L’applicazione, in tema di licenziamento, dell’art. 4 della legge n. 108 del 1990, con conseguente esclusione della tutela reale, implica l’accertamento in concreto, da parte del Giudice di merito, della sussistenza dei requisiti tipici dell’organizzazione di tendenza, definita come datore di lavoro non imprenditore che svolge, senza fini di lucro, attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione e di culto, sempre che non vi sia una struttura imprenditoriale, o per meglio dire, non si ravvisino modalità organizzative ed economiche di tipo imprenditoriale. Ne deriva che, a fronte di un’indagine che abbia evidenziato l’assenza di elementi tipici di una struttura imprenditoriale, come accaduto nel caso concreto, è legittimo escludere l’applicabilità della tutela reale in caso di licenziamenti.

Cass. civ. Sez. lavoro, 27/05/2011, n. 11777 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 2399/2010 proposto da:

S.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO 50, presso lo studio dell’avvocato COSSU BRUNO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato PICCININI ALBERTO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

FONDAZIONE TEATRO COMUNALE BOLOGNA, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 677/2008 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 15/01/2009 R.G.N. 1159/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/04/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

Udito l’Avvocato COSSU BRUNO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Bologna, riformando la sentenza di primo grado, in parziale accoglimento della domanda di S.S., dichiarava la nullità del patto di prova di cui contratto di lavoro intercorso tra la S. e la Fondazione Teatro Comunale di Bologna e l’illegittimità del licenziamento intimato a detta lavoratrice con condanna della menzionata Fondazione a riassumere la ricorrente o in mancanza a risarcirle il danno determinato nella misura di quattro mensilità dall’ultima retribuzione globale di fatto.

La Corte territoriale, premesso che, nella specie, il bando di concorso, in base al quale la S. era stata assunta, si configurava quale offerta al pubblico di preliminare, riteneva che, poichè la lettera di assunzione con patto di prova non era stata sottoscritta dalla ricorrente, il relativo patto era nullo con conseguente “conversione del rapporto in rapporto definitivo a tempo indeterminato” ed illegittimità dell’intimato licenziamento in quanto privo di giusta causa o giustificato motivo.

La Corte del merito, poi, sulla base della espletata CTU, affermava che la Fondazione era datore di lavoro non imprenditore che svolgeva attività culturale senza fini di lucro sicchè non poteva, ai sensi della L. n. 108 del 1990, art. 4, applicarsi la tutela reale del posto di lavoro, bensì quella c.d. obbligatoria e, pertanto, la condannava alla riassunzione della S. o al risarcimento del danno nella misura di quattro mensilità dell’ultima retribuzione.

Avverso questa sentenza la S. ricorre in cassazione sulla base di due motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso la Fondazione intimata che propone a sua volta impugnazione incidentale assistita da due motivi.

Motivi della decisione

I ricorsi vanno, preliminarmente, riuniti, riguardando l’impugnazione della stessa sentenza.

Con il primo motivo del ricorso principale la S., deducendo la violazione del D.Lgs. n. 376 del 1196, art. 3, con riferimento alla L. n. 108 del 1990, art. 4, formula, ex art. 366 bis c.p.c., il seguente quesito di diritto: “se violi il D.Lgs. n. 367 del 1996,art. 3, la sentenza che, agli effetti di cui alla L. 108 del 1990, art. 4, escluda la natura imprenditoriale dell’attività svolta dalla Fondazione, per il fatto che la stessa senza le sovvenzioni pubbliche non e in grado di realizzare il pareggio di bilancio ovvero se la corretta interpretazione dell’art. 3 cit., è nel senso che l’esistenza di tali sovvenzioni, come ex lege erogate, non esclude di per se il carattere imprenditoriale dell’attività di detta Fondazione e quindi l’applicabilità della disciplina di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 8″.

Con la seconda censura la ricorrente principale, denunciando la violazione della L. n. 108 del 1990, art. 4, articola, ex art. 366 bis c.p.c., il seguente quesito di diritto: “se violi la L. n. 108 del 1990, art. 4, la sentenza che interpreta la dizione “datori di lavoro non imprenditori” nel senso di ricomprendere in tale categoria anche coloro che, pur svolgendo una attività rivolta alla produzione di beni e servizi attraverso anche una stabile organizzazione imprenditoriale, non godono di una autonomia finanziaria, nel senso che raggiunto il pareggio di bilancio solo grazie a sovvenzioni e non attraverso i ricavi derivanti dalla cessione di beni o servizi prodotti, ovvero se – come sostiene parte ricorrente- la realizzazione del pareggio di bilancio attraverso istituzionali sovvenzioni(pubbliche) non esclude di per sè sola, la natura imprenditoriale dell’attività svolta con conseguente applicabilità della L. n. 300 del 1970, art. 13″.

Con il primo motivo del ricorso incidentale la Fondazione, allegando vizio di motivazione, deduce che la Corte del merito non espone in base a quali elementi sia giunta a ritenere che, nella specie, ricorrevano gli estremi del contratto preliminare anzichè del contratto definitivo, nonostante si fosse evidenziato che il Bando conteneva precisa indicazione degli estremi finali del contratto il quale doveva reputarsi perfezionato con l’accettazione della lavoratrice.

