Il diritto derivante dall”actio iudicati inerente alla demolizione di opere edilizie realizzate in contrasto con le norme sulle distanze, si prescrive nell’ordinario termine decennale indicato dall’art. 2946 cod. civ., sia nel caso di azione nascente da inadempimento di un’obbligazione propter rem, sia nel caso in cui l’azione derivi da un diritto di servitù reciproca tra i condomini, in entrambi i casi, si tratta di un diritto personale ad una prestazione di fare nei confronti dell’obbligato inadempiente. (Cassazione civile sez. II, 16/07/2024, n.19498) [omissis]
1. Il Tribunale di Bergamo rigettava le domande proposte dal Comune di Almenno S. Salvatore e dalla Fondazione Giovanni Rota Onlus, che avevano convenuto Do.Lu. chiedendo l’accertamento della esistenza della servitù di non edificare sul terreno di sua proprietà in Almenno San Salvatore, già contraddistinto con il mappale (Omissis), in favore dei fondi limitrofi di proprietà della Fondazione; la violazione della servitù da parte del convenuto, che aveva costruito sul terreno, dal 1968 in avanti, un edificio di cinque piani e la sua condanna alla rimessione in pristino del terreno mediante la demolizione integrale dell’edificio.
Il Tribunale ravvisava anche un conflitto di interessi tra la posizione della Fondazione e del Comune, che si erano costituiti con unico atto di citazione ed avevano conferito mandato ad un solo difensore, che si rifletteva nella invalidità delle procure rilasciate.
Il giudice di primo grado accoglieva la domanda riconvenzionale di prescrizione della servitù di non edificare perché erano decorsi oltre vent’anni dalla formazione del giudicato sulla domanda di accertamento del diritto reale e della sua violazione, ad opera del Do.Lu., affermata dalla sentenza n. 5435 del 1980 della Corte di cassazione, senza che la Fondazione avesse interrotto il decorso del termine con la proposizione di domanda giudiziale, necessaria secondo l’art. 1073 c.c.
2. Avverso questa sentenza interponevano appello il Comune di Almenno San Salvatore e la Fondazione Giovanni Carlo Rota.
3. Si costituiva Do.Lu. chiedendo il rigetto dell’appello.
4. La Corte d’Appello di Brescia accoglieva parzialmente l’appello, rigettava l’eccezione di prescrizione sollevata da Do.Lu. e dichiarava assorbita la domanda di usucapione del diritto a mantenere il fabbricato nella forma, collocazione e consistenza attuali.
La Corte d’Appello escludeva la legittimazione del Comune in quanto il titolo azionato nel giudizio era relativo alla servitù di non edificare, diritto reale che spettava al proprietario del fondo dominante, che, nel caso in esame, era soltanto la Fondazione. La carenza di titolarità, attiva o passiva, del rapporto controverso, peraltro, era rilevabile di ufficio dal giudice (Cass. Sezioni Unite 16/02/2016 n. 12951) e comportava la inammissibilità della domanda.
Al contempo doveva escludersi l’esistenza del conflitto di interessi tra la Fondazione ed il Comune che era soltanto potenziale avendo il medesimo interesse sostanziale di ottenere l’abbattimento dell’edificio costruito dal Do.Lu.
Date le chiare deduzioni degli appellanti, nessun conflitto concreto esisteva tra le due posizioni sostanziali e, considerato che per individuare la invalidità della procura conferita ad un solo difensore la sussistenza del conflitto doveva valutarsi in correlazione stretta con il rapporto esistente tra le parti e non in astratto, il mandato conferito dalla Fondazione all’avvocato Elena Benedetti doveva ritenersi valido nonostante ella avesse ricevuto anche la procura dal Comune.
La domanda proposta dalla Fondazione, tuttavia, era inammissibile sotto un diverso profillo.
Il Tribunale di Bergamo aveva accertato la esistenza di una servitù non aedificandi gravante sul terreno di proprietà del Do.Lu. in favore dei terreni appartenenti alla Fondazione e lo aveva condannato alla rimessione in pristino del terreno, mediante l’abbattimento dell’edificio ivi costruito abusivamente. Il disposto della sentenza era passato in giudicato con il rigetto del ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello. Quindi, da tale sentenza n. 5435 del 1980, pubblicata il 10 ottobre 1980, la Fondazione aveva maturato un titolo esecutivo opponibile al Do.Lu., idoneo a fondare un’esecuzione per obbligo di fare e ottenere così la demolizione coattiva dell’edificio costruito dal Do.Lu.
