Nel processo di esecuzione forzata, cui partecipino più creditori concorrenti, le vicende relative al titolo esecutivo del creditore procedente, quali sospensione, sopravvenuta inefficacia, caducazione ed estinzione, non possono impedire la prosecuzione dell’esecuzione sull’impulso del creditore intervenuto il cui titolo abbia conservato la sua forza esecutiva. È, tuttavia, necessario distinguere se l’azione esecutiva si sia arrestata prima o dopo l’intervento. Ciò perché, nel primo caso, non esistendo un valido pignoramento cui gli interventi possano ricollegarsi, il processo esecutivo è improseguibile. Altresì occorre verificare se il difetto del titolo posto a fondamento dell’azione esecutiva del creditore procedente sia originario o sopravvenuto, posto che solo il primo preclude che l’azione esecutiva prosegua anche da parte degli interventori titolati, mentre il secondo consente l’estensione in loro favore di tutti gli atti compiuti finché il titolo del creditore procedente ha conservato validità.
Cass. civ. Sez. Unite, 07/01/2014, n. 61
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Primo Presidente f.f. –
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente di Sez. –
Dott. RORDORF Renato – Presidente di Sez. –
Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –
Dott. SPIRITO Angelo – rel. Consigliere –
Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 17672/2007 proposto da:
T.R. ((OMISSIS)), P.A., elettivamente domiciliati in ROMA, presso la 456 CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato BENEDETTO ANTONIO RITA, per delega a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
TELECOM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA S’ANDREA DELLA VALLE 6, presso lo studio dell’avvocato D’ERCOLE STEFANO, che la rappresenta e difende, per delega a margine del controricorso;
CAPITALIA S.P.A. già BANCA DI ROMA S.P.A., Gruppo bancario Capitalia, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ALBERICO II 33, presso lo studio dell’avvocato LUDINI ELIO, rappresentata e difesa dall’avvocato IANNUCCI EGIDIO, per delega in calce al controricorso;
– controricorrenti –
e contro
CONDOMINIO (OMISSIS), BANCA INTESA S.P.A. (già BANCA COMMERCIALE ITALIANA S.P.A.), BANCA NAZIONALE DEL LAVORO S.P.A.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1017/2006 del TRIBUNALE di LARINO, depositata il 27/06/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/09/2013 dal Consigliere Dott. ANGELO SPIRITO;
uditi gli avvocati Anna CHIOZZA per delega dell’avvocato Egidio Iannucci, Francesco TORRE per delega dell’avvocato Stefano D’Ercole;
udito il P.M. in Pedona dell’Avvocato Generale Dott. CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1 – La vicenda processuale.
1) Con atto di pignoramento notificato in data 11.5.1994, la Banca Commerciale Italiana s.p.a. intraprese una procedura esecutiva immobiliare, incardinata presso il Tribunale di Larino, sottoponendo a vincolo un appartamento di T.R. ed P.A.. In detta procedura intervenne, con atto depositato il 28.2.1996, il Codominio (OMISSIS).
Con successivo atto di pignoramento notificato in data 2.6.1994, la Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. iniziò un’ulteriore procedura esecutiva immobiliare, anch’essa incardinata presso il Tribunale di Larino, sottoponendo a vincolo lo stesso appartamento del T. e della P., ed in più un loro locale adibito a garage. In tale seconda procedura, poi riunita alla prima, intervennero la Telecom Italia s.p.a. e la Banca di Roma s.p.a..
Il T. e la P. si opposero alle suddette espropriazioni immobiliari riunite intentate ai loro danni, deducendo, in particolare, l’inesistenza del titolo esecutivo azionato dalla Banca Nazionale del Lavoro s.p.a., per gravi carenze nella notificazione del decreto ingiuntivo in cui esso consisteva, con conseguente illegittimità e nullità di tutti gli atti di esecuzione, nonchè la sopravvenuta carenza di legittimazione della Banca Commerciale, avendo questa ceduto il credito a tale Cofactor, con conseguente nullità di tutti gli atti successivi alla cessione perfezionatasi il 23.5.2000.
Nel giudizio di opposizione si costituirono la Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. e la Banca di Roma s.p.a. (oggi Capitalia s.p.a.), concludendo per il rigetto delle avverse istanze, mentre rimasero contumaci la Banca Commerciale Italiana s.p.a. (oggi Banca Intesa s.p.a.), la Telecom Italia s.p.a. ed il Condominio (OMISSIS).
Il Tribunale di Larino, con sentenza del 27.6.2006, n. 1017, pronunciata ex art. 281-sexies cod. proc. civ., accogliendo parzialmente l’opposizione, dichiarò, per i riscontrati vizi della notifica del decreto ingiuntivo che ne costituiva il titolo esecutivo, l’inesistenza del diritto della Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. a procedere esecutivamente, ma – soltanto in motivazione – respinse le doglianze relative all’altra pignorante Banca Commerciale (poi Banca Intesa s.p.a.) e compensò le spese di giudizio “considerato l’esito globale della lite”.
Per quanto qui ancora interessa, la decisione resa da quel Tribunale è argomentata sul duplice rilievo: a) che la notifica del decreto ingiuntivo utilizzato quale titolo esecutivo dalla Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. doveva considerarsi inesistente atteso che l’avviso di ricevimento della notifica a mezzo posta non riportava alcuna indicazione delle attività compiute dall’ufficiale postale in relazione alla mancata consegna del piego presso il domicilio del destinatario; b) che, quanto alla cessione del credito operata dalla Banca Commerciale Italiana s.p.a. in favore della Cofactor s.p.a., la successione a titolo particolare nel diritto del creditore procedente non aveva avuto effetto sul rapporto processuale che, alla stregua dell’art. 111 cod. proc. civ., applicabile anche al processo esecutivo, era continuato tra le parti originarie, con la conseguenza che l’alienante aveva mantenuto la sua legittimazione attiva (ad causam), conservando tale posizione anche nel caso di intervento del successore a titolo particolare fino a quando non fosse stato estromesso con il consenso delle parti.
Avverso detta sentenza il T. e la P. hanno proposto ricorso per cassazione articolato su due motivi, al quale hanno resistito, con distinti controricorsi, Telecom Italia s.p.a. e Capitaria s.p.a. (medio tempore succeduta alla Banca di Roma s.p.a.).
Quest’ultima, inoltre, ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
2) – Con il primo motivo – intitolato “errore in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4) in relazione all’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia su espresse domande formulate in prime cure dalle odierne parti ricorrenti volte ad ottenere, in conseguenza dell’inesistenza in capo alla Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. del diritto ad agire in esecuzione forzata, una declaratoria di illegittimità e nullità di tutti gli atti posti in essere dalla stessa banca, a partire dai suoi atti di precetto e pignoramento immobiliare, e degli atti a questi successivi e consequenziali, ivi compresa la eventuale produzione ipocatastale e delle mappe censuarie e di tutta la documentazione ex art. 567 c.p.c., comma 2, nonchè la condanna dello stesso istituto di credito al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c., comma 2” – i ricorrenti lamentano, in sintesi, che il Tribunale, pur accogliendo la loro opposizione diretta a far dichiarare l’inesistenza del diritto della Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. ad agire in executivis sulla base del decreto ingiuntivo emesso dal Presidente del Tribunale di Foggia, non aveva poi disposto alcunchè in ordine alle domande di illegittimità e nullità di tutti gli atti esecutivi compiuti da detto istituto di credito e di risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c., comma 2, prospettando, altresì, la questione del travolgimento di interventi ed atti del procedimento esecutivo all’esito della caducazione del titolo del procedente.
