contributo dell’Avv.Giorgio Vanacore del Foro di Napoli
La proposizione di un’azione giurisdizionale, quando additi, in capo a chi agisce, un chiaro intento di «abuso del diritto di azione», è stata posta in connessione con la temerarietà e l’arbitrarietà della lite, fonte, com’è noto, di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c..
Sul punto, si legga la seguente unanime giurisprudenza:
Cass. 3 agosto 2001 n. 10731: «All’accoglimento della domanda da risarcimento dei danni da lite temeraria non osta l’omessa deduzione e dimostrazione dello specifico danno subito dalla parte vittoriosa, che non è costituito dalla lesione della propria posizione materiale, ma dagli oneri di ogni genere che questa abbia dovuto affrontare per essere stata costretta a contrastare l’ingiustificata iniziativa dell’avversario e dei disagi affrontati per effetto di tale iniziativa, danni la cui esistenza può essere desunta dalla normale esperienza»;
Cons. Stato, 25 febbraio 2003 n. 1026: «Il carattere temerario della lite, che costituisce l’indefettibile condizione perché possa configurarsi la responsabilità processuale aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., va ravvisato nelle ipotesi in cui una parte abbia agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave, dovendosi riconoscere siffatti stati psicologici quando la parte abbia agito o resistito nella coscienza dell’infondatezza della domanda o delle tesi difensive sostenute, ovvero nel difetto dell’ordinaria diligenza nell’acquisizione di detta consapevolezza» (conff., Cass. 21 luglio 2000 n. 9579; id., sez. lav., 16 febbraio 1998 n. 1619; Trib. Rimini 2 aprile 1998, Trib. Roma 9 ottobre 1996; in dottrina, Mandrioli, Diritto process. civile, I, Torino, 2003, 344).
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