Tribunale di Varese, sez. I, ord. 1° marzo 2011 – Giudice Dott.Giuseppe Buffone

Vigente l’attuale art. 4, comma III, d.lgs. 28/2010 deve ritenersi che trovi applicazione l’art. 1441, comma I, c.c. e, dunque, la annullabilità possa essere fatta valere solo dall’assistito che non ha ricevuto l’informativa. Una interpretazione di diverso segno – la quale consentisse anche alla controparte di demolire il contratto di patrocinio del partner litigante – difficilmente sfuggirebbe alle maglie della incostituzionalità.

Fatto e diritto

Vanno affrontate diverse questioni portate allo scrutinio di questo giudice.

Parte convenuta costituendosi in giudizio in data 25 febbraio 2011 (e, dunque, venti giorni prima dell’udienza ex art. 183 c.p.c. fissata dall’attore) ha chiesto potersi autorizzare la chiamata in causa del proprio garante e del terso cui ritenuta comune la causa, anche per l’eventuale domanda di manleva. Ha, però, pure eccepito la nullità dell’atto di citazione per mancata indicazione dei codici fiscali da parte della difesa legale degli attori e, ancora, l’annullabilità del contratto di patrocinio di questi ultimi non essendo stata depositata l’informativa di cui al d.lgs. 28/2010.

E’ chiaro che l’odierna pronuncia impone di prendere in esame le due ultime eccezioni in via preliminare, altrimenti sarebbe antieconomica la chiamata del terzo per il caso in cui questa venga  ritenuta meritevole di accoglimento.

Chiamata del terzo

L’autorevole indirizzo delle Sezioni Unite (cfr. Cass. civ., Sez. Unite, sentenza 23 febbraio 2010 n. 4309) ha chiarito, a scanso di equivoci, che in tema di chiamata di un terzo nel processo su istanza di parte, al di fuori delle ipotesi di litisconsorzio necessario, è discrezionale il provvedimento del giudice di fissazione di una nuova udienza per consentire la citazione del terzo, chiesta tempestivamente dal convenuto ai sensi dell’art. 269 cod. proc. Civ. Il giudice cui sia tempestivamente chiesta dal convenuto la chiamata in causa, in manleva o in regresso, del terzo, può quindi rifiutare di fissare una nuova prima udienza per la costituzione del terzo, motivando la trattazione separata delle cause per ragioni di economia processuale e per motivi di ragionevole durata del processo intrinseci ad ogni sua scelta. Orbene, nel caso di specie emerge effettivamente l’esigenza di trattare unitariamente le cause sussistendo una connessione particolarmente forte e tenuto anche conto del fatto che una terza chiamata è in garanzia e l’altra per rapporto di subappalto.

La chiamata va, dunque, autorizzata: da qui, però, l’esigenza di superare le questioni preliminari, seppur con scrutinio allo stato funzionale solo al principio di economicità del processo e, dunque, salvo diffuso e compiuto esame, nella sede di merito.

Nullità per omessa indicazione del Codice fiscale

L’atto di citazione è stato notificato sotto la vigenza del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito dalla legge 22 febbraio 2010, n. 24, che ha modificato l’impianto del codice di rito, per quanto qui interessa, negli artt. 125, 163, 167 c.p.c., introducendo nelle disposizioni processuali richiamate l’obbligo di inserimento del codice fiscale: per l’attore (art. 163, comma III, n. 2 c.p.c.), per il convenuto (art. 167, comma I, c.p.c.) e per il difensore (art. 125, comma I, c.p.c.).      La giurisprudenza di questo Tribunale (Trib. Varese, ord. 16 aprile 2010 in www.ilcaso.it; www.tribunale.varese.it/GiurisprudenzaVaresina) è nel senso che l’omessa indicazione del codice fiscale non determina nullità della citazione e, sul punto, allo stato non sembra registrarsi polifonia interpretativa, guardando ai giudici di merito che hanno rassegnato medesime conclusioni (v. Tribunale di Lamezia Terme, ordinanza 26 ottobre 2010, est. Ianni; Trib. Mantova, 16 novembre 2010, est. Berardi). Si richiama, dunque, l’orientamento di questo Ufficio