L’esposizione si conclude con i seguenti quesiti di diritto: “Dica la Ecc.ma Suprema Corte adita se è affetta da errore in procedendo, ed in particolare da vizio di omessa pronuncia e di mancanza di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., la sentenza con la quale il Giudice investito di un’opposizione all’esecuzione immobiliare, dopo aver dichiarato l’inesistenza del diritto del creditore procedente di agire esecutivamente per mancanza in capo ad esso di un titolo esecutivo, ometta di pronunciarsi su espresse domande degli opponenti, volte, una, a far dichiarare l’invalidità di tutti gli atti compiuti nel processo esecutivo dallo stesso creditore procedente a partire dal pignoramento e sino alle produzioni ipocatastali, ed un’altra ad ottenere la condanna ex art. 96 c.p.c., comma 2, di quel creditore procedente al risarcimento dei danni derivanti dalla sua intrapresa esecuzione forzata senza la normale prudenza. Inoltre, dica la Ecc.ma Suprema Corte adita se, a seguito della declaratoria di inesistenza del diritto del creditore procedente ad agire in esecuzione forzata per mancanza di un titolo esecutivo, sono nulli o comunque invalidi tutti gli atti compiuti dal creditore procedente, ed in particolare il suo atto di pignoramento, la sua istanza di vendita e la sua produzione di documenti ipocatastali; e se la invalidità di tali atti travolge gli atti di intervento e quelli successivi compiuti dai creditori intervenuti”.
Con il secondo motivo – rubricato “Omessa e, comunque, illogica motivazione in relazione alla compensazione delle spese di giudizio disposta dal Tribunale considerato l’esito globale della lite” – ci si duole, invece, dell’inidoneità, alla stregua del testo applicabile ratione temporis dell’art. 92 cod. proc. civ., dei giusti motivi in concreto posti dalla impugnata sentenza a fondamento della disposta compensazione, oltretutto in considerazione della totale soccombenza della Banca Nazionale del Lavoro s.p.a., creditrice procedente costituita.
La Telecom Italia s.p.a., dopo aver esaustivamente argomentato, nel proprio controricorso, le ragioni della infondatezza, a suo dire, del primo dei riportati motivi, ed essersi altresì affermata assolutamente estranea agli assunti esposti nel secondo, ha concluso per il rigetto del ricorso. La Capitalia s.p.a. (già Banca di Roma s.p.a.), nel suo controricorso, ha invece ampiamente dedotto circa la invocata inammissibilità dell’avversa impugnazione nei suoi confronti, ed in tali sensi ha concluso, chiedendo, inoltre, il rigetto del ricorso in tutti i suoi punti.
La Capitalia s.p.a., da ultimo, ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ., ribadendo tutte le proprie argomentazioni e conclusioni.
3) – La terza sezione civile, alla quale è stato assegnato il ricorso, ha pronunciato ordinanza (n. 2240 del 30 gennaio 2013) di rimessione degli atti al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni unite, individuando nella fattispecie la questione di massima di particolare importanza consistente nello stabilire quali siano gli effetti della caducazione del titolo esecutivo, in capo al creditore procedente, sul processo esecutivo in presenza di pignoramenti riuniti e di interventi titolati.
Il Primo Presidente ha rimesso gli atti alle Sezioni Unite.
2 – Alcune questioni preliminari.
Prima di affrontare il problema sottoposto all’esame delle SU, occorre sgombrare il campo da alcune questioni già preliminarmente affrontate (e risolte) dall’ordinanza interlocutoria della terza sezione civile per giungere alla rimessione degli atti al Primo Presidente.
1) S’è visto che il primo motivo di ricorso lamenta la nullità della sentenza per omessa pronuncia (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 in relazione all’art. 112 c.p.c.) in ordine alle domande di illegittimità e nullità di tutti gli atti esecutivi compiuti dalla Banca Nazionale del Lavoro e di risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c., comma 2, prospettando, altresì, la questione del travolgimento di interventi ed atti del procedimento esecutivo all’esito della caducazione del titolo del procedente.
Tale nullità della sentenza per omessa pronunzia, una volta accertata, comporterebbe la cassazione della sentenza con rimessione degli atti al giudice del merito, con impossibilità, dunque, di accedere alla questione individuata dall’ordinanza di rimessione.
Tuttavia, la sentenza impugnata, se, per un verso, ha omesso di pronunciarsi esplicitamente sulla domanda di declaratoria di nullità di tutti gli atti esecutivi posti in essere dal creditore (la Banca Nazionale del Lavoro) del quale è stata riconosciuta l’inesistenza del diritto a procedere esecutivamente, per altro verso ha respinto la pretesa dei debitori esecutati del venir meno di analogo diritto anche in capo all’altro pignorante (la Banca Commerciale Italiana).
Il che equivale all’implicita affermazione che la validità di quest’ultimo pignoramento riunito sia idonea a fondare da sola la validità di tutti gli atti esecutivi. Si verifica, dunque, l’incompatibilità tra la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato e l’impostazione logico giuridica della pronuncia; incompatibilità, che esclude il vizio di omessa pronuncia (in tal senso, cfr. Cass. n. 20311/11, n. 10696/07, n. 16788/06).
Riservando al prosieguo l’esame dell’analoga censura svolta con riguardo alla domanda di condanna ex art. 96 c.p.c., essendo questa accessoria, è a questo punto possibile procedere all’esame della questione sottoposta alle SU. 3 – La questione e le tesi contrapposte.
E’ possibile sin da ora illustrare che intorno alla questione come sopra evidenziata – questione che, indubbiamente, coinvolge i principi di sistema in tema di esecuzione civile e coinvolge l’assetto stesso della procedura espropriativa, con ricadute di non poco conto sia sotto il profilo giuridico, sia sotto quello pratico/operativo – si sono consolidate e si dibattono in dottrina ed in giurisprudenza due teorie che, in grandi linee, si possono esporre nel senso che segue:
A) una, che, sulla premessa che i creditori muniti di titolo esecutivo hanno la facoltà di scelta tra l’intervento nel processo già instaurato per iniziativa di altro creditore e l’effettuazione di un nuovo pignoramento del medesimo bene, fa leva sul fatto che il pignoramento autonomamente eseguito ha un effetto indipendente sia da quello che lo ha preceduto, sia da quello di un intervento nel processo iniziato con il primo pignoramento; sicchè, proprio in base al principio di autonomia dei singoli pignoramenti di cui all’art. 493 c.p.c., se, da un lato, il titolo esecutivo consente all’intervenuto di sopperire anche all’eventuale inerzia del creditore procedente, dall’altro lato, tuttavia, la caducazione del pignoramento iniziale del creditore procedente travolge ogni intervento, titolato o meno, qualora non sia stato “integrato” da pignoramenti successivi;
B) un’altra, che, attribuendo rilevanza meramente oggettiva alle attività spiegate per l’impulso e lo sviluppo del processo esecutivo (con totale indifferenza, dunque, rispetto a quale dei creditori muniti di titolo esecutivo le abbia poste in essere), sostiene l’insensibilità del processo esecutivo individuale, cui partecipino più creditori concorrenti, alle vicende relative al titolo invocato dal procedente (anche in mancanza di pignoramento successivo o ulteriore poi riunito) purchè il titolo esecutivo azionato da almeno un altro di loro abbia mantenuto integra la sua efficacia.
Così definiti gli ambiti del dibattito, si potrà rilevare in seguito che la questione è si di massima di particolare importanza (nel senso, dunque, in cui l’ordinanza della terza sezione civile l’ha rimessa alle SU) ma che, soprattutto, si pone in termini di vero e proprio contrasto giurisprudenziale, benchè tra una pronunzia recente ed altre, invece, risalenti nel tempo. E’ vero, infatti, che (come sostiene la citata ordinanza) tutti gli arresti ai quali si farà riferimento sono stati resi nel vigore della disciplina antecedente alle riforme del 2005 e del 2006, ma è pur vero che il contrasto logico-giuridico tra i due orientamenti ha natura sistematica e prescinde dalle riforme citate, le quali ultime, semmai, conferiscono ulteriori ragioni argomentative alla soluzione scelta.
La circostanza non è di poco rilievo ai fini del discorso che si andrà a fare e del taglio che ad esso deve attribuirsi, posto che il compito istituzionalmente affidato alle SU si pone, in questo caso, non come mera soluzione di una importante questione sistematica, bensì come composizione di un contrasto evidenziatosi nella giurisprudenza della Corte nomofilattica.
