Se il difensore non indica il codice fiscale in un atto, tale comportamento non può essere tradotto in una ipotesi di nullità.
Tanto viene precisato nella recentissima ordinanza del Tribunale di Varese, ad opera del giudice Buffone, nella quale si legge, altresì, che “in caso di omessa indicazione del codice fiscale il giudice non deve pronunciare la nullità dell’atto, ma potrebbe tutt’al più limitarsi alla sollecitazione di una condotta atta a rimuovere una simile irregolarità”.
Tribunale di Varese
Sezione I Civile
Il giudice istruttore, dott. Giuseppe Buffone,
ha pronunciato, in udienza, la seguente
Ordinanza
nel procedimento civile n. 83/2010
Osserva
Negli atti del difensore e nella procura manca il codice fiscale.
Il ricorso è stato depositato sotto la vigenza del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193 (in G.U. del 30 dicembre 2009 ed entrato in vigore il 31 dicembre 2009, ex art. 5) convertito dalla legge 22 febbraio 2010, n. 24, che ha modificato l’impianto del codice di rito, per quanto qui interessa, negli artt. 125, 163, 167 c.p.c., introducendo nelle disposizioni processuali richiamate l’obbligo di inserimento del codice fiscale: per l’attore (art. 163, comma III, n. 2 c.p.c.), per il convenuto (art. 167, comma I, c.p.c.) e per il difensore (art. 125, comma I, c.p.c.).
Va precisato che l’art. 163, comma III, n. 2 richiede anche l’indicazione del codice fiscale delle persone che “rappresentano o assistono” le parti: ma tale aggiunta non va intesa come riferimento agli avvocati (per cui, infatti, è stato appositamente modificato l’art. 125 c.p.c.) bensì come richiamo agli istituti della rappresentanza e dell’assistenza di cui all’art. 182 c.p.c. e, dunque, ai soggetti che, in virtù di specifiche disposizioni normative, agiscono come sostituti processuali o rappresentanti legali (ad es. v. art. 273, comma I, c.c.).
L’omessa indicazione del codice fiscale non può tradursi in una ipotesi di nullità.
In primo luogo, non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge (art. 156, comma I, c.p.c.); in secondo luogo, il raggiungimento dello scopo, comunque preclude l’insorgere della patologia invalidante (art. 156, comma III, c.p.c.).
E’ vero che l’art. 164, comma I, c.p.c. afferma essere la citazione nulla se omesso o assolutamente incerto alcuno dei requisiti stabiliti nei numeri 1) e 2) dell’art. 163 c.p.c. (e proprio nel n. 2 si innesta la modifica legislativa con introduzione dell’obbligo di indicazione del codice fiscale): ma tale inciso va ricondotto alla identificazione “della persona della parte”, secondo una interpretazione che sia coerente con il sistema ed impedisca mere nullità formali non giustificate dalla violazione del diritto di difesa altrui. Ed, allora, sulla scorta di una giurisprudenza ben consolidata, la nullità della citazione, ai sensi dell’art. 163 n. 2, può essere pronunciata soltanto se e quando l’omissione determini una incertezza assoluta in ordine alla individuazione della parte, altrimenti l’omissione costituisce una violazione meramente formale che si traduce in una irregolarità non invalidante l’atto giudiziale.
Vi è, poi, che la grave sanzione della nullità, per l’omessa indicazione del codice fiscale, costituirebbe anche un’aporia nella teoria generale delle nullità processuali. Il codice fiscale, infatti, ha la precipua funzione di identificare in modo univoco a fini fiscali le persone residenti sul territorio italiano (iscrivendo, dunque, il contribuente nel registro dell’anagrafe tributaria, v. decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605 e d.P.R. 2 novembre 1976, n. 784). Esso, pertanto, non afferisce ai rapporti tra le parti o tra il giudice e le parti ma alla relazione tra queste ultime e l’amministrazione finanziaria, cosicché la violazione di una norma che disciplina un rapporto estraneo al processo non può riverberare i suoi effetti sul procedimento.
In effetti, volendo fornire una interpreazione coerente e sistematica, deve ritenersi che l’art. 4 d.l. 193/09 (come convertito), introducendo l’obbligo di indicazione del codice fiscale in seno agli atti di cui agli artt. 125, 163, 167 abbia di fatto provocato una estensione dell’ambito applicativo dell’art. 6 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 605 (che indica gli “atti nei quali deve essere indicato il numero di codice fiscale”). Ed, allora, l’omessa indicazione del codice fiscale non è sanzionata con la nullità processuale, ma con le sanzioni speciali previste dalla legislazione vigente (es. art. 13 d.P.R. 605/73, come prima modificato dall’art. 1, D.P.R. 23 dicembre 1977, n. 955, poi dall’art. 20, L. 30 dicembre 1991, n. 413 ed infine come sostituito dall’art. 20, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 473).
Non può, peraltro, essere sottaciuto che, invero, secondo la giurisprudenza tributaria, le irregolarità meramente formali, che non comportano evasione di imposta, quale l’omessa indicazione del codice fiscale, non sono più sanzionabili ex art. 10, comma 3 legge 27 luglio 2000 n. 212 (Statuto del contribuente: v., ad es. Commiss. Trib. Centr., Sez. IX, 13 agosto 2001, n. 5983): sarebbe, allora, eccentrico sanzionare in seno al diritto processuale civile, con la nullità, una condotta che in seno al suo alveo naturale, quello tributario, non trova più – in linea di principio – alcuna sanzione.
Per i motivi sin qui esposti, in caso di omessa indicazione del codice fiscale, delle parti, di chi li rappresenta o assiste oppure dei difensori, il giudice non deve pronunciare la nullità dell’atto ma può, tutt’al più, sollecitare una condotta che vada a rimuovere l’irregolarità
P.q.m.
Visti gli artt. 175 c.p.c., 4 d.l. 193/2009 conv. il l. 24/2010
invita
i difensori che non lo abbiano ancora fatto ad indicare il codice fiscale richiesto dagli artt. 125, 163, 167 c.p.c., negli atti ivi indicati
Ordinanza letta in udienza.
Varese, lì 16 Aprile 2010
Il giudice
dott. Giuseppe Buffone
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