Al fine di incentivare ulteriormente il ricorso allo strumento del concordato preventivo e di eliminare un’illogica diversità di disciplina rispetto al concordato fallimentare, si è previsto con la riforma dell’art. 160 legge fallimentare (R.D. n. 267 del 1942), operata con il D.Lgs. n. 169 del 2007, che anche la proposta di concordato preventivo possa contemplare il pagamento in percentuale dei creditori privilegiati, a condizione che la misura del soddisfacimento proposta non sia inferiore a quella realizzabile sul ricavato in caso di vendita dei beni sui quali il privilegio cade.
Cass. civ. Sez. I, 26/09/2014, n. 20388
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CECCHERINI Aldo – Presidente –
Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –
Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 21234/2011 proposto da:
FALLIMENTO DE.CO. S.R.L. (c.f. (OMISSIS)), in persona del Curatore avv. C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA VESCOVIO 21, presso l’avvocato MANFEROCE TOMMASO, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
G.V., già Amministratore Unico della DE.CO. S.R.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA L. MAGALOTTI 15, presso l’avvocato SALDUTTI NICOLA ALESSANDRO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREA SALDUTTI, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
contro
B.M.B., CHIARA S.R.L., ODORISIO S.P.A., DECOREV S.A.S., DIEMME ELETTRICA S.R.L.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 3359/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 25/07/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/07/2014 dal Consigliere Dott. ANTONIO DIDONE;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato SALDUTTI ANDREA che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1.- Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Roma ha revocato la sentenza dichiarativa di fallimento della s.r.l. DECO pronunciata dal Tribunale di Roma dopo la dichiarazione di inammissibilità della proposta di concordato preventivo presentata dalla società medesima.
Il diniego di ammissione alla procedura di concordato era stato motivato dal mancato riconoscimento degli interessi sui crediti privilegiati, in assenza delle condizioni di riduzione del credito, e la dilazione del pagamento per tali crediti, dal momento che era prevista una scadenza di ventiquattro mesi per il pagamento.
Secondo la Corte di merito il tribunale aveva operato una (indebita) valutazione di merito della proposta, non correlata in alcun modo alla specifica previsione di cui alla L. Fall., art. 160, la quale pone come limite per l’ammissibilità della proposta, quanto ai creditori privilegiati, la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione indicata nella relazione giurata, nonchè l’inibizione all’alterazione delle cause legittime di prelazione per effetto del trattamento stabilito per ciascuna classe di creditori. Ipotesi non richiamata nel decreto del tribunale e non sussistente nella concreta fattispecie. Quindi la valutazione del tribunale esulava dai limiti riconosciutigli dalla normativa vigente.
1.1.- Contro la sentenza di appello il curatore del fallimento della s.r.l. DECO ha proposto ricorso per cassazione affidato a un solo motivo.
Resiste con controricorso G.V., già amministratore della società fallita.
2.- Con l’unico motivo di ricorso la curatela ricorrente denuncia la violazione di norme sul concordato preventivo e sugli interessi nel fallimento, per avere la Corte di appello ritenuto valutazione di merito, insindacabile dal giudice, l’esclusione degli interessi sui crediti privilegiati dilazionati.
In sintesi deduce che la proposta di concordato, per corrispondere allo schema legale tipico, deve necessariamente contenere per i creditori privilegiati il pagamento integrale dei propri crediti. Gli interessi, quali accessori del capitale, fanno parte del credito complessivo e ne seguono la sorte vuoi ai sensi dell’art. 2749 c.c., vuoi, nella procedura di concordato, ai sensi della L. Fall., art. 169, che richiama espressamente la L. Fall., art. 55. Anche tali ultime norme, conseguentemente, risultano violate nella fattispecie.
Avrebbe errato, la Corte di merito, da una parte, nel ritenere che il mancato riconoscimento degli interessi sui crediti privilegiati, contenuto nella proposta, in assenza delle condizioni di riduzione del credito, involgesse una valutazione di merito da parte del Tribunale in sede di ammissione al concordato preventivo; dall’altra, che la disposizione di cui alla L. Fall., art. 160, comma 2, non ricorrerebbe in relazione agli interessi spettanti ai creditori privilegiati.