Occorre pure precisare che la giurisprudenza che sostiene la prima delle menzionate tesi (travolgimento di tutti gli interventi a seguito della caducazione del titolo esecutivo che regge il pignoramento del creditore procedente) ammette – s’è visto – come eccezione l’ipotesi in cui il pignoramento del creditore procedente sia stato integrato da altri pignoramenti successivi.
E’ proprio l’ipotesi che s’è verificata nella fattispecie in trattazione, in cui si sono susseguiti in ordine di tempo due pignoramenti: il primo, della Banca Commerciale Italiana, che sottoponeva a vincolo il solo appartamento dei debitori esecutati; il secondo, della Banca Nazionale del Lavoro, che sottoponeva a vincolo lo stesso appartamento, oltre una sua pertinenza. La seconda procedura è stata riunita alla prima, con gli interventi della Telecom Italia e della Banca di Roma. Riscontrati i vizi della notifica del decreto ingiuntivo posto a base della procedura introdotta dalla Banca Nazionale, il giudice ha dichiarato l’inesistenza del diritto di quest’ultima creditrice a procedere esecutivamente, respingendo (solo in motivazione) le doglianze relative alla altra banca procedente.
Orbene, come ha avuto modo di porre in rilievo l’ordinanza di rimessione, pur volendo aderire alla tesi sub A) si perverrebbe al rigetto del ricorso, siccome la valida azione esecutiva della Banca Commerciale Italiana finirebbe con il salvare anche gli interventi compiuti nella riunita azione della Banca Nazionale del Lavoro.
Tuttavia, ammettere la validità di una simile eccezione (salvezza degli interventi in virtù della validità di altro pignoramento riunito) alla regola (assoluta autonomia dei pignoramenti) comporta non solo la sua convalida a contrario, ma, soprattutto, la necessità di verificare se la regola stessa ammetta una simile eccezione.
4 – Le ragioni fondanti la tesi A) – I precedenti giurisprudenziali.
La tesi A), come sopra sinteticamente illustrata, è espressa da Cass. n. 3531/09 (Si tratta della sentenza con la quale si confronta l’ordinanza di rinvio, sia per criticarla (in una parte destruens), sia per ipotizzare una diversa ricostruzione del processo esecutivo (in una parte costruens), quale è desumibile dalla riforma del 2006, della quale Cass. n. 3531/09 non ha potuto tener conto ratione temporis), che risulta essere l’ultimo arresto in tema di effetti della caducazione del titolo esecutivo in virtù del quale si era iniziata l’esecuzione forzata e ciò, in particolare, con riferimento ad un processo nel quale siano intervenuti altri creditori titolati.
(Nel caso di specie, l’espropriazione forzata era stata instaurata sulla base di un decreto ingiuntivo, poi revocato in sede di giudizio d’appello avverso la sentenza resa sull’opposizione al decreto medesimo. La revoca del decreto ingiuntivo aveva costituito motivo per il debitore per formulare istanza di estinzione del processo esecutivo, nel quale peraltro erano nel frattempo intervenuti altri creditori muniti di titolo esecutivo. Il giudice, rigettando l’istanza di estinzione, aveva dato seguito al procedimento, che era giunto fino alla vendita e conseguente aggiudicazione del bene pignorato, con emanazione del relativo decreto di trasferimento. Il debitore, lamentando la illegittimità della prosecuzione della procedura, aveva rivolto una ulteriore istanza al giudice affinchè fosse dichiarata la nullità di tutta l’attività esecutiva posta in essere, ritenendo che la revoca del decreto ingiuntivo (titolo esecutivo) avesse reso inefficaci tutti gli atti esecutivi successivi e che il processo non potesse proseguire neanche per gli altri creditori titolati, non trovando applicazione il principio di cui all’art. 629 cod. proc. civ..
Costituitisi pure gli altri creditori, il giudice, ritenendo che il ricorso del debitore fosse da considerarsi come opposizione all’esecuzione avverso la prosecuzione dell’azione esecutiva dei creditori titolati, a definizione di tale giudizio, aveva accolto la tesi del debitore ed affermato che la sentenza di accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo produce un effetto caducatorio ex tunc del decreto ingiuntivo e di tutti gli atti esecutivi successivi, tanto da impedire la prosecuzione del processo anche per gli altri creditori intervenuti con titolo esecutivo.
La sentenza in commento, a seguito del ricorso proposto avverso la sentenza resa ex art. 615 cod. proc. civ., ha confermato la decisione del giudice dell’opposizione).
La sentenza parte dal presupposto che l’ordinamento, rispetto ad un processo esecutivo iniziato, offre agli altri creditori del medesimo debitore esecutato due possibilità: l’intervento nell’espropriazione in corso o il pignoramento successivo sugli stessi beni già pignorati. In questo secondo caso si avrebbe un pignoramento autonomo rispetto al primo, con effetto anche di intervento nel processo già iniziato.
I pignoranti successivi lucrerebbero, così, l’effetto di prenotazione del primo pignoramento ex art. 2913 cod. civ..
Nel raffronto eseguito tra i due istituti, poi, solo nell’ipotesi che il creditore abbia effettuato un pignoramento successivo il processo potrebbe proseguire per lui, qualora venisse meno l’azione esecutiva nel cui esercizio è stato posto in essere il primo pignoramento.
Infatti – prosegue la sentenza – se i creditori titolati accedono al processo mediante intervento, pur avendo i poteri processuali ex art. 500 cod. proc. civ. e pur essendo necessaria anche la loro rinuncia per l’estinzione ex art. 629 c.p.c. del processo medesimo, non sembrerebbe “… altrettanto logico ravvisare una equivalenza tout court tra titoli esecutivi in seno al medesimo processo, i cui effetti sopravviverebbero diacronicamente al di là ed a prescindere dalle sorti dell’originario titolo esecutivo che vi dette vita…”.
Gli effetti dell’intervento vengono dedotti quindi per differenza con il pignoramento successivo, che rispetto al primo avrebbe un effetto cautelare ulteriore.
Invero, consentire la prosecuzione del processo agli intervenuti, anche venuta meno l’azione esecutiva del procedente, sarebbe (malgrado ciò potrebbe rispondere, ad avviso della pronuncia in rassegna, “… all’esigenza di garantire una più celere ed economica celebrazione del giudizio – dacchè l’azione esecutiva dell’interveniente, paralizzata dalla caducazione del titolo originario, sarà successivamente esercitata in via principale mediante un pignoramento successivo – e garantisca la concorsualità delle esecuzioni individuali, indiscutibile ratio generalis dell’art. 2741 cod. civ….”) in contrasto con l’art. 493 cod. proc. civ., dal quale, deducendosi il principio di autonomia dei pignoramenti, se ne trarrebbe la conclusione che “… il pignoramento iniziale del creditore procedente, se non integrato da pignoramenti successivi, travolge ogni intervento, titolato o meno, nell’ipotesi di una successiva caducazione…”.
Peraltro la Corte, a sostegno della sua opinione, aggiunge la considerazione che l’art. 629 cod. proc. civ. (letto a contrario), nel consentire la prosecuzione del processo per i creditori titolati non rinuncianti, conterrebbe una norma eccezionale (ed ampiamente giustificabile dalla stessa morfologia dell’atto di rinuncia, per sua natura neutra rispetto a qualsivoglia valutazione circa la fondatezza dell’azione esecutiva), dalla quale si ricaverebbe una facoltà per i creditori intervenuti non altrimenti ricavabile dal sistema.
