I) In primis, il comma 8 dell’art. 13 della l. 257/1992 statuisce che la ivi prevista rivalutazione previdenziale viene effettuata «ai fini delle prestazioni pensionistiche», con la conseguenza che, provata (ed accertata dall’Inail) l’esposizione ultradecennale all’amianto, il trattamento pensionistico, per ciò solo, deve subire l’adeguamento di legge.

II) In secundis, si noti che la versione originaria del comma 8 dell’art. 13 della legge 257 del 1992, fu, dapprima, modificata per effetto dell’art. 1 – bis, d.l. 5 giugno 1993 n. 169, che stabilì, tra l’altro, la spettanza della rivalutazione solo in favore dei dipendenti delle imprese che estraevano o utilizzavano amianto come materia prima. È noto pure che l’art 1 della legge 4 agosto 1993 n. 271, di conversione del suddetto decreto, nell’adottare il testo attuale del comma 8 dell’art. 13 della legge 257/92, abbia eliminato ogni riferimento all’attività svolta dalle imprese presso cui sono stati impiegati i lavoratori, ed abbia così inteso porre l’accento esclusivamente sul dato della esposizione all’amianto.
Ordunque, se, ratio della norma va ravvisata, come afferma la Corte Costituzionale nella sentenza n. 5 del 12 gennaio 2000, «nella finalità di offrire ai lavoratori esposti all’amianto per un apprezzabile periodo di tempo (almeno dieci anni), un beneficio correlato alla possibile incidenza invalidante di lavorazioni che, in qualche modo, presentano potenzialità morbigene», non si vede perché porre l’accento, come sostenuto da taluni Enti di previdenza, nelle difese azionate contro i lavoratori ricorrenti, sul dato secondo cui la legge 257/1992 avrebbe in animo di tutelare coloro che, per effetto del coinvolgimento nei processi di dismissione dell’amianto, abbiano subito un concreto danno di carattere occupazionale, venendo irreversibilmente estromessi dal mondo del lavoro

III) In terzo luogo, neppure la tesi di un incondizionato rifiuto di concessione del beneficio ai soggetti titolari della pensione di anzianità, che pure gli enti previdenziali hanno sostenuto, può essere accolta.
L’unanime giurisprudenza, infatti, nell’affermare che
«la maggiorazione secondo il coefficiente di 1,5 dei periodi lavorativi, prevista dall’art. 13 l 27 marzo 1992 n. 257 . . . non compete ai soggetti che, alla data di entrata in vigore della stessa legge n. 257 del 1992, siano titolari di pensione di anzianità o di vecchiaia . . .» (in tal senso, ex plurimis, Cass. civ. sez. lav., 25 ottobre 2001, n. 13195; in termini, tra le moltissime,: id., 12 febbraio 2001, n. 1976, 19 settembre 1998 n. 9407, 28 luglio 1998 n. 7407, 7 luglio 1998 n. 6620, 28), non la esclude in capo a quei soggetti che alla data di entrata in vigore della legge 27 marzo 1992 n. 257 (28 aprile 1992) erano ancora in servizio.
E, si badi, tale ultimo argomento è stato fatto proprio altresì dalla Corte Costituzionale, nella sentenza n. 434 del 31 ottobre 2002, nella quale si apprende che nell’ambito dei beneficiari della norma de qua si trovano
« . . . tutti i soggetti ancora inseriti nel mondo del lavoro alla data di entrata in vigore della legge n. 257 del 1992, qualunque fosse il loro stato occupazionale del momento (di occupato nel settore dell’amianto, di disoccupato, di sospeso ovvero di occupato in un settore diverso), a prescindere dall’attualità dell’esposizione . . .»;
Ed ancora, a proposito del meccanismo della rivalutazione, che esso è
«diretto a facilitare il raggiungimento dei requisiti assicurativi necessari per l’accesso al pensionamento e non come strumento finalizzato ad incrementare i trattamenti pensionistici già erogati al momento di entrata in vigore della legge n. 257 del 1992».

