SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato (…) conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma il condominio di via (…) chiedendo dichiararsi la nullità delle delibere di cui alle assemblee condominiali del 12 dicembre 1995, del 5 febbraio 1996, del 1 ottobre 1996 e del 10 dicembre 1996 (in quanto celebratesi senza la convocazione di alcuni condomini e con l’ammissione di persone estranee al condominio ) nonchè l’annullabilità delle delibere dell’assemblea del 10 dicembre 1996 relative all’approvazione del rendiconto 1996 e alla nomina dell’amministratore.
Nella costituzione del convenuto condominio , il tribunale adito, con sentenza depositata il 20 maggio 2000, rigettava tutte le domande proposte nell’interesse del (…).
A seguito di appello ritualmente interposto dallo stesso (…) avverso la suddetta sentenza di primo grado, la Corte di appello di Roma, con sentenza n. 5257 del 2004 (depositata il 10 dicembre 2004) rigettava il gravame e condannava l’appellante al pagamento delle spese del grado.
Avverso la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il (…), articolato in sette motivi, avverso il quale, costituendosi in questa fase, ha proposto controricorso l’intimato condominio . Rilevandosi la sussistenza delle condizioni previste dal previgente art. 375 c.p.c., il ricorso veniva avviato per la sua definizione nelle forme del procedimento camerale, con acquisizione del parere del P.M. e la fissazione dell’adunanza in camera di consiglio per l’11 gennaio 2011, in ordine alla quale si provvedeva ritualmente agli adempimenti prescritti dall’art. 377 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo – avanzato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – il ricorrente ha prospettato l’omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, nonché la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 183, 347, 166, 112, 115 e 132 c.p.c..
1.1. Il motivo è inammissibile. Premesso che il ricorso non contiene, nella parte introduttiva, una sufficiente esposizione sommaria dei fatti della causa (in relazione al disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), essendosi limitato il ricorrente a fare un generico riferimento all’impugnativa di cinque delibere assembleari condominiali (senza indicarne i rispettivi oggetti e le puntuali modalità di deliberazione), con il riportato motivo egli assume l’illegittimità della sentenza impugnata sul presupposto che, malgrado il condominio di (…) (ora controricorrente) si fosse costituito soltanto all’udienza di precisazione delle conclusioni, producendo solo in quella udienza il fascicolo di parte del giudizio di primo grado, la Corte di appello di Roma aveva tenuto conto dei documenti allegati a tale fascicolo, per la cui produzione era maturata la decadenza processuale a carico dello stesso condominio .
Orbene, il motivo così come formulato deve considerarsi inammissibile per omessa osservanza del principio di specificità (in ordine all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4) oltre che del principio di autosufficienza, non avendo il ricorrente provveduto ad indicare quali documenti la Corte territoriale avrebbe valutato illegittimamente, in quali passaggi della sentenza sarebbero stati presi in considerazione, mancando, anche, di evidenziare da quali elementi sarebbe risultato possibile desumere la decisività della considerazione di tali documenti ai fini della risoluzione della controversia. In tal modo, il (…) non si è attenuto ai principi costantemente affermati dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo i quali il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od illegittimamente preso in considerazione dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della legittimità e della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la Corte di cassazione deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative. Peraltro il contestuale dedotto vizio di omessa pronuncia correlato all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 deve ritenersi anch’esso inammissibile poichè – in ossequio alla giurisprudenza pacifica di questa Corte (v. Cass. 4 giugno 2007, n. 12952, e Cass. 17 dicembre 2009, n. 26598) – la deduzione in sede di legittimità della violazione dell’art. 112 c.p.c. deve essere fatta valere non come vizio di violazione di legge, ricollegabile all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, bensì come doglianza esclusivamente riferibile allo stesso art. 2, n. 4.
Con il secondo motivo (formulato in virtù dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) il ricorrente ha denunciato l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, unitamente alla violazione e/o falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c., commi 2 e 4, artt. 112, 113, 117 e 132 c.p.c., con riferimento al mancato esame da parte del giudice di appello del primo motivo di gravame, nel quale si era contestata la rilevanza data dal giudice di prima istanza alle dichiarazioni rese dal medesimo ricorrente in sede di interrogatorio libero.