Conclude, quindi, affermando che l’intervento è “… non altro che manifestazione di volontà collaterale ed accessoria, da parte del creditore, di partecipare ad un processo che altri ha legittimamente fondato su un proprio titolo esecutivo e legittimamente iniziato con l’atto inaugurale di quel processo, il pignoramento. Sicchè la scelta tra intervento e pignoramento successivo (cui il creditore è legittimato senza condizioni dalla legge) è scelta di rischio, scelta, cioè, che non potrà non tener conto della possibile, futura caducazione del titolo del creditore procedente, rischio tanto più evidente quando tale titolo sia (o sia addirittura già stato) passibile di impugnazione. Senza considerare, ancora, che la mancanza di un qualsivoglia obbligo od onere di comunicazione dell’intervento al debitore comporta che quest’ultimo, esperita vittoriosamente l’azione volta alla caducazione del titolo del creditore procedente, potrebbe, per difetto incolpevole di conoscenza, pur tuttavia trovarsi esposto all’azione esecutiva e-sercitata dall’interventore ove a questi si ritenesse consentita la prosecuzione dell’azione pur nell’ormai avvenuta caducazione del titolo esecutivo originario…”.
Così esposto il tenore di Cass. 3531/09, occorre innanzitutto verificare se essa effettivamente si muove (come asserisce) in continuità con il pregresso orientamento giurisprudenziale individuato in Cass. nn. 985/05, 11904/04 e 5192/99.
In realtà queste sentenze appena lambiscono il problema che oggi si dibatte.
In particolare, Cass. nn. 985/05 e 11904/04, trovandosi a decidere se l’accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo comporti, a prescindere dal passaggio in giudicato o dalla esecutorietà della sentenza di primo grado, la radicale caducazione del decreto e la conseguente inefficacia di tutti gli atti esecutivi compiuti per effetto del provvedimento monitorio, stabilisce che l’accertamento immediatamente esecutivo della pretesa sostanziale fatta valere nel procedimento di ingiunzione, se pure perdura nel corso del giudizio di opposizione, può essere superato dalla sentenza che decide la stessa opposizione, ove questa sia accolta totalmente, dato che la sentenza di accertamento negativo si sostituisce completamente al decreto ingiuntivo (il quale viene eliminato dalla realtà giuridica), con la conseguenza che gli atti di esecuzione già compiuti restano caducati, analogamente a quanto accade nei casi di riforma o cassazione di sentenza impugnata (art. 336, 353, 354 c.p.c.) e di revoca di provvedimento cautelare a seguito di reclamo (art. 669 terdecies c.p.c.), a prescindere dal passaggio in giudicato della medesima sentenza di accoglimento dell’opposizione (in argomento sono richiamate Cass. n. 5192/99, che ha riconosciuto tale effetto immediatamente caducatorio anche alla sentenza parziale che disponga la revoca del decreto ingiuntivo per ragioni di rito e la prosecuzione del giudizio ai soli fini dell’accertamento delle pretese creditorie fatte valere con la domanda contenuta nel ricorso monitorio; nonchè Cass. n. 5007/97).
Passando, poi, all’altro precedente richiamato (ossia Cass. n. 5192/99), anch’esso, in realtà, si limita ad affermare che pure da una sentenza parziale, che disponga la revoca del decreto ingiuntivo per ragioni di rito e la prosecuzione del giudizio ai soli fini dell’accertamento delle ragioni creditorie fatte valere con la domanda contenuta nel ricorso monitorio, consegue (senza che si renda necessario attendere il passaggio in giudicato in senso formale della sentenza) la caducazione degli atti di esecuzione già compiuti in conseguenza della originaria esecutività del decreto (La sentenza spiega che il provvedimento con il quale è stato revocato il decreto ingiuntivo per il motivo che esso non era stato regolarmente notificato si sovrappone interamente al decreto, privandolo ex tunc dell’efficacia esecutiva, come accade in tutti i casi di revoca; la perdita di questi effetti discende direttamente dalla sentenza stessa e non è necessario attenderne il passaggio in giudicato in senso formale).
Si può dire, allora, che i precedenti ai quali Cass. n. 3531/09 dichiara di porsi in continuità si limitano ad affermare la caducazione di tutti gli atti esecutivi compiuti sulla base del titolo divenuto inefficace ex tunc (nella specie, il decreto ingiuntivo revocato). In altri termini essi riguardano le sole conseguenze, sul processo esecutivo, della revoca del decreto ingiuntivo, senza neppure porsi il problema (estraneo alle fattispecie trattate) che qui si dibatte, ossia le complicazioni indotte dall’intervento nell’esecuzione di altri creditori muniti di titolo.
5 – Le ragioni fondanti la tesi B – I precedenti giurisprudenziali.
Una volta chiarito che la tesi sub A) non trova, in realtà, un preciso aggancio di conformità nella giurisprudenza di questa Corte, è possibile verificare che, piuttosto, la questione, posta esattamente negli stessi termini, è stata già affrontata e risolta in modo affatto opposto rispetto alla scelta operata da Cass. n. 3531/09.
Il vero precedente in termini è, infatti, costituito da Cass. n. 427 del 1978 (rispetto alla quale Cass. n. 3531/09 dichiara di porsi in consapevole contrasto), che risulta così massimata: “Nel processo di esecuzione forzata, al quale partecipano più creditori concorrenti, le vicende relative al titolo invocato da uno dei creditori (sospensione, sopravvenuta inefficacia, estinzione) non possono ostacolare la prosecuzione dell’esecuzione sull’impulso del creditore il cui titolo abbia pacificamente conservato la sua forza esecutiva.
Tuttavia, quando si tratti di intervento nel processo esecutivo, occorre distinguere se l’azione esecutiva si sia arrestata prima o dopo l’intervento, poichè nel primo caso, non esistendo un valido pignoramento al quale gli interventi possano ricollegarsi, il processo esecutivo è improseguibile”. (In precedenza s’era espressa negli stessi termini Cass. n. 2347/73, la quale risulta così massimata: “Nel procedimento di esecuzione forzata, a cui partecipino più creditori concorrenti, le vicende relative al titolo invocato da uno dei creditori (sospensione, sopravvenuta inefficacia, estinzione) non possono ostacolare la prosecuzione dell’esecuzione sull’impulso del creditore il cui titolo abbia pacificamente conservato integra la sua forza esecutiva”).
Effettivamente, questa sentenza si pone in una prospettiva sistematicamente opposta rispetto a quella di Cass. 3531/09. Se quest’ultima, valorizzando il dato normativo dell’art. 493 c.p.c., configura il processo esecutivo per compartimenti stagni, sì da assoggettare la sorte di ciascun intervento a quella del pignoramento originario al quale esso è collegato, l’altra configura l’esecuzione per espropriazione forzata come un processo a struttura soggettiva aperta, nel quale, accanto al creditore pignorante ed al debitore (suoi originari soggetti), possono entrarvi, quali ulteriori, successivi soggetti, gli altri creditori del debitore esecutato che vi facciano intervento. Nel senso che la situazione attiva di tutti i creditori intervenuti si concreta nel diritto di partecipare alla distribuzione della somma ricavata dalla vendita o dall’assegnazione dei beni pignorati, ma anche, se muniti di titolo esecutivo, a partecipare all’espropriazione del bene pignorato ed a provocarne i singoli atti.
Ecco, dunque, che per Cass. n. 427/78 il creditore intervenuto, munito di titolo esecutivo, si trova in situazione paritetica a quella del creditore pignorante, perchè, al pari di questi, anch’egli può dare impulso al processo esecutivo, compiendo o richiedendo al giudice il compimento di atti esecutivi; perciò, l’atto di esercizio della propria azione esecutiva da parte di un legittimato è anche atto d’esercizio delle azioni esecutive degli altri legittimati e l’atto compiuto da un legittimato si partecipa agli altri legittimati ed è momento di concretizzazione di tutte le azioni esercitate nel processo esecutivo.
Da questa premessa scaturisce la necessaria conseguenza che, se, dopo l’intervento di un creditore munito di titolo esecutivo, sopravviene l’illegittimità dell’azione esecutiva esercitata dal creditore pignorante, non ne deriva la caducazione del pignoramento originariamente valido, ma questo resta quale primo atto dell’iter espropriativo proprio del creditore intervenuto munito di titolo esecutivo, il quale prima ne era partecipe accanto al creditore pignorante che lo aveva eseguito. Lo sviluppo del percorso espropriativo prosegue, dunque, sull’impulso che gli da il creditore intervenuto esercitando la sua azione esecutiva, sì da essere legittimati anche gli interventi di altri creditori, pur se successivi alla sopravvenuta illegittimità dell’azione esecutiva esercitata dal creditore pignorante.