Deduce che il mancato riconoscimento nella proposta concordataria della soddisfazione integrale del creditore privilegiato non costituisce questione di merito nè di fattibilità, sebbene questione di non conformità della fattispecie ai requisiti previsti dalla legge per l’apertura della procedura di concordato.
Correttamente, pertanto, il Tribunale di Roma aveva dichiarato inammissibile la proposta concordataria che non solo prevedeva il pagamento non integrale dei creditori privilegiati per il mancato riconoscimento degli interessi per tutto il tempo successivo alla presentazione della domanda ed anche per il periodo successivo di 24 mesi dalla omologazione, indicato come tempo per il presumibile pagamento, ma prevedeva, altresì, appunto, il differimento del pagamento dei crediti privilegiati di 24 mesi dalla intervenuta omologazione.
3.- Giova premettere che l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo la quale l’accertamento operato dal tribunale costituiva accertamento di merito non consentito dalla L. Fall., art. 162, è errata perchè, se in tesi non fosse possibile proporre un pagamento dilazionato dei crediti privilegiati, con o senza corresponsione di interessi, la dichiarazione di inammissibilità della la proposta presentata in violazione di tale regola (e, quindi, della L. Fall., art. 160) costituirebbe senz’altro effetto di un controllo di legittimità della proposta di concordato, come tale consentito al giudice del merito (Sez. un., n. 1521/2013).
Sotto tale aspetto l’impostazione seguita dalla Corte territoriale non può essere quindi condivisa, ma è evidente che l’inesattezza, riguardando la motivazione “in diritto” ed essendo il dispositivo “conforme a diritto”, non si traduce in un vizio idoneo a giustificare la cassazione della sentenza impugnata (Cass. 9 aprile 1990, n. 2940; 10 aprile 1983, n. 2627), la cui motivazione, però, deve essere corretta nei sensi più avanti spiegati, come imposto dall’art. 384 c.p.c..
4.- Recentemente questa Corte (Sez. 1, n. 10112/2014) ha esaminato le seguenti questioni: a) se sia ammissibile una proposta di concordato preventivo che preveda il pagamento dilazionato dei creditori privilegiati; b) in caso affermativo, se i creditori predetti abbiano diritto di voto nel concordato, in quanto equiparabili ai creditori privilegiati non soddisfatti integralmente; c) in ipotesi di riconoscimento del diritto al voto, quale sia la misura del credito in relazione alla quale computare il diritto di voto; d) l’incidenza sul meccanismo delineato sub e) dell’eventuale riconoscimento di interessi legali in favore dei creditori privilegiati soddisfatti con notevole dilazione rispetto ai tempi tecnici della procedura.
4.1.- E’ noto che la tesi affermativa, in relazione al primo quesito, è tratta dall’intervento del Legislatore, il quale con la riforma della L. Fall., art. 160 – operata con il D.Lgs. n. 169 del 2007 – ha ora espressamente previsto che “la proposta può prevedere che i creditori muniti di diritto di privilegio, pegno o ipoteca, non vengano soddisfatti integralmente, purchè il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione indicato nella relazione giurata di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lett. d)”. Coerentemente, poi, la L. Fall., nuovo art. 177, comma 3, prevede che, ai fini della legittimazione al voto, “i creditori muniti di diritto di prelazione di cui la proposta di concordato prevede, ai sensi dell’art. 160, la soddisfazione non integrale, sono equiparati ai chirografari per la parte residua del credito”.
Per converso, nel regime previgente anche i creditori muniti privilegio speciale su beni non più esistenti (o non rinvenuti) erano esclusi dalle operazioni di voto salvo che avessero rinunciato alla prelazione. Inoltre, l’ammissione dell’imprenditore al concordato preventivo postulava l’integrale pagamento dei crediti privilegiati immediatamente dopo l’omologazione del concordato, sia perchè la L. Fall., art. 160 – nel condizionare la proposta di concordato al pagamento, entro sei mesi, dei crediti chirografari, e, in caso di dilazione maggiore, alla prestazione di garanzie anche per il pagamento degli interessi – implicitamente presupponeva l’immediato pagamento dei crediti privilegiati, sia perchè solo l’obbligo dell’immediata soddisfazione di tali crediti giustificava l’esclusione dei creditori privilegiati dal voto per l’approvazione del concordato e la necessità per partecipare ad esso, della loro rinunzia alla prelazione (Sez. 1, n. 12632/1992; Sez. 1, n. 6901/2010). D’altronde, che la norma innanzi indicata avesse natura innovativa e, dunque, non interpretativa, era perfettamente chiaro al Legislatore, posto che nella Relazione illustrativa del D.Lgs. c.d.
