In merito alla dichiarazione giudiziale di paternità, può ravvisarsi la contrarietà all’interesse del minore solo nell’ipotesi di concreto accertamento di una condotta del preteso padre tale da giustificare una dichiarazione di decadenza dalla potestà genitoriale, ovvero di una prova della sussistenza di gravi rischi per l’equilibrio affettivo e psicologico del minore e per la sua collocazione sociale. Orbene, siffatti rischi devono emergere da fatti obiettivi, desunti dalla pregressa condotta di vita del preteso padre. Di talché, in assenza di essi, l’interesse del minore va, di norma, considerato sussistente, a prescindere dai rapporti di affetto che possano concretamente instaurarsi con il presunto genitore e dalla disponibilità di quest’ultimo ad instauraarli, avendo riguardo al miglioramento obiettivo della sua situazione in relazione agli obblighi giuridici che ne derivano per il presunto padre.

Cass. civ. Sez. I, 11/09/2012, n. 15158 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso n. 11947/09 proposto da:

C.P., elettivamente domiciliato in Roma, alla piazza Capponi 16, presso lo studio dell’avv. Carlo Cermignani, rappresentato e difeso dagli avv.ti BARONE GAETANO ed Angela Barone de foro di Ragusa, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.L., nella qualità di genitore esercente la potestà sul minore M.F.V., elettivamente domiciliata in Roma, al viale Paioli 93, presso lo studio dell’avv. Giovanni Foti, rappresentata e difesa dall’avv. vinciguerra franco del foro di Ragusa, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n, 163/09 della Corte d’Appello di Catania, emessa il 21.1.09, depositata il 7.2.09;

udita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza del 25.6.2012 dal Consigliere dr. Magda Cristiano;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Il Tribunale per i Minorenni di Catania, con sentenza del 30.4.08, ha accolto la domanda proposta da M.L., nella sua qualità di genitore esercente la potestà sul figlio minore F., nei confronti di C.P. ed ha dichiarato quest’ultimo padre naturale del minore.

Il gravame proposto da C. contro la decisione è stato respinto dalla Corte d’Appello di Catania con sentenza del 7.2.09.

La Corte ha ritenuto che il giudice di primo grado, dotato di ampio potere di valutazione dei mezzi di prova, avesse correttamente fondato il proprio convincimento su di una serie di elementi indiziari (le dichiarazioni rese dalla teste Mu., che aveva confermato che fra la M. ed il C. era intercorsa una relazione sentimentale di non breve durata; le informazioni raccolte in sede di giudizio ex art. 274 c.c., da Commissariato) correlati al comportamento processuale dell’appellante, che aveva rifiutato di sottoporsi al test del DNA. Ha quindi escluso che la dichiarazione di paternità potesse ritenersi contraria agli interessi del minore in ragione dell’età avanzata del C. e della dedotta sua impossibilità ad intrattenere rapporti familiari col figlio naturale.

C.P. ha chiesto la cassazione della sentenza, con ricorso sorretto da tre motivi, cui la M., nella qualità, ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1) Con il primo motivo di ricorso, C.P. denuncia violazione degli artt. 269, 202 e 203 c.p.c., nonchè vizio di insufficiente motivazione della sentenza impugnata. Rileva che la Corte di merito ha fondato il proprio convincimento sulle dichiarazioni della teste S. (madre dell’attrice), che erano inutilizzabili in quanto raccolte dal Giudice tutelare di Ragusa – delegato ai sensi dell’art. 203 c.p.c. – senza che ai suoi procuratori fossero state comunicate data ed ora di assunzione della prova, e su quelle della teste Mu. che, avendo riferito che la causa della rottura della relazione che lo legava alla M. era stato proprio il suo netto rifiuto a riconoscere il nascituro, smentivano la sussistenza di qualsivoglia suo comportamento diretto a confermare la sua paternità. Deduce, inoltre, che gli elementi indiziari che, complessivamente valutati, possono essere ritenuti prova della paternità non possono avere ad oggetto esclusivo la relazione fra la madre del minore ed il presunto padre.

2) Col secondo motivo, deducendo violazione dell’art. 2729 c.c., nonchè vizio di motivazione, il ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia fondato la decisione sul suo rifiuto a sottoporsì al test del DNA. Rileva che, nel caso, attesa la sua età ed il suo status di uomo sposato, padre di tre figli, improvvisamente trascinato in una vicenda delicata in assenza di qualsiasi prova dell’esistenza della relazione con una donna più giovane, il rifiuto era giustificato.

I motivi, che sono fra loro connessi e che possono essere congiuntamente esaminati, vanno dichiarati inammissibili.

Va in primo luogo rilevato che la sentenza impugnata non fa menzione della teste S., sicchè la censura con la quale il ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia tenuto conto delle dichiarazioni rese da costei è totalmente priva di attinenza alla decisione.

Il C. svolge poi le sue critiche sulla scorta di una non consentita separazione fra gli elementi di prova presuntiva unitariamente valutati dal giudice del merito; afferma, infatti, nel primo motivo, che l’accertamento del rapporto di paternità non può fondarsi solo sull’esistenza di una relazione fra la madre ed il presunto padre e, nel secondo, che, “in assenza assoluta di altri elementì, la prova non può essere tratta neppure dal rifiuto del presunto padre di sottoporsi al test del DNA. Egli pretende, dunque, di isolare ciascuna delle circostanze sulle quali la Corte territoriale ha basato la decisione, assumendo che esse, in sè considerate, non avrebbero potuto condurre all’affermazione della sua paternità, ma dimentica che il giudice d’appello è pervenuto al convincimento espresso esaminandole ed apprezzandole nel loro complesso, e non singolarmente.

I motivi si fondano, pertanto, su una lettura parziale ed arbitraria della sentenza, e tanto basta ad escludere la loro conformità al paradigma normativo di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, (Cass. n. 17125/07).

3) Col terzo motivo, deducendo violazione dell’art. 274 c.c., e vizio di motivazione, il ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto il riconoscimento non contrario all’interesse del minore (infrsedicenne), nonostante l’enorme differenza di età che da lui lo separa e la sua condizione di uomo sposato, con figli adulti conviventi, che non gli consentirebbe di seguire ed educare il piccolo.

Il motivo è infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di dichiarazione giudiziale di paternità, la contrarietà all’interesse del minore può sussistere solo in caso di concreto accertamento di una condotta del preteso padre tale da giustificare una dichiarazione di decadenza dalla potestà genitoriale, ovvero di prova dell’esistenza di gravi rischi per l’equilibrio affettivo e psicologico del minore e per la sua collocazione sociale. Tali rischi devono risultare da fatti obbiettivi, emergenti dalla pregressa condotta di vita del preteso padre, ed, in mancanza di essi, l’interesse del minore va ritenuto di regola sussistente, a prescindere dai rapporti di affetto che possano in concreto instaurarsi con il presunto genitore e dalla disponibilità di questo ad instaurarli, avendo riguardo al miglioramento obiettivo della sua situazione in relazione agli obblighi giuridici che ne derivano per il preteso padre (da ultimo,fra molte, Cass. nn. 9300/010, 15101/05).

In detta prospettiva, neppure l’assenza di affectio da parte del presunto padre, o la dichiarazione di costui, convenuto con razione di dichiarazione giudiziale ex art. 269 c.c., di non voler adempiere i doveri morali inerenti la potestà genitoriale, sono state ritenute idonee ad escludere l’interesse del minore: correttamente, pertanto, il giudice del merito ha concluso per l’irrilevanza, a tal fine, delle circostanze allegate dal C..

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 3200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

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