6 – L’intervento titolato.
La soluzione della questione non può prescindere da una corretta definizione dell’intervento del creditore nell’azione esecutiva introdotta da altro creditore con il pignoramento, attraverso le disposizioni che ne regolano legittimazione, modi, tempi ed effetti.
Il testo dell’art. 499 c.p.c., precedente alle novelle, si limitava ad affermare che, oltre ai creditori iscritti destinatari dell’avviso ex art. 498 cod. proc. civ., possono intervenire nell’esecuzione gli altri creditori, ancorchè non privilegiati. Prima la L. n. 80 del 2005, poi la L. n. 263 del 2005 hanno definito la categoria dei soggetti legittimati all’intervento, rendendolo possibile: ai creditori il cui credito sia fondato su titolo esecutivo; ai creditori che, al momento del pignoramento, abbiano eseguito un sequestro sui beni pignorati oppure abbiano un diritto di prelazione risultante dai pubblici registri o un diritto di pegno; ai creditori che, al momento del pignoramento, siano titolari di un credito in denaro risultante dalle scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c..
L’art. 500 c.p.c. (con le norme degli artt. 526, 551 e 564, che disciplinano gli autonomi poteri di impulso dei creditori concorrenti) ne regola gli effetti, riconoscendo agli intervenuti, oltre al diritto a partecipare alla distribuzione della somma ricavata, non la “possibilità” del diritto a partecipare all’espropriazione del bene pignorato ed a provocarne i singoli atti (secondo la lettera del testo vigente prima delle modifiche apportate dalle leggi su citate), ma, più incisivamente, il diritto a partecipare sia alla distribuzione, sia all’espropriazione del bene con l’annesso potere di provocare i singoli atti espropriativi.
Quanto alle facoltà dei creditori tempestivamente intervenuti nell’espropriazione immobiliare, l’art. 564 c.p.c. (sia nel vecchio, sia nel nuovo testo) stabilisce che essi partecipano all’espropriazione dell’immobile pignorato e, se muniti di titolo esecutivo, possono provocarne i singoli atti; analoghe facoltà sono riconosciute dall’art. 566 c.p.c. ai creditori iscritti e privilegiati intervenuti tardivamente, ma muniti di titolo esecutivo.
L’immodificato art. 629 c.p.c., in tema di estinzione del processo esecutivo per rinuncia agli atti, prevede che, prima dell’aggiudicazione e dell’assegnazione, la rinuncia debba provenire non soltanto dal creditore procedente, ma anche dai creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo, i quali (come nessuno dubita) possono giovarsi del vincolo apposto sul bene del creditore rinunziante; dopo la vendita, il processo si estingue se rinunciano agli atti “tutti i creditori concorrenti”.
7 – La composizione del contrasto.
Dalla complessiva lettura e corretta interpretazione di queste disposizioni le SU ricavano il convincimento che la giusta ricostruzione da attribuirsi alla vicenda in esame sia quella effettuata da Cass. n. 427 del 1978 e non da Cass. n. 3531 del 2009 e che, dunque, la soluzione da scegliere sia quella sopra sintetizzata sub B).
Bisogna riconoscere, infatti, che nel sistema (quale il nostro) che accoglie il principio della par condicio creditorum e rifiuta il riconoscimento del diritto “di priorità” al creditore procedente (diritto, invece, riconosciuto nel sistema tedesco), dal citato art. 500 c.p.c. deve farsi derivare che il creditore intervenuto munito di titolo esecutivo si trova in una situazione paritetica a quella del creditore procedente, potendo sia l’uno, sia l’altro dare impulso al processo esecutivo con il compiere o richiedere al giudice il compimento di atti esecutivi.
Sia il creditore pignorante, sia quello interveniente (munito di titolo) sono, in buona sostanza, titolari dell’azione di espropriazione che deriva dal titolo di cui ciascuno di essi è munito e che ciascuno di essi esercita nel processo esecutivo.
A sua volta, l’azione esecutiva si concretizza in un iter composto di una serie di atti espropriativi compiuti dal creditore o, su sua richiesta, dal giudice, dei quali l’uno presuppone il compimento dell’altro che lo precede. Questo requisito di “completezza” appartiene a tutte le azioni esecutive, parallele e concorrenti, che sono esercitate nel processo esecutivo; ossia, a quella del creditore pignorante ed a quelle dei singoli creditori intervenuti, muniti di titolo esecutivo.
Pertanto, l’atto di esercizio della propria azione esecutiva da parte di un legittimato è anche atto di esercizio delle azioni esecutive degli altri legittimati. Ed, in questo senso, correttamente il precedente del 1978 afferma che l’atto compiuto da un legittimato si partecipa agli altri legittimati ed è momento di concretizzazione di tutte le azioni esecutive esercitate nel processo.
Ciò, ovviamente, vale anche per gli atti esecutivi compiuti dal creditore pignorante prima dell’intervento c.d. “titolato” ed, in particolare, per il pignoramento. Cosicchè, nel momento dell’intervento, il creditore munito di titolo, che è legittimato al compimento dei singoli atti espropriativi, compie atto d’esercizio dell’azione esecutiva e perciò partecipa al pignoramento già da altri eseguito; pignoramento che si pone come indispensabile, primo atto di concretizzazione dell’azione esecutiva in ipotesi spettante anche al creditore intervenuto in forza di titolo esecutivo e necessario presupposto degli atti esecutivi successivi.
In questo senso, si diceva prima dell’oggettivizzazione degli atti compiuti nel corso della procedura espropriativa, i quali prescindono dal soggetto che concretamente li ha posti in essere (purchè, ovviamente, munito di titolo esecutivo nel momento del relativo compimento, secondo quanto appresso si preciserà) e si compongono in un’unica sequenza che parte dal pignoramento (da qualunque dei creditori posto in essere) per concludersi con la vendita del bene pignorato, cui segue la distribuzione del ricavato.
Con quanto sinora detto le SU non intendono rinnegare la tradizionale regola secondo cui nulla executio sine titulo, piuttosto intendono affermare il principio secondo cui:
“nel processo d’esecuzione, la regola secondo cui il titolo esecutivo deve esistere dall’inizio alla fine della procedura va intesa nel senso che essa presuppone non necessariamente la costante sopravvivenza del titolo del creditore procedente, bensì la costante presenza di almeno un valido titolo esecutivo (sia pure dell’interventore) che giustifichi la perdurante efficacia dell’originario pignoramento. Ne consegue che, qualora, dopo l’intervento di un creditore munito di titolo esecutivo, sopravviene la caducazione del titolo esecutivo comportante l’illegittimità dell’azione esecutiva dal pignorante esercitata, il pignoramento, se originariamente valido (secondo quanto si preciserà in seguito), non è caducato, bensì resta quale primo atto dell’iter espropriativo riferibile anche al creditore titolato intervenuto, che prima ne era partecipe accanto al creditore pignorante”.
In altri termini, una volta iniziato il processo in base ad un titolo esecutivo esistente all’epoca, il processo stesso può legittimamente proseguire, a prescindere dalle sorti del titolo originario, se vi siano intervenuti creditori a loro volta muniti di valido titolo esecutivo.
Dell’atto iniziale del processo (il pignoramento) si avvarranno, peraltro, non solo il creditore intervenuto in forza di valido titolo esecutivo, ma anche gli altri creditori, pur se intervenuti successivamente alla sopravvenuta illegittimità dell’azione esecutiva esercitata dal creditore pignorante.
La regola secondo cui l’esecuzione forzata debba sempre essere sorretta da un titolo esecutivo, benchè questo, oggettivamente, possa cambiare, senza perciò determinare interruzioni nell’esercizio dell’azione esecutiva, trova un corrispondente codicistico che concerne proprio titoli esecutivi di creditori diversi: si tratta della successione o trasformazione soggettiva regolata dall’art. 629 c.p.c., in ragione del quale se, prima della vendita, il procedente rinunzia all’esecuzione, il creditore intervenuto munito di titolo può scegliere di continuarla per la sola sua soddisfazione. Qui, insomma, l’esecuzione è iniziata da un creditore e viene continuata da altro creditore, con un fenomeno successorio interno al processo esecutivo.