La Corte d’Appello riteneva che una volta ottenuto in sede di cognizione una condanna alla demolizione di una costruzione, senza precisazione delle modalità attuative, spettasse al giudice della esecuzione accertarle mediante la predisposizione di un progetto esecutivo, nell’esercizio dei poteri previsti dall’art. 612 c.p.c. (Cass. 28.11.2018 n. 30761).
L’azione con la quale la Fondazione intendeva ottenere il progetto esecutivo della demolizione era quindi inammissibile attesa la violazione del principio del “ne bis in idem” derivante dalla formazione del giudicato esterno. Invece, era fondato il secondo motivo di impugnazione con il quale si lamentava l’accoglimento dell’eccezione di prescrizione del Do.Lu. per non uso ventennale della servitù inaedificandi di cui era titolare la Fondazione.
La Fondazione, infatti, dopo aver ottenuto il titolo esecutivo nel 1980 aveva notificato nel 1983 un primo atto di precetto al Do.Lu., e ne aveva notificato un secondo nel 1993.
L’atto di precetto era idoneo ad interrompere la prescrizione ancorché con effetti solo istantanei. Sicché, da tale data al momento della notifica della citazione avvenuta il 25 febbraio 2011 non era ancora decorso il termine ventennale necessario per la prescrizione per non esercizio della servitù.
Di conseguenza doveva rigettarsi la domanda del Do.Lu. di usucapione del diritto di mantenere l’edificio sul terreno gravato da servitù di non edificare nelle condizioni in cui si trovava.
5. Do.Lu. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di sei motivi.
6. La Fondazione Giovanni Carlo Rota e il Comune di Almenno S. Salvatore hanno resistito con controricorso e hanno proposto ricorso incidentale.
7. Entrambe le parti, con memoria depositata in prossimità dell’udienza, hanno insistito nelle rispettive richieste.
8. Il Procuratore Generale ha concluso per l’accoglimento del ricorso, con particolare riferimento al quinto motivo di doglianza assorbimento del primo e del sesto e rigetto dei restanti e del ricorso incidentale.
2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 182 e 88 c.p.c., nonché dell’art. 24 cod. deont. for.
La censura ha ad oggetto la parte della sentenza della Corte d’Appello che ha ritenuto insussistente il conflitto di interesse tra il Comune e la Fondazione.
Secondo parte ricorrente, la conflittualità dei contrapposti interessi, nel caso di specie, sarebbe tutt’altro che meramente potenziale bensì attuale e concreta, tanto che il Giudice di primo grado aveva correttamente ravvisato l’esistenza di un litisconsorzio necessario ex art. 102 c.p.c., che avrebbe dovuto indurre la Fondazione a convenire in giudizio il Comune insieme al Do.Lu. e non seguire l’Amministrazione Comunale sul terreno dell’azione congiunta (tanto più che quest’ultima non era nemmeno titolare della servitù).
La Corte territoriale avrebbe dunque, errato nel ritenere che i predetti elementi di grave criticità dei rapporti tra gli attori potessero considerarsi “superati” dal fatto che il Comune aveva espresso l’adesione all’iniziativa demolitoria, al solo fine di evitare di affrontare, da solo, le notevoli spese connesse.
La Corte di Brescia non si sarebbe, dunque, avveduta che la conflittualità dei contrapposti interessi (e dei correlati obblighi) di cui sono portatori il Comune e la Fondazione era tutt’altro che astratta e/o virtuale, bensì (come detto) concreta e tangibile, non fosse altro per il fatto che l’Amministrazione comunale non poteva acconsentire ad una demolizione integrale del fabbricato, senza incorrere nella violazione del suo obbligo di garantire il mantenimento della parte di esso, legittima sotto il profilo urbanistico ed edilizio.
2.1 Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Nella specie non sussiste alcun conflitto di interessi tra la Fondazione e il Comune e, dunque, nessuna invalidità della procura alle liti che è congiunta anche in relazione al presente ricorso.
Come evidenziato dal P.G., infatti, la sentenza è conforme all’indirizzo giurisprudenziale unanime secondo cui: In tema di validità del mandato conferito da più parti al medesimo difensore, benché il conflitto d’interessi possa essere non solo attuale ma anche potenziale, tale potenzialità va intesa non come eventualità astratta, bensì in stretta correlazione con il concreto rapporto esistente tra le parti i cui interessi risultino suscettibili di contrapposizione, con la conseguenza che la tutela degli interessi di un assistito non possa attuarsi senza nocumento per gli interessi dell’altro (Cfr Cass. civ. n. 1530/18, n. 26769/23).
