattori caratterizzanti comuni e diversificanti in egual numero ai quali possono solo aggiungersi quali elementi corollario di riscontro gli elementi cosiddetti aggiuntivi, ma l’effetto dei quali ultimi viene logicamente a perdere rilevanza in presenza di elementi coattivi neutralizzantisi numericamente. Pur riconoscendo pregio e cura agli elaborati del CT del PM e della difesa non può trascurarsi, a giudizio di questo Tribunale, che la comparazione fra gli stessi evidenzia nell’elaborato della CTU l’applicazione di criteri scientifici più aggiornati ed attuali, così come d’altro canto riconosciuti come validi dalla Giurisprudenza anche recente della Suprema Corte. Il Tribunale fa pertanto proprie le conclusioni della perizia di Ufficio e cioè che il caso, oggetto dell’elaborato peritale, non può giungere a conclusione di “certezza identificatoria”; il che equivale sostanzialmente a dire, in altre parole, che non può affermarsi che la contestata firma sia un falso; ciò, in termini di accertamento della penale responsabilità dell’imputato, conduce alla impossibilità di affermare che egli, nell’esercizio delle sue funzioni, attestò falsamente l’autenticità della firma contestata e l’apposizione della stessa in sua presenza: ciò, non consentendo di ravvisare neppure gli estremi della condotta integrante il reato di falso ideologico ascritto all’imputato comporta la assoluzione di questi dal reato ascrittogli perchè il fatto non sussiste . . .».
Circa il rifiuto dei metodi calligrafico e grafometrico vi è già traccia nella risalente App. Trento 25 maggio 1956 (in Giust. civ., 1956, 25):
«Nell’accertamento dell’autografia di una scrittura privata, il metodo dell’esame dell’aspetto dell’esecuzione grafica, basato sul rilievo dell’impronta personale della scrittura, estrinsecatesi nella diversità delle linee della pressione, dell’estensione, della velocità, come quello in formato, ha più sicuri criteri scientifici, dà maggiore affidamento dell’esame grafometrico, sicché in caso di discordanza dei risultati dell’esame condotto con due metodi, sono più attendibili quelli ottenuti con il primo»;
Cass. 29 dicembre 1959: «Una perizia grafica prevalentemente basata sul metodo dell’interpretazione calligrafica è generalmente insufficiente senza il contributo di una attenta interpretazione grafologica a dirimere il pericolo di errore nel responso offerto al magistrato». In termini, la recente Cass. 29 novembre 1990, n. 15852: «È noto, infatti, che uno stesso soggetto può variare la propria scrittura non solo col passare degli anni, ma nello stesso lasso di tempo – a seconda che attribuisca allo scritto maggiore o minore significato, o della persona cui è diretto, etc. – e, addirittura in uno stesso scritto. Al metodo calligrafico si è quindi sostituito quello grafonomico, che studia la grafia non solo nel suo aspetto obiettivo, cogliendone anche l’evoluzione, ma in relazione altresì alla specifica scrittura, individuandone difformità e somiglianze e, soprattutto, le caratteristiche distintive, idonee a farne stabilire la provenienza da un determinato soggetto (fattispecie relativa a falsità di un testamento olografo»;
Cass. pen. 23 ottobre 1990, in Riv. pen., 1991, 871: «In tema di perizia per accertare l’autenticità di una scrittura, il vecchio metodo, in cui il perito procedeva esclusivamente ad una comparazione alfabetica, limitandosi a paragonare tra loro le singole lettere è stato abbandonato, non avendo nulla di scientifico; è noto infatti che uno stesso soggetto può variare la propria scrittura non solo col passare degli anni, ma nello stesso lasso di tempo – a seconda che attribuisca allo scritto maggiore o minore significato o della persona cui è diretto, ecc.- e, addirittura, in uno stesso scritto» (conf., Trib. pen. Taranto 20 giugno 1996, citata supra).
Trib. Messina 27 novembre 2002: «. . . Solo se compiuta sul documento originale – in relazione al quale è configurabile l’accertamento dell’autenticità – la verificazione può condurre, in alternativa al riconoscimento, al risultato di attribuire la dichiarazione al suo apparente sottoscrittore: tale attribuzione non potrebbe essere giustificata dalla verificazione operata su una copia, dato che il sistema di fotocopiatura, prestandosi a svariate manipolazioni, non garantisce nemmeno l’unicità dell’atto riprodotto e, quindi, che il sottoscrittore abbia partecipato alla redazione dell’atto. Il contrasto tra i due orientamenti è, però, solo apparente come può comprendersi alla luce del su evidenziato obiettivo dell’indagine di verifica e della peculiare utilità che, rispetto ad esso, solo l’analisi dell’originale può offrire: obiettivo che è esattamente opposto a quello che un’indagine grafologica si propone nel caso di querela di falso. Mentre infatti nel caso del procedimento di verificazione si tratta di attribuire la dichiarazione al suo apparente sottoscrittore, partendosi da una situazione in cui tale attribuzione è esclusa a seguito del tempestivo disconoscimento, nel caso del giudizio di falso si tratta, all’opposto, di smentire detta attribuzione superando la forza dimostrativa legale che di essa discenda dalla natura dell’atto (atto pubblico o scrittura privata riconosciuta). Mentre nella prima direzione (verificazione) l’utilizzo della copia non può mai dare risultati di certezza “dato che il sistema di fotocopiatura, prestandosi a svariate manipolazioni, non garantisce nemmeno l’unicità dell’atto riprodotto e, quindi, che il sottoscrittore abbia partecipato alla redazione dell’atto”, nella direzione opposta (accertamento del falso) quest’ultimo limite sussiste solo se l’accertamento tecnico condotto sulla copia, in ipotesi, non consenta di negare l’attribuzione della firma al suo apparente sottoscrittore, ma non quando esso già lasci emergere, senza margini di dubbio, la falsità dell’atto. Rispetto a tale fine dimostrativo, ove adeguatamente motivato sul piano tecnico grafologico, nessuna utilità aggiuntiva potrebbe apportare l’analisi dell’originale, non essendo logicamente ipotizzabile che lo studio di questo possa condurre a far ritenere autentico quello che l’analisi della copia (conforme all’originale) ha già dimostrato essere falso».
Giorgio Vanacore
Avvocato in Napoli
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