E’ proprio l’indiscutibile pariteticità di posizioni tra creditore pignorante e creditore titolato interveniente, nonchè quella che potremmo definire la interscambiabilità degli atti, nel quadro di completezza dell’azione esecutiva (con tutte le conseguenze delle quali s’è detto), che pone in dubbio la tesi sostenuta dall’arresto del 2009. Tesi (come s’è visto) fondata sul principio di autonomia dei singoli pignoramenti (sancito dall’art. 493 c.p.c.), il quale condurrebbe “alla speculare conclusione che il pignoramento iniziale del creditore procedente, se non integrato da pignoramenti successivi, travolge ogni intervento, titolato o meno, nell’ipotesi di sua successiva caducazione”.
Infatti, che, ai sensi dell’art. 493 c.p.c., ciascun pignoramento, tra quelli che hanno colpito il medesimo bene, abbia “effetto indipendente” rispetto agli altri, e, quindi, pur nell’unità del processo, conservi la propria individualità ed autonomia, è principio indiscusso in dottrina ed in giurisprudenza (Per tutte, cfr. Cass. n. 548/73, la quale ne fa conseguire che, nell’ipotesi di pluralità di pignoramenti eseguiti prima dell’udienza fissata per l’autorizzazione della vendita, le vicende di uno di essi non toccano gli altri, cosicchè il processo di espropriazione – ben potendo essere sorretto anche da uno solo dei pignoramenti, per il connotato di fungibilità che ne caratterizza il rapporto – continua a svolgersi validamente fino a che non vengano meno tutti i pignoramenti).
Ciononostante, questo principio non consente di farvi conseguire una sorta di subordinazione del creditore titolato interveniente rispetto a quello procedente e che, soprattutto, il primo sia tenuto ad effettuare (invece che l’intervento) un proprio, autonomo pignoramento, al fine di non essere travolto dell’eventuale, infausta sorte del titolo del procedente. In altri termini, la circostanza che il legislatore abbia voluto esplicitamente sancire l’autonomia di ciascun pignoramento caduto sul medesimo bene (così da impedire che le sorti processuali dell’uno non ricadessero sull’altro) non esclude che dalla congerie degli elementi sopra esaminati non possa dedursi anche il principio di autonomia di ciascun intervento titolato rispetto alla sorte del titolo posto a base dell’azione proposta dal creditore procedente.
Per altro verso, non pare peregrina l’osservazione contenuta nell’ordinanza di rimessione, secondo cui l’imporre il pignoramento a qualunque creditore titolato, per evitare il rischio dell’estensione del travolgimento del titolo del procedente, non tiene in adeguata considerazione che proprio tale autonomia dei pignoramenti riuniti, se rende immuni i pignoramenti ulteriori dalla vicenda della caducazione del titolo del pignorante principale, li dovrebbe poi lasciare insensibili anche all’effetto positivo della riunione, ossia all’estensione delle favorevoli conseguenze delle attività che quello ha invalidamente posto in essere, se non compiute e ripetute, stavolta validamente, anche da loro stessi (visto che non è dimostrata la tesi che la riunione giova ma non nuoce ai soggetti dei processi riuniti).
Neppure convince l’affermazione (anch’essa contenuta nella sentenza in commento) secondo cui la disposizione dell’art. 629 c.p.c. (che, ai fini dell’estinzione del processo esecutivo, chiede la rinuncia tanto del procedente, quanto degli intervenienti titolati) costituirebbe una norma derogatoria al principio d’autonomia dei pignoramenti sancito dall’art. 493 c.p.c.. Piuttosto che derogare al sistema, la prima delle menzionate disposizioni sembra integrare con coerenza l’altra disposizione di cui all’art. 500 c.p.c. (e tutte quelle che nelle singole espropriazioni disciplinano gli autonomi poteri di impulso dei creditori concorrenti), per configurare un meccanismo processuale in base al quale i creditori titolati intervenuti possono compiere gli atti dell’esecuzione, in luogo del procedente, e proseguire il procedimento anche se quest’ultimo rinunzi agli atti.
Le SU sono consapevoli che le conclusioni alle quali sono pervenute pongono in crisi quell’autorevole parte della dottrina che ha da sempre attribuito carattere soggettivo agli atti compiuti nel corso del procedimento esecutivo ed, in questo ordine di idee, ha negato l’interscambiabilità degli atti alla quale in precedenza s’è fatto riferimento. Dottrina che, dunque, è pervenuta alle conclusioni che l’azione esecutiva di un creditore titolato, se spiegata in via di intervento, non è in grado di sopravvivere all’interno di una procedura esecutiva nell’ipotesi del venir meno del titolo del procedente, con l’ulteriore assunto per cui il pignoramento successivo tutela incondizionatamente il creditore nell’ipotesi di caducazione del primo pignoramento, facendo salva la procedura esecutiva avviata.
Tuttavia, siffatta teoria deve necessariamente essere posta a confronto con un contesto legislativo e processuale profondamente mutato in questi ultimi anni; contesto che vede, per un verso, la progressiva espansione del processo esecutivo rispetto a quello di cognizione (anche in ragione dell’ampliamento del catalogo dei titoli esecutivi con la modifica dell’art. 474 cod. proc. civ.), e, per altro verso, la tendenza legislativa all’anticipazione della qualifica esecutiva del titolo di formazione giudiziale, il quale, a sua volta, è perciò sempre meno dotato del requisito della stabilità.
Tutto questo porta a dubitare che l’aggressione esecutiva statale, legittimata dall’azione esecutiva del creditore procedente, debba svolgersi entro i soli confini tracciati dal titolo esecutivo di quest’ultimo. Sembra, piuttosto, corretto supporre (come fa altra dottrina) che il titolo esecutivo del procedente sia bensì fatto costitutivo di questo potere di aggressione esecutiva che si concreta nel pignoramento, ma non anche unico limite che segna interamente ed inderogabilmente i confini dell’esercizio dello stesso, essendo possibile concepire che, con l’avvio processualmente legittimo di una tale aggressione da parte del procedente, si radichi una compressione della sfera patrimoniale del debitore non delimitata dal credito dell’istante e della quale possono beneficiare tutti gli intervenienti, anche in assenza di aggressione esecutiva autonoma:
del resto, istituti quali la conversione (art. 495 cod. proc. civ.) e la riduzione del pignoramento (art. 496 cod. proc. civ.) dimostrano che, una volta avviata una procedura esecutiva, occorre tener conto di tutti i crediti nella stessa azionati a prescindere dalla portata dell’azione esecutiva del procedente, sì da far risultare la compressione della sfera patrimoniale del debitore modulata in funzione anche dell’interesse degli eventuali intervenienti.
Ed allora, ove venga meno il titolo del procedente (titolo che olim ha legittimato l’atto di pignoramento), sembra ragionevole ritenere che il vincolo espropriativo non venga a sua volta caducato a fronte della presenza di altri creditori intervenuti titolati, il cui titolo esecutivo è in grado di legittimare il permanere della compressione della sfera patrimoniale del debitore. Non da ultimo considerando che la riduzione del pignoramento consentirebbe l’adattamento della misura dell’esecuzione in corso al nuovo panorama soggettivo – oggettivo emerso a seguito dell’estromissione del procedente.
Questo permanere della procedura esecutiva a vantaggio dei creditori titolati, a seguito della sopravvenuta caducazione del titolo dell’istante, risulta poi funzionalmente congruo allo stesso art. 2913 cod. civ., che consente di ravvisare nel pignoramento un fenomeno in grado di produrre effetti della cui utilità possono usufruire anche altri creditori che intervengono nella procedura esecutiva (c.d. vincolo a porta aperta), senza tuttavia specificare se gli effetti in parola dipendono strettamente dal permanere dell’efficacia e dalla validità del titolo esecutivo del creditore procedente (titolo in forza del quale il pignoramento è stato originariamente posto in essere, ovvero siano in grado di manifestarsi a prescindere dalle sue sorti).
