In materia di procedimento disciplinare a carico di avvocati, al fine di garantire l’esercizio del diritto di difesa, è sufficiente che all’incolpato venga contestato un comportamento giudicato come integrante una violazione deontologica, non essendo, viceversa, necessaria la contestazione del nomen juris o della rubrica della ritenuta violazione, atteso che il giudice disciplinare può individuare l’esatta configurazione della violazione tanto in disposizioni generali che impongono l’astensione da qualsiasi comportamento lesivo del decoro, dell’immagine nonché della dignità professionale, quanto in diverse e specifiche norme deontologiche o anche in condotte atipiche non previste da dette norme ma che pur danno vita ad una violazione dei doveri deontologici. In tal senso, nel caso concreto, è stato rigettato il ricorso promosso da un avvocato contro il provvedimento emanato dal proprio Consiglio dell’Ordine, confermato poi dal Consiglio Nazionale Forense, con il quale gli era stata irrogata la sanzione disciplinare della censura per essere venuto meno agli obblighi di lealtà e correttezza propri della professione forense, dal momento che, in base alla chiarezza delle determinazioni del succitato provvedimento, anche in assenza dell’indicazione specifica delle norme deontologiche che si reputavano violate, era stato comunque garantito allo stesso l’esercizio del proprio diritto di difesa.
Cass. civ. Sez. Unite, 17/06/2010, n. 14617
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