2.1. Anche questo motivo è inammissibile perchè assolutamente generico, non risultando riportato il contenuto delle suddette dichiarazioni, nè evidenziata la rilevanza delle stesse in funzione della loro eventuale decisività. Ad ogni modo il motivo è, comunque, infondato avendo la Corte territoriale preso in considerazione i chiarimenti operati in primo grado dal (…) e ritenendo, peraltro, l’inidoneità degli stessi (relativi alla supposta mancata convocazione alle assemblee condominiali di alcuni condomini) ad incidere sull’esito della controversia, dal momento che il vizio prospettato avrebbe, semmai, potuto determinare l’annullabilità delle delibere (ma non la loro nullità), che imponeva all’avente interesse l’obbligo di impugnarle entro il termine decadenziale di trenta giorni, di cui all’art. 1137 c.c., comma 3, (come statuito anche dalle S.U. con la sentenza 7 marzo 2005, n. 4806), pacificamente disatteso dal (…) nella controversia in questione (con riguardo a tutte le delibere assembleari indicate), come accertato in fatto e statuito nel merito dalla Corte capitolina.
3. Con il terzo motivo (anch’esso riferito all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) il ricorrente ha dedotto l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, congiuntamente alla violazione e/o falsa applicazione dell’art. 66 disp. att. c.c., artt. 1136 e 1137 c.c., artt. 112, 113, 115, 116, 132, 180, 183 e 345 c.p.c..
Con questo motivo il (…) ripropone la doglianza relativa all’assunta omessa considerazione della circostanza inerente la mancata convocazione di alcuni condomini che aveva inciso sulla validità delle delibere.
3.1. Il motivo è manifestamente infondato avendo – come già sottolineato con riferimento al secondo motivo – la Corte territoriale, invero, esaminato il motivo sottopostole, rilevando, correttamente (anche alla luce della richiamata sentenza delle SU. n. 4806 del 2005), che la circostanza addotta era, in concreto, irrilevante non avendo il (…) provveduto ad impugnare le delibere assunte come viziate nel precisato termine di decadenza, ricadendosi in una ipotesi di annullabilità delle delibere stesse e non di nullità.
4. Con il quarto motivo (sempre formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) il ricorrente ha assunto l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in uno alla violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 112, 113, 115, 116 e 132 c.p.c., in relazione alla supposta erroneità della valutazione compiuta dalla Corte di appello sulla spettanza dell’onere in capo allo stesso (…) della prova relativa all’individuazione dei condomini che non avevano ricevuto rituale comunicazione dell’avviso di convocazione delle assemblee condominiali alle quali si riferiva l’azione esperita.
4.1. Anche questo motivo è destituito di fondamento. Infatti, pur essendo esatto (secondo la giurisprudenza di questa Corte: v. Cass. 19 novembre 1992, n. 12379; Cass. 25 marzo 1999, n. 2837, e, da ultimo, Cass. 13 novembre 2009, n. 24132) il dedotto assunto secondo il quale – qualora il condomino agisca per far valere l’invalidità di una delibera assembleare – incombe sul condominio convenuto l’onere di provare che tutti i condomini siano stati tempestivamente avvisati della convocazione (quale presupposto per la regolare costituzione dell’assemblea), la violazione della regola di ripartizione dell’onere probatorio non si profila idonea a condurre, nella specie, ad alcun risultato utile per il ricorrente, posto che l’esame della doglianza già dedotta in sede di merito doveva considerarsi (come correttamente rilevato dalla Corte territoriale) comunque precluso e, quindi, superato dall’intervenuta decadenza dal diritto di impugnazione delle delibere assembleari da qualificarsi come meramente annullabili e non nulle (come già precedentemente evidenziato).
5. Con il quinto motivo (prospettato con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), il ricorrente ha dedotto l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata circa un punto decisivo della controversia, nonchè la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 841 del 1973, art. 6, artt. 1117 e segg., 1136 e 2372 c.c., artt. 112, 113, 115, 116 e 132 c.p.c., avuto riguardo alla supposta illegittima partecipazione alle relative assemblee di soggetti non legittimati o non regolarmente delegati, con conseguente incidenza anche sul “quorum” costitutivo e deliberativo delle assemblee medesime, che non poteva ritenersi raggiunto.