8 – Conseguenze applicative.
Tutto quanto finora premesso giustifica, dunque, l’affermazione del principio secondo cui la caducazione del titolo posto a base dell’azione esecutiva del creditore procedente non travolge la posizione degli interventori titolati, a prescindere dalla circostanza che dopo il relativo pignoramento ve ne sia stato altro successivo.
Tuttavia, siffatto principio è soggetto a precisazioni che qui di seguito devono essere svolte, con l’avvertenza che questo intervento delle SU si limita all’enunciazione di canoni “di sistema”, riferiti ai titoli esecutivi di formazione giudiziale, come richiesto dal caso portato all’attenzione dall’ordinanza di rimessione.
1) Innanzitutto va chiarito (come fa il precedente del 1978 (Nella vicenda sottostante a questo precedente il creditore aveva effettuato un primo pignoramento sulla base di un decreto ingiuntivo esecutivo.
A distanza di circa tre anni egli stesso era intervenuto (così come altri creditori) nel processo esecutivo per diverso credito contro il medesimo debitore, sulla base di altro decreto ingiuntivo esecutivo.
All’esito del giudizio d’opposizione, il giudice del merito affermava che, pur risultando estinto il credito di cui al primo decreto ingiuntivo (così come il pignoramento ad esso connesso), restava valido l’intervento effettuato dal creditore in base al secondo decreto ingiuntivo, posto che tale intervento era stato effettuato in un processo esecutivo che, nonostante l’estinzione del pignoramento, era in corso per l’intervento di altri creditori muniti di titolo esecutivo. La Corte di legittimità ha cassato la sentenza, assegnando al giudice del rinvio il compito di accertare se, nella specie, almeno un creditore munito di titolo esecutivo fosse intervenuto nel processo prima del sopravvenire dell’illegittimità dell’azione esecutiva esercitata dal creditore pignorante sulla base del primo decreto ingiuntivo)) che quel principio di fondo non trova applicazione nel caso in cui uno o più creditori, muniti di titolo esecutivo, intervengano nel processo esecutivo dopo che sia stata pronunciata la caducazione del titolo esecutivo del creditore procedente e, quindi, sia sopravvenuta l’illegittimità dell’azione esecutiva da lui esercitata. In questa ipotesi, il pignoramento, relativo a processo nel quale non sia ancora intervenuto alcun creditore munito di titolo esecutivo, diviene invalido e rende illegittima l’azione esecutiva fino a quel momento esercitata.
Sicchè, non esistendo un valido pignoramento al quale ricollegarsi, il processo esecutivo è ormai improseguibile e non consente interventi successivi.
2) Il principio è da intendersi riferito all’ipotesi di sopravvenuta invalidità del titolo esecutivo derivata dalla c.d. caducazione, dalla quale occorre distinguere le diverse ipotesi di invalidità originaria del pignoramento, sia per difetto ab origine di titolo esecutivo, sia per vizi intrinseci all’atto o per mancanza dei presupposti processuali dell’azione esecutiva.
Quanto a questi ultimi, indiscutibile è l’invalidità di tutti gli atti esecutivi posti in essere a seguito di pignoramento invalido per vizi dell’atto in sè o per vizi degli atti prodromici (ove non sanati o non sanabili per mancata tempestiva opposizione), oppure per impignorabilità dei beni od, ancora, per lesione dei diritti dei terzi fatti valere ex art. 619 c.p.c., ecc. sicchè venendo meno l’atto iniziale del processo esecutivo viene travolto quest’ultimo, con gli interventi, titolati e non titolati, in esso spiegati.
Quanto, invece, al difetto originario del titolo esecutivo, si tratta di situazione che, per un verso, si presta a specificazioni che danno luogo ad una vasta casistica (la quale non può certo essere esaminata in questa sede), ma che, per altro verso, merita le precisazioni che seguono.
Fermando l’attenzione sulle ipotesi più frequenti, essa comporta l’inapplicabilità del principio sopra espresso nel caso in cui il titolo esecutivo giudiziale sia inficiato da un vizio genetico che lo renda inesistente o nel caso in cui l’atto posto a fondamento dell’azione esecutiva non sia riconducibile ab origine al novero dei titoli esecutivi di cui all’art. 474 cod. proc. civ., anche quanto ai caratteri del credito imposti dal primo comma, quali risultanti dal titolo stesso.
Non è assimilabile alla situazione di mancanza ab origine di titolo esecutivo la situazione che viene a determinarsi quando il titolo esecutivo di formazione giudiziale, che sia astrattamente riconducibile alla previsione dell’art. 474 c.p.c., comma 2, n. 1, “venga meno” in ragione delle vicende del processo nel quale si è formato, cioè sia caducato per fatto sopravvenuto.
Si intende dire che, in tale ultima eventualità, ai fini dell’applicazione del principio di “conservazione” del processo esecutivo in cui siano presenti creditori titolati, non rileva – nè occorre verificare, in sede esecutiva e/o oppositiva – se il titolo esecutivo di formazione giudiziale sia venuto meno con efficacia ex tunc ovvero ex nunc, in ragione degli effetti del rimedio esperito nella sede cognitiva.
Così, esemplificando, ad infausta sorte sono destinati gli interventi titolati nel caso in cui il creditore procedente abbia azionato un provvedimento non idoneo, nemmeno in astratto, a fondare l’azione esecutiva (quali, ad esempio, la sentenza inesistente o di condanna generica o il decreto ingiuntivo privo di efficacia esecutiva), non anche quando il provvedimento, costituente titolo esecutivo al momento di esercizio dell’azione esecutiva, sia venuto meno per le vicende del processo nel quale si è venuto a formare. In particolare, quanto a tale ultima eventualità, è indifferente se, in caso di sentenza, si sia trattato di impugnazione ordinaria o straordinaria, ovvero, in caso di decreto ingiuntivo, si sia trattato di revoca per difetto dei presupposti ex art. 633 c.p.c., ovvero per accoglimento nel merito dell’opposizione, o, in caso di ordinanza di condanna provvisoriamente esecutiva, si sia trattato di revoca o di modifica per ragioni di rito o di merito, etc. In tutte queste ipotesi, il processo esecutivo iniziato in forza di titolo esecutivo, all’epoca valido, non è travolto in presenza di creditori intervenuti con titolo esecutivo tuttora valido.
In conclusione, rileva che l’esecuzione forzata risulti formalmente legittima, anche se, per ipotesi, sia sostanzialmente ingiusta, essendo perciò sufficiente – affinchè il creditore intervenuto con titolo non subisca gli effetti del venir meno dell’azione esecutiva del creditore procedente – che esista un titolo esecutivo in favore di quest’ultimo, non anche che sia esistente il diritto di credito in esso rappresentato.
9 – Conclusioni.
In conclusione, l’originaria mancanza di titolo esecutivo o l’invalidità originaria del pignoramento minano la legittimità stessa dell’esecuzione e la rendono viziata sin dall’origine.
Sicchè, agli interventi manca lo stesso presupposto legittimante al quale validamente riferirsi.
Diverso è il caso in cui l’azione esercitata dal creditore procedente sia originariamente sorretta da un titolo esecutivo e, dunque, l’azione espropriativa sia stata validamente iniziata, ma il titolo fondante sia stato successivamente invalidato. In questo caso, il creditore procedente non potrà più proseguire nella sua azione, ma gli interventori titolati, in forza del principio tempus regit actum (che trova applicazione anche in ambito processuale), si gioveranno degli atti (a cominciare dal pignoramento) fino ad allora da lui validamente compiti compiuti.