“correttivo” è esplicitata la ragione dell’innovazione evidenziandosi che “la normativa precedentemente in vigore non consentiva, in sede di concordato preventivo, ed a differenza di quanto poteva invece accadere nell’ambito di un concordato fallimentare, di offrire un pagamento in percentuale dei creditori privilegiati, neppure con riferimento a quella parte del loro credito destinata a rimanere comunque insoddisfatta avuto riguardo al presumibile valore di realizzo dei beni sui quali il privilegio cade.
Si è quindi voluto, al fine di incentivare ulteriormente il ricorso allo strumento del concordato preventivo, e di eliminare una illogica diversità di disciplina rispetto al concordato fallimentare, prevedere che anche la proposta di concordato preventivo possa contemplare il pagamento in percentuale dei creditori privilegiati, semprechè la misura del soddisfacimento proposta non sia inferiore a quella realizzabile sul ricavato in caso di vendita dei beni sui quali il privilegio cade”.
La conferma della tesi favorevole all’ammissibilità della dilazione del pagamento dei crediti privilegiati è stata correttamente tratta, tra l’altro: a) dalla L. Fall., art. 182 ter, in tema di transazione fiscale, il quale consente espressamente il pagamento, non solo in percentuale, ma anche dilazionato di crediti per tributi muniti di privilegio e, per taluni di essi, “soltanto” quello dilazionato; b) dalla L. Fall., art. 186 bis, comma 2, lett. c), (introdotto con D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012) secondo il quale, nel concordato con continuità aziendale, “il piano può prevedere, fermo quanto disposto dall’art. 160, comma 2, una moratoria sino ad un anno dall’omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. In tal caso, i creditori muniti di cause di prelazione di cui al periodo precedente non hanno diritto al voto”.
Qui l’esclusione del diritto di voto – con una sorta di “moratoria” coatta paragonabile a quella di cui all’abrogato istituto dell’amministrazione controllata – vale come conferma – a contrario, per i concordati senza continuità aziendale – del principio generale sancito dalla L. Fall., art. 177, comma 3, secondo il quale “i creditori muniti di diritto di prelazione di cui la proposta di concordato prevede, ai sensi dell’articolo 160, la soddisfazione non integrale, sono equiparati ai chirografari per la parte residua del credito”. Ora, anche alla luce delle finalità perseguite dal Legislatore con il decreto c.d. correttivo, così come esplicitate nella Relazione, non vi è chi non veda che, se la regola generale è quella del pagamento non dilazionato dei crediti privilegiati, allora il pagamento dei crediti medesimi con dilazione superiore a quella imposta dai tempi tecnici della procedura (e della stessa liquidazione, in caso di concordato c.d. “liquidativo”) equivale a soddisfazione non integrale di essi. Ciò a causa della perdita economica conseguente al ritardo (rispetto ai tempi “normali”) con il quale i creditori conseguono la disponibilità delle somme ad essi spettanti. La determinazione in concreto di tale perdita (rilevante ai fini del computo del voto dei privilegiati) costituisce, ovviamente, accertamento in fatto che il giudice del merito dovrà compiere, alla luce anche della relazione giurata L. Fall., ex art. 160, comma 2, e tenendo conto di eventuali interessi offerti ai creditori e dei tempi tecnici di realizzo dei beni gravati nell’ipotesi di soluzione alternativa al concordato, oltre che del contenuto concreto della proposta nonchè della disciplina degli interessi di cui alla L. Fall., artt. 54 e 55, (richiamata dalla L. Fall., art. 169).
Nella concreta fattispecie il Tribunale non aveva compiuto una non ammessa valutazione di merito – come ritenuto erroneamente dalla Corte di appello, la cui motivazione sul punto va corretta nei sensi innanzi indicati – tuttavia aveva errato nel ritenere inammissibile una dilazione del pagamento dei crediti privilegiati senza considerare che la mancata corresponsione degli interessi andava computata ai fini della determinazione del quantum del credito non soddisfatto e ai fini del voto. Il ricorso, dunque, deve essere rigettato.
La novità della questione giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 4 luglio 2014.
Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2014
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