Con la seconda censura del ricorso incidentale la Fondazione, prospettando violazione dell’art. 2096 c.c., pone, ex art. 366 bis c.p.c., il seguente quesito di diritto: “se violi l’art. 2096 c.c., la decisione della corte di merito che ritenga insussistente la forma scritta del patto pur in presenza di domanda di partecipazione al concorso cui si richiami anche la clausola del bando di concorso contenente la previsione di un periodo di prova in caso di superamento del concorso e successiva assunzione”.

E’ pregiudiziale l’esame del ricorso incidentale che risulta infondato.

Invero, quanto al dedotto vizio di motivazione è sufficiente annotare che, contrariamente a quanto assume la Fondazione, la Corte del merito, nel rilevare che, alla stregua del bando di concorso si configura un’offerta al pubblico di contratto preliminare, esplicita il percorso logico giuridico in base al quale ritiene, appunto, trattarsi di offerta di contratto preliminare unilaterale.

Nè in questa sede può valutarsi la correttezza della motivazione in relazione al contenuto del bando di concorso e tanto in considerazione della assorbente circostanza che la Fondazione, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, non trascrive nel ricorso il testo di tale bando impedendo in tal modo qualsiasi sindacato al riguardo.

Analoghe considerazioni valgono relativamente alla denunciata violazione di legge ed in particolare al principio di cui si chiede l’affermazione. La regola reclamata, infatti, presuppone che nel bando di concorso sia stabilita una clausola che contiene la previsione del patto di prova. Tuttavia la mancata riproduzione nel ricorso del testo del bando di concorso non consente alcun sindacato in proposito.

Peraltro, e vale la pena di rimarcarlo, la censura in parola è altresì non accoglibile in quanto, attraverso la deduzione di una violazione di legge, si chiede in sostanza un accertamento di fatto che compete esclusivamente al giudice di merito e può essere sindacato in sede di legittimità solo sotto il profilo motivazionale.

Passando all’esame del ricorso principale rileva la Corte che lo stesso è infondato.

I due motivi di questo ricorso – con i quali sostanzialmente si deduce che le sovvenzioni erogate a favore della Fondazione e la realizzazione del pareggio di bilancio anche attraverso dette sovvenzioni non possono di per sè escludere la natura imprenditoriale della suddetta Fondazione Teatro Comunale di Bologna – da esaminarsi congiuntamente per comportare la soluzione di questioni tra loro strettamente connesse, vanno rigettati perchè privi di fondamento.

Questa Corte di cassazione ha più volte statuito che, in tema di licenziamento l’applicazione della disciplina di cui alla L. n. 138 del 1990, art. 4, (con conseguente esclusione, nei loro confronti, della tutela reale prevista dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, modificata dalla predetta L. n. 108 del 1990, art. 1) presuppone l’accertamento in concreto, da parte del giudice del merito, della presenza dei requisiti tipici della organizzazione di tendenza, definita come datore ci lavoro non imprenditore che svolge, senza fini di lucro, attività di natura politica, sindacale, culturale di istruzione ovvero di religione e di culto purchè in assenza di una struttura imprenditoriale,e, più precisamente, di modalità organizzative ed economiche di tipo imprenditoriale (Cass. 14 agosto 2008 n. 21685 cui adde, tra le altre, Cass. 2 dicembre 2010 n. 24437 e Cass. 10 novembre 2010 n. 22873).

Orbene nel caso di specie la Corte territoriale ha ritenuto, sulla base delle risultanze processuali, che la Fondazione Teatro Comunale di Bologna persegue forme di collaborazione con enti ed istituzioni musicali con sede nella Regione Romagna con numerosi impiegati tecnici ed amministrativi a tempo pieno e parziale; che non è in grado di rimborsare attraverso l’attività produttiva di servizi i fattori della produzione impiegati; che la sua esistenza è garantita essenzialmente dall’erogazione di contributi da parte dello Stato, Regione, Comune e privati, non operando in condizioni di pareggio di bilancio; che non è iscritta, per carenza dei relativi requisiti nel registro delle imprese.

Circostanze queste ultime che, valutate nel loro insieme, hanno indotto il giudice di appello ad escludere che la Fondazione in parola possa considerarsi una impresa con conseguente applicabilità, in caso di licenziamenti, della tutela reale.

Ritiene il Collegio che tale conclusione risulta rispettosa dei ricordati principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, avendo il giudice di merito – a seguito di accertamento ad esso istituzionalmente devoluto- escluso la natura imprenditoriale della Fondazione affermando che era emerso che essa non operava alla ricerca del pareggio di bilancio, nè nel rispetto dei principi di economicità, nè tanto meno per il perseguimento di uno scopo di lucro.

Nè può sottacersi ad ulteriore supporto delle conclusioni cui sono pervenuti i giudici di appello nella sentenza impugnata che – se in presenza degli indicati dati fattuali caratterizzanti l’attività della Fondazione – si escludesse la stessa dal novero delle organizzazioni di cui alla L. n. 108 del 1990, citato art. 4, si finirebbe ingiustificatamente per vanificare gli interessi tutelati dalla citata disposizione, interessi che, per avere copertura costituzionale (interessi di natura politica, sindacale, culturale, d’istruzione ovvero di religione) hanno favorito in dottrina ed in giurisprudenza opzioni ermeneutiche del dato normativo volte ad estendere la nozione di organizzazione di tendenza.

Tanto è sufficiente per respingere il ricorso principale non essendo le censure ivi articolate conferenti alla ratio decidendi della sentenza impugnata.

I ricorsi pertanto vanno rigettati.

La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riuniti i ricorsi li rigetta e compensa le spese del giudizio di legittimità.

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