La Corte ha condivisibilmente escluso tale contrapposizione di interessi, poiché entrambe le parti attrici hanno proposto, sia pure a titolo diverso, identica domanda di demolizione dell’edificio, non potendosi ravvisare alcun reale conflitto nella circostanza che il Comune avesse titolo solo per la demolizione degli ultimi tre piani e la Fondazione per la demolizione dell’intero edificio, in quanto quest’ultima domanda ricomprendeva la prima, fatte salve le questioni esecutive conseguenti all’eventuale accoglimento della domanda del Comune.
3. Anche l’esame dei motivi di merito richiede un diverso ordine rispetto a quello seguito dal ricorrente perché i motivi quarto e quinto sono fondati e il loro accoglimento determina l’assorbimento del primo, terzo e sesto.
4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2934 e 2946 cod. civ.
Secondo la Corte d’Appello, il titolo giudiziale, portante la condanna del Do.Lu. alla demolizione del fabbricato, sarebbe tuttora vigente, nonostante, siano trascorsi più di trentanove anni dalla sua formazione a seguito del passaggio in giudicato nel 1980; e sebbene la stessa Fondazione, nell’avviare l’odierna iniziativa, avesse riconosciuto la perdita di efficacia del predetto titolo giudiziale per decorso del termine decennale di sua validità.
In tal modo – oltre alle violazioni enunciate nel precedente motivo – la Corte avrebbe apertamente violato e falsamente applicato sia l’art. 2934 cod. civ., secondo cui “ogni diritto si estingue per prescrizione quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge”), sia l’art. 2946 cod. civ., in forza del quale, salvo i diversi casi previsti dalla legge (qui non ricorrenti) “i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni”.
5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1073,1165 e 2943, ultimo comma, cod. civ.
Secondo la Corte d’Appello un atto di precetto è di per sé idoneo ad interrompere il termine di prescrizione di qualunque diritto, senza fare distinzione se quest’ultimo comporti la sussistenza d’una obbligazione di fare, connessa ad un “diritto reale”, come nella specie, piuttosto che ad un’obbligazione di dare.
A tal fine, la stessa Corte richiama un indirizzo giurisprudenziale in materia senza specificare né da quale fonte provenga, né se tale indirizzo riguardi l’una tipologia di obbligazione, o l’altra.
Un semplice atto di precetto (che non ha natura giudiziale) e/o una semplice intimazione non sarebbero atti idonei ad interrompere il termine di prescrizione di un diritto di natura negativa, come nella specie lo è, la servitus inaedificandi come evidenziato dal Tribunale di Bergamo in primo grado.
La Corte territoriale si sarebbe discostata dal consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, secondo cui, in presenza di diritti reali aventi ad oggetto il divieto di eseguire opere (servitus inaedificandi), l’effetto interruttivo non può ravvisarsi nella semplice intimazione e/o diffida ad adempiere.
La correttezza della diversa tesi enunciata dal Tribunale di Bergamo si ricaverebbe dalla semplice lettura del secondo comma dell’art. 1073 cod. civ. che, nell’indicare i presupposti necessari a validamente eccepire la prescrizione, specifica che “se si tratta di servitù negativa (come qui) … il termine (di prescrizione) decorre dal giorno in cui si è verificato un fatto che ne ha impedito l’esercizio”.
Nell’ipotesi di una servitù di inedificabilità, il fatto che impedisce l’esercizio di tale diritto a contenuto negativo (obbligo di non fare a carico del fondo servente) è proprio costituito dall’opera di cui la servitù intenda impedire la realizzazione ed è dal suo compimento che decorre il termine ventennale di prescrizione di quel diritto reale; cosicché tale termine può essere interrotto soltanto mediante la fisica eliminazione dell’opera costruita in violazione.
Sarebbe, dunque, evidente che una semplice intimazione del creditore al debitore ad eliminare l’opera, la cui esistenza fa perdurare nel tempo il termine di prescrizione sino alla sua completa eliminazione, non è affatto idonea ad interromperlo. E poiché, a norma dell’art. 1165 cod. civ. “le disposizioni generali sulla prescrizione, quelle relative alle cause di sospensione e di interruzione e al computo dei termini si osservano, in quanto applicabili rispetto all’usucapione”, sarebbe di palmare evidenza che, nel caso della servitù negativa, per impedire al titolare del fondo servente di usucapire il diritto contrario a quello contenuto nella servitù, l ‘unico modo ritorna ancora essere quello di eliminare l’opera costruita in violazione.