5.1. Anche questo motivo – oltre all’indicato profilo assorbente dell’intervenuta decadenza a carico del P. – si prospetta infondato, sia perchè, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, l’onere probatorio relativo alla dimostrazione degli eventuali vizi inerenti alla formazione della volontà delle assemblee condominiali spettava al condomino istante (v. le citate Cass. 19 novembre 1992, n. 12379, e Cass. 25 marzo 1999, n. 2837), sia perchè, in ogni caso, con riguardo al dedotto vizio motivazionale, la Corte di appello ha adeguatamente valutato le risultanze processuali e, con motivazione logica e sufficiente (e, perciò, insindacabile in questa sede), ha attestato di aver riscontrato l’esattezza di quanto già constatato dal giudice di prime cure sulla ritualità della partecipazione alle assemblee dei condomini contestati, rilevando, con riguardo al solo B. (partecipante all’assemblea del 15 febbraio 1996), che, pur difettando di apposito titolo, la sua presenza era rimasta irrilevante non potendo incidere sul “quorum” costitutivo. Si deve, inoltre, osservare che anche la deduzione relativa alla forma delle deleghe risulta specificamente e congruamente valutata dalla Corte territoriale, nel mentre si prospettava come tema nuovo quello relativo al numero delle deleghe rilasciabili e all’assunta illegittimità del conferimento di deleghe in favore dell’amministratore, sul quale non era stato accettato il contraddittorio e, quindi, da ritenersi inammissibilmente proposto in appello ed altrettanto inammissibilmente reiterato nella presente sede di legittimità. Oltretutto, bisogna sottolineare – anche in virtù del relativo onere probatorio incombente sul (…) – che il ricorso risulta, con riferimento pure a questo motivo, proposto in violazione dei principi di autosufficienza e specificità, non risultando indicato in quale modo la presenza di soggetti non legittimati avrebbe inficiato la validità delle delibere assembleari sotto il profilo della violazione dei prescritti “quorum”.
6. Con il sesto motivo – anch’esso riferito all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – il ricorrente ha denunciato l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, congiuntamente alla violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1135 c.c., nn. 2 e 3, art. 1137 c.c., comma 2, e degli artt. 112, 113 e 132 c.p.c., lamentando la mancata censura nella sentenza impugnata in ordine all’approvazione del consuntivo prima della scadenza dell’anno di gestione, avvenuta all’assemblea del 10 dicembre 1996.
6.1. Il motivo è inammissibile perché – così come prospettato – non rispetta i richiamati principi di autosufficienza e di specificità non risultando specificato a quale consuntivo il (…) intendesse riferirsi e relativamente a quale esatto periodo esso era stato approvato. Deve, peraltro, rilevarsi, in ogni caso, l’infondatezza del motivo stesso, poichè (v., sul punto, Cass. 20 aprile 1994, n. 3747), per il disposto degli artt. 1135 e 1137 c.c., la deliberazione dell’assemblea condominiale che approva il rendiconto annuale dell’amministratore può essere impugnata dai condomini assenti e dissenzienti nel termine stabilito dall’art. 1137 c.c., comma 3 non per ragioni di merito, ma solo per ragioni di mera legittimità, restando esclusa una diversa forma di invalidazione ex art. 1418 c.c., non essendo consentito al singolo condomino rimettere in discussione i provvedimenti adottati dalla maggioranza se non nella forma dell’impugnazione della delibera, da considerarsi, perciò, annullabile e dal cui diritto di impugnazione il ricorrente doveva, come accertato dalla Corte territoriale, considerarsi decaduto.
7. Con il settimo ed ultimo motivo (ancora proposto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1. nn. 3 e 5) il ricorrente ha dedotto l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, nonchè la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4. e delle norme della Tariffa professionale forense (D.M. n. 127 del 2004; D.M. n. 585 del 1994 e norma di conversione monetaria di cui al D.Lgs. n. 213 del 1998, art. 4 in relazione alle L. n. 794 del 1942 e L. n. 1051 del 1957) in riferimento agli artt. 111 e 24 Cost..
9.1. Anche questo motivo è inammissibile, dal momento che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (v., ad es., tra le più recenti, Cass. 26 giugno 2007, n. 14744, e Cass. 19 giugno 2009, n. 14455), in tema di controllo della legittimità della pronuncia di condanna alle spese del giudizio, deve qualificarsi, appunto, inammissibile il motivo di ricorso per cassazione (come quello prospettato nella fattispecie) che si limiti alla generica denuncia dell’avvenuta violazione del principio di inderogabilità di una o più tariffe professionali o dell’avvenuto riconoscimento di spese che si asserisce non spettanti, atteso che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, devono essere specificati gli errori commessi dal giudice e precisate le voci di tabella degli onorari e dei diritti di procuratore che si ritengono in concreto violate, nonchè le singole spese asseritamente riconosciute e sostenute come non dovute.
10. In definitiva, il ricorso deve essere totalmente respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.400,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione Civile, il 11 gennaio 2011.
Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2011
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