Per quanto riguarda in particolare il titolo giudiziale costituito dalla sentenza di condanna, ritengono le SU di aderire a quella dottrina che pone in rapporto la disposizione del secondo comma dell’art. 336 c.p.c. (“La riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata”) con l’altra dell’art. 629 c.p.c., comma 2 (“Dopo la vendita il processo si estingue se rinunciano agli atti tutti i creditori concorrenti”), per dedurne che, mentre nel caso dell’esecuzione condotta dal solo creditore procedente il sopravvenire del difetto del titolo comporta la decadenza degli atti compiuti sulla base del titolo caducato, nel caso dell’esecuzione compiuta da più creditori concorrenti titolati il venir meno del titolo del procedente comporta la concentrazione sui concorrenti del potere di compiere gli atti ulteriori della procedura. Sicchè, ciò che viene travolto è il potere del creditore procedente di compiere ulteriori atti d’impulso, non anche la validità degli atti compiuti, tra cui, soprattutto, il pignoramento.
Con le precisazioni sopra esposte può essere accolta la distinzione tra difetto originario e difetto sopravvenuto del titolo del creditore procedente, laddove solo il primo impedisce che l’azione esecutiva prosegua anche da parte degli interventori titolati, mentre il secondo consente l’estensione in loro favore di tutti gli atti compiuti finchè il titolo del creditore procedente ha conservato validità.
Dato quanto sopra, può dirsi che la scelta del creditore tra l’agire mediante un proprio pignoramento o intervenire nell’azione espropriativa già da altri introdotta non è scelta “di rischio” (come sostiene il precedente del 2009), ma è scelta ponderata in base alla valutazione del titolo del procedente e della regolarità formale dell’atto di pignoramento e del processo cui ha dato luogo.
Scelta ponderata che da, pertanto, ragione della stessa esistenza della norma di cui all’art. 493 c.p.c. (che è posta a pilastro della soluzione accolta dall’arresto del 2009 e che potrebbe, altrimenti, apparire superflua alla luce della soluzione oggi prescelta): il pignoramento successivo conserva una sua ragion d’essere proprio in relazione alle ipotesi (che il creditore interveniente ben può prospettarsi ab origine) di inesistenza/nullità/inefficacia originaria dell’atto di pignoramento con il quale il primo creditore ha dato inizio alla procedura esecutiva.
E’ utile per ultimo osservare – lo si accennava già in precedenza – che questa soluzione appartiene al sistema della procedura espropriativa (tant’è che la giurisprudenza di legittimità v’era già pervenuta un quarto di secolo fa) e che le recenti novelle non fanno altro che aggiungere ulteriori spunti argomentativi, dal momento che (come pone in evidenza l’ordinanza di rimessione) esse tendono al recupero d’efficienza del processo esecutivo individuale, attraverso una selezione “a monte” dei soggetti abilitati a prendervi parte, trasferendo nella sede cognitiva ogni questione sulla sussistenza delle condizioni soggettive dell’azione esecutiva e correlativamente ampliando notevolmente il catalogo dei titoli esecutivi, pure stragiudiziali.
A queste considerazioni giuridiche devono aggiungersene altre di ordine pratico a sostegno dell’opzione accolta.
In primo luogo, l’opposta tesi esprime la preoccupazione che la mancanza di un qualsivoglia obbligo od onere di comunicazione dell’intervento al debitore comporta che questi, esperita vittoriosamente l’azione volta alla caducazione del titolo del creditore procedente, potrebbe, per difetto incolpevole di conoscenza, nonostante ciò trovarsi esposto all’azione esecutiva esercitata dall’interventore ove a questi si ritenesse consentita la prosecuzione dell’azione pur nell’ormai avvenuta caducazione del titolo esecutivo orginario.
Tuttavia, quella tesi, cosi opinando, non s’accorge di giungere (lo rileva, a ragione, l’ordinanza di rimessione) alla sostanziale svalutazione e vanificazione dell’intervento, finendo per imporre la scelta del pignoramento autonomo, così da evitare il rischio derivante dall’intervento stesso. Il che, comporterebbe l’incontrollata ed insostenibile proliferazione delle procedure esecutive, tutte in via principale, con effetti perversi per l’amministrazione della giustizia e palese violazione del principio di economia processuale, soprattutto in un sistema in cui i titolo esecutivi sono sempre meno caratterizzati dalla stabilità, anche quando di formazione giudiziale. Sicchè, è vero che secondo quella tesi, per un verso, il debitore esecutato, una volta caducata l’azione principale non avrebbe più da temere nulla riguardo agli eventuali interventi, ma è altrettanto vero che il debitore stesso sarebbe esposto ai lievitati costi delle moltiplicate procedure, con il conseguente danno costituito dalla riduzione della somma ricavata e destinabile all’effettivo soddisfacimento dei creditori.
Va altresì considerato che, opinando per quella stessa tesi, si finirebbe per assoggettare il creditore intervenuto all’impossibile valutazione della capacità del titolo esecutivo, anche se di formazione giudiziale, di resistere non solo alle azioni avverse, ma anche a tutte le impugnazioni, sia ordinarie che straordinarie.
Cosicchè, anche sul piano pratico appare giustificata la scelta operata.
In conclusione, può essere enunciato il seguente principio:
“Nel processo di esecuzione forzata, al quale partecipino più creditori concorrenti, le vicende relative al titolo esecutivo del creditore procedente (sospensione, sopravvenuta inefficacia, caducazione, estinzione) non possono ostacolare la prosecuzione dell’esecuzione sull’impulso del creditore intervenuto il cui titolo abbia conservato la sua forza esecutiva. Tuttavia, occorre distinguere: a) se l’azione esecutiva si sia arrestata prima o dopo l’intervento, poichè nel primo caso, non esistendo un valido pignoramento al quale gli interventi possano ricollegarsi, il processo esecutivo è improseguibile; b) se il difetto del titolo posto a fondamento detrazione esecutiva del creditore procedente sia originario o sopravvenuto, posto che solo il primo impedisce che l’azione esecutiva prosegua anche da parte degli interventori titolati, mentre il secondo consente l’estensione in loro favore di tutti gli atti compiuti finchè il titolo del creditore procedente ha conservato validità”.
10 – La decisione sul ricorso in trattazione.
S’è già detto in precedenza, quanto al primo motivo di ricorso (denunziante l’omessa pronunzia sulle domande volte a far dichiarare l’invalidità di tutti gli atti compiuti nel processo esecutivo dal creditore e ad ottenerne la condanna ex art. 96 c.p.c.), che la sentenza impugnata se, per un verso, ha omesso di pronunciarsi esplicitamente sulla domanda di declaratoria di nullità di tutti gli atti esecutivi posti in essere dal creditore (la Banca Nazionale del Lavoro) del quale è stata riconosciuta l’inesistenza del diritto a procedere esecutivamente, per altro verso ha respinto la pretesa dei debitori esecutati del venir meno di analogo diritto anche in capo all’altro pignorante (la Banca Commerciale Italiana). Il che equivale all’implicita affermazione che la validità di quest’ultimo pignoramento riunito sia idonea a fondare da sola la validità di tutti gli atti esecutivi. Si verifica, dunque, l’incompatibilità tra la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato e l’impostazione logico giuridica della pronuncia; incompatibilità, che esclude il vizio di omessa pronuncia.
L’implicita affermazione della quale s’è detto costituisce corretta applicazione dei principi sopra enunciati, giacchè i creditori intervenuti hanno potuto giovarsi del legittimo pignoramento, nonchè di tutti gli atti esecutivi effettuati dalla Banca Commerciale Italiana.
Risulta implicitamente rigettata anche la richiesta risarcitoria ex art. 96 c.p.c., avendo il giudice motivato circa la compensazione delle spese di lite; sì da far ritenere l’implicita esclusione, nel caso di specie, del presupposto richiesto anche per la condanna di Banca Nazionale del Lavoro, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 2.
Quanto al secondo motivo (denunziante l’omessa o illogica motivazione circa la disposta compensazione delle spese di lite), basti dire che il giudice del merito ha esercitato il suo relativo potere discrezionale, motivando in relazione al complessivo esito della lite.
Il ricorso deve essere, dunque, respinto. La complessità delle questioni trattate consiglia l’intera compensazione tra tutte le parti delle spese sopportate per il giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa interamente tra tutte le parti le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 24 settembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2014
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