L’omessa indicazione del codice fiscale non può tradursi in una ipotesi di nullità.  In primo luogo, non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge (art. 156, comma I, c.p.c.); in secondo luogo, il raggiungimento dello scopo, comunque preclude l’insorgere della patologia invalidante (art. 156, comma III, c.p.c.). E’ vero che l’art. 164, comma I, c.p.c. afferma essere la citazione  nulla se  omesso o  assolutamente incerto alcuno dei requisiti stabiliti nei numeri 1) e 2) dell’art. 163 c.p.c. (e proprio nel n. 2 si innesta la modifica legislativa con introduzione dell’obbligo di indicazione del codice fiscale): ma tale inciso va ricondotto alla identificazione “della persona della parte”, secondo una interpretazione che sia coerente con il sistema ed impedisca mere nullità formali non giustificate dalla violazione del diritto di difesa altrui. Ed, allora, sulla scorta di una giurisprudenza ben consolidata, la nullità della citazione, ai sensi dell’art. 163 n. 2, può essere pronunciata soltanto se e quando l’omissione determini una incertezza assoluta in ordine alla individuazione della parte, altrimenti l’omissione costituisce una violazione meramente formale che si traduce in una irregolarità non invalidante l’atto giudiziale. Vi è, poi, che la grave sanzione della nullità, per l’omessa indicazione del codice fiscale, costituirebbe anche un’aporia nella teoria generale delle nullità processuali. Il codice fiscale, infatti, ha la precipua funzione di identificare in modo univoco a fini fiscali le persone residenti sul territorio italiano (iscrivendo, dunque, il contribuente nel registro dell’anagrafe tributaria, v. decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605 e d.P.R. 2 novembre 1976, n. 784). Esso, pertanto, non afferisce ai rapporti tra le parti o tra il giudice e le parti ma alla relazione tra queste ultime e l’amministrazione finanziaria, cosicché la violazione di una norma che disciplina un rapporto estraneo al processo non può riverberare i suoi effetti sul procedimento. In effetti, volendo fornire una interpreazione coerente e sistematica, deve ritenersi che l’art. 4 d.l. 193/09 (come convertito), introducendo l’obbligo di indicazione del codice fiscale in seno agli atti di cui agli artt. 125, 163, 167 abbia di fatto provocato una estensione dell’ambito applicativo dell’art. 6 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 605 (che indica gli “atti nei quali deve essere indicato il numero di codice fiscale”). Ed, allora, l’omessa indicazione del codice fiscale non è sanzionata con la nullità processuale, ma con le sanzioni speciali previste dalla legislazione vigente (es. art. 13 d.P.R. 605/73, come prima modificato dall’art. 1, D.P.R. 23 dicembre 1977, n. 955, poi dall’art. 20, L. 30 dicembre 1991, n. 413 ed infine come sostituito dall’art. 20, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 473). Non può, peraltro, essere sottaciuto che, invero, secondo la giurisprudenza tributaria, le irregolarità meramente formali, che non comportano evasione di imposta, quale l’omessa indicazione del codice fiscale, non sono più sanzionabili ex art. 10, comma 3 legge 27 luglio 2000 n. 212 (Statuto del contribuente: v., ad es. Commiss. Trib. Centr., Sez. IX, 13 agosto 2001, n. 5983): sarebbe, allora, eccentrico sanzionare in seno al diritto processuale civile, con la nullità, una condotta che in seno al suo alveo naturale, quello tributario, non trova più – in linea di principio – alcuna sanzione.

Per i motivi sin qui esposti, in caso di omessa indicazione del codice fiscale, delle parti, di chi li rappresenta o assiste oppure dei difensori, il giudice non deve pronunciare la nullità dell’atto ma deve sollecitare una condotta che vada a rimuovere l’irregolarità registrata.

Annullabilità del contratto di patrocinio Attori – Difensore

In via preliminare, parte convenuta ha chiesto dichiararsi l’annullabilità del conferimento d’incarico da parte degli attori ai loro difensori, per la violazione dell’art. 4, comma III, del d.lgs. 28/2010, non essendo stata allegata all’atto introduttivo del giudizio, l’informativa specifica sottoscritta dai clienti.