IV) Si consideri, poi, che in dottrina, sono state maggioritarie le voci favorevoli alla estensione del beneficio in parola a tutti quelli che abbiano lavorato a contatto con l’amianto per più di dieci anni, e ciò senza limitazione alcuna per i titolari di pensione di anzianità o di vecchiaia, pena la violazione della ratio della legge 257/1992 e dell’art. 3 della Costituzione (in tal senso, tra tutti, Riverso, Vecchie e nuove ingiustizie per i lavoratori esposti all’amianto, Il lavoro nella giurisprudenza, 8/2002, 705 ss.).
A sostegno di tali opinioni, vengono citate le risultanze del resoconto della seduta della Camera 12 – 14 luglio 1993, nella quale l’on Morgando, a proposito della prima riforma del testo originario della legge in parola, avvenuto con d.l. 5 giugno 1993 n. 169, parlò di:
« . . . modifiche introdotte dalla Commissione . . . volte a far sì che per tutti i lavoratori che siano stati esposti all’amianto per un periodo superiore a dieci anni l’intero periodo soggetto ad assicurazione obbligatoria sia moltiplicato per il coefficiente di 1,5».
A queste parole, nelle predette sedute, faceva eco l’On Muzio, affermando che
«… è indubbio . . . che i benefici di questo provvedimento debbono essere applicati a tutti i lavoratori che nello svolgimento della loro attività sono venuti in contatto con l’amianto o lo sono attualmente. Se sarà approvato il provvedimento al nostro esame rappresenterà un segnale di giustizia per i lavoratori interessati e di civiltà per il nostro paese» (sul dibattito parlamentare si veda, ancora, Riverso, loco ult. cit., 708).
A detta del citato ultimo autore, quegli orientamenti della S.C. che negano l’operatività del beneficio in funzione della categoria di appartenenza, del livello quantitativo dell’esposizione, dello stato di pensionato del lavoratore violano il principio di uguaglianza, in quanto
«. . . riscrivono la norma collocandola su un piano sistematico in cui regnano incertezza e contraddizione. Il tutto senz’alcun valido motivo; tutt’altro: si tratta di sentenze che invece di guardare al rischio corso dal lavoratore, come impone la legge, guardano al datore che lo ha sottoposto al rischio» (Riverso, loco ult. cit.,705).

V) Comunque, come riconosciuto dalla Corte Costituzionale, nella sentenza n. 434 del 31 ottobre 2002, tra i destinatari naturali del beneficio in parola si trovano coloro che, al tempo della entrata in vigore della detta legge, 28 aprile 1992, erano ancora in servizio.

VI) Ancora, e da ultimo, la spettanza del beneficio in parola in favore di coloro che, esposti per oltre dieci anni all’amianto, alla data di entrata in vigore della legge n. 257 del 1992 (28 aprile 1992), erano ancora in servizio ed hanno raggiunto il pensionamento successivamente, oltre che avallata dalle opinioni citate è pure evincibile dall’interpretazione teleologica del disposto dell’art. 80, comma 25, legge 23 dicembre 2000, n. 388 – disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello stato (legge finanziaria 2001), ai sensi del quale:
«In caso di rinuncia all’azione giudiziaria promossa da parte dei lavoratori esposti all’amianto aventi i requisiti di cui alla legge 27 marzo 1992, n. 257, e cessati dall’attività lavorativa antecedentemente all’entrata in vigore della predetta legge, la causa si estingue e le spese e gli onorari relativi alle attività antecedenti all’estinzione sono compensati».
Orbene, se quest’ultima legge ha previsto l’estinzione de iure del giudizio instaurato da chi, anteriormente alla entrata in vigore della legge 257/92, pur avendone i requisiti, aveva già cessato la propria attività lavorativa, essa ha inteso espressamente ribadire l’assoluta fondatezza e giustezza di tutti i giudizi, instaurati da chi al 28 aprile 1992, giorno della entrata in vigore della legge n. 257 del 1992, prestava la sua attività a contatto quotidiano con l’amianto: e ciò a dispetto delle citate opposte tesi difensive sostenute, a mò di ‘recitativo’, innanzi ai Tribunali del lavoro Italiani dagli Enti di previdenza convenuti.
Giorgio Vanacore
Avvocato in Napoli

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