Reputa questo giudice che la questione, come eccepita dalla parte convenuta, non sia idonea, allo stato, a provocare alcun provvedimento anticipatorio o organizzativo da parte del magistrato, vuoi ex art. 183, comma I, c.p.c. oppure ex art. 182 c.p.c. oppure ancora ex art. 187 c.pc.  Trattasi, cioè, di questione da rimettere all’alveo decisorio conclusivo del giudizio.

Questi i motivi dell’attuale decisione.

Il decreto legislativo n. 28 del 4 marzo 2010 introduce nuovi obblighi in capo ai difensori legali. Per quanto qui interessa, ai sensi dell’art. 4, comma III, si prevede che, all’atto del conferimento dell’incarico, l’avvocato sia tenuto a informare chiaramente e in forma scritta l’assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal d.lgs. 28/10 e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20 (oltre ai casi della mediazione cd. obbligatoria). Il documento che contiene l’informazione é sottoscritto dall’assistito e deve essere allegato all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio.

Il saggio di legificazione in esame, conclude prevedendo che “in caso di violazione degli obblighi di informazione, il contratto tra l’avvocato e l’assistito e’ annullabile”. Da qui l’eccezione dell’avvocato che assiste la parte convenuta.

Ebbene, una lettura del dato normativo consente di ritenere, per come già osservato, l’eccezione non idonea a provocare, allo stato, una anticipazione di giudizio o altro provvedimento (ad es., di sanatoria di eventuali vizi). Innanzitutto, l’obbligo di informazione (cui si associa un onere di allegazione nell’eventuale giudizio) provoca una specifica reazione dell’Ufficio giudiziario, ma nel senso “salvifico” del rapporto: il giudice che verifica la mancata allegazione del documento informativo, se non provvede ai sensi dell’articolo 5, comma I, infatti, “informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione”.

In secondo luogo, l’esegesi del testo, conferma che l’approdo alla “annullabilità” sia nel senso di recepire integralmente la categoria codicistica, con il regime giuridico che ad essa si collega; anche, quindi, in punto di legittimazione ex art. 1441, comma I, c.c. La versione originaria dell’art. 4 prevedeva, infatti, che la violazione dell’obbligo di informazione determinasse la nullità del contratto di patrocinio. Siffatta disposizione era stata fortemente censurata dalla Dottrina, proprio sul rilievo che introducesse, nell’ordinamento, una previsione in distonia rispetto alla teoria generale delle Patologie negoziali.

Vigente l’attuale art. 4, comma III, d.lgs. 28/2010 deve ritenersi che trovi applicazione l’art. 1441, comma I, c.c. e, dunque, la annullabilità possa essere fatta valere solo dall’assistito che non ha ricevuto l’informativa. Una interpretazione di diverso segno – la quale consentisse anche alla controparte di demolire il contratto di patrocinio del partner litigante – difficilmente sfuggirebbe alle maglie della incostituzionalità.

Per i motivi sin qui esposti, allo stato va autorizzata la chiamata in causa dei terzi, salvo migliore esame delle altre questioni all’esito della prima udienza di comparizione delle parti, non ignorato il fatto che, su entrambe, è in corso un movimento tellurico idoneo a condurre a nuovo esame.

P.Q.M.

Visti gli artt. 175  c.p.c., 4 l. 24/2010

Invita i difensori che non lo abbiano ancora fatto ad indicare il codice fiscale richiesto dagli artt. 125, 163, 167 c.p.c., negli atti ivi indicati, riservandosi ogni provvedimento ritenuto necessario o opportuno in caso di inottemperanza.

Letti ed applicati gli artt. 101 269 c.p.c.

Autorizza la chiamata in causa dei terzi, a cura della parte convenuta, la quale dovrà evocarli in giudizio entro il 30 aprile 2011 (data entro cui le chiamate devono essere spedite), notificando alle stesse gli atti introduttivi del processo e l’odierno provvedimento.

Fissa l’udienza di prima comparizione di tutte le parti in data 30 settembre 2011, ore 12.00.

Letti ed applicati gli artt. 134, 176 c.p.c.

Dispone che la cancelleria comunichi l’odierna ordinanza alle parti.

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