Di qui, l’erroneità della diversa conclusione raggiunta dalla Corte dal momento che, come, invece, ha correttamente osservato il Tribunale di Bergamo: a) gli atti di precetto notificati al Do.Lu. dalla Fondazione nel corso del 1982 e del 1993 non costituivano atti idonei ad interrompere la prescrizione del diritto connesso alla servitus inaedifìcandi; b) l’avviata azione ex art. 612 c.p.c. di cui alla ricostruzione in fatto della vicenda non è stata portata a compimento, per abbandono della parte interessata (la Fondazione), per cui nessun effetto interruttivo è ad essa attribuibile.
Nel caso di specie, dunque, in difetto di intervenuta demolizione dell’opera abusivamente costruita, l’unica valida iniziativa che la Fondazione avrebbe potuto attivare per non incorrere nella prescrizione del proprio diritto sarebbe stata quella di chiedere la rinnovazione del titolo giudiziale di condanna (frattanto scaduto) all’interno, però, dei limiti temporali di validità della servitù, vale a dire entro l’anno 2000; ciò che, invece, non è stato fatto dalla Fondazione, la quale, ritenendo erroneamente valido come atto interruttivo il precetto del 1993 (che avrebbe spostato tale termine al 2013) ha avviato siffatta azione al di fuori di tale finestra temporale, vale a dire nel 2011.
5.1 Il quarto e il quinto motivo di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente sono fondati.
5.2 Il P.G. ha concluso per la fondatezza del quinto motivo stante l’erroneità della statuizione della Corte d’Appello secondo cui il suddetto atto di precetto ha interrotto la prescrizione per non esercizio della servitù.
L’ufficio di Procura richiama il seguente indirizzo giurisprudenziale: In tema di estinzione per prescrizione delle servitù prediali, l’interruzione del termine ventennale stabilito dall’art. 1073 cod. civ., oltre che dal riconoscimento del proprietario del fondo servente, può essere determinata soltanto dalla proposizione della domanda giudiziale, essendo inidonea, a tal fine, la costituzione in mora o la diffida stragiudiziale, il cui effetto interruttivo è circoscritto ai diritti di obbligazione e non concerne i diritti reali (Cass. civ. n. 16861/13, n. 10916/23).
Pertanto, l’atto di precetto, che contiene solo un’intimazione ad adempiere e non è diretto né all’instaurazione di un giudizio né del processo esecutivo (Cass. civ. n. 7737/07, n. 10738/14), può interrompere la prescrizione delle obbligazioni, ma non dei diritti reali.
5.3 Il collegio condivide le conclusioni del P.G. e ritiene fondato anche il quarto motivo di ricorso.
Deve premettersi che il Do.Lu. ha certamente interesse ad impugnare la sentenza in quanto la pronuncia della Corte d’Appello non si è limitata a rigettare l’appello della Fondazione ma ha rigettato anche la sua eccezione di prescrizione e la sua domanda di usucapione del diritto a mantenere la costruzione non essendosi prescritto il diritto della controparte a far valere il titolo esecutivo già maturato.
La sentenza impugnata, infatti, ha ritenuto inammissibile la domanda di accertamento della servitù di non edificare perché già accertata tra le stesse parti con sentenza passata in giudicato e ha evidenziato che la Fondazione, dopo aver ottenuto il titolo nel 1980 ha notificato un primo atto di precetto al Do.Lu., notificato nel 1983, e ne ha notificato un secondo nel 1993.
La Corte d’Appello ha ritenuto erroneamente tale seconda notifica atto idoneo ad interrompere la prescrizione della servitù. Come evidenziato dall’ufficio di P.G., invece, la notifica dell’atto di precetto dell’ordine di demolizione non è idonea ad interrompere il decorso del termine di prescrizione per non uso del diritto di servitù inaedificandi.
Deve ribadirsi in proposito che: In tema di estinzione per prescrizione delle servitù prediali, l’interruzione del termine ventennale stabilito dall’art. 1073 cod. civ., oltre che dal riconoscimento del proprietario del fondo servente, può essere determinata soltanto dalla proposizione della domanda giudiziale, essendo inidonea, a tal fine, la costituzione in mora o la diffida stragiudiziale, il cui effetto interruttivo è circoscritto ai diritti di obbligazione e non concerne i diritti reali (Sez. 2, Sentenza n. 16861 del 05/07/2013, Rv. 627094-01).
Peraltro, nelle servitù negative nelle quali l’esercizio del diritto non si esplica mediante un comportamento positivo sul fondo servente, il non uso si identifica nella mancata osservanza dell’onere di riattivazione del diritto successivamente ad un evento che lo abbia violato e tale evento si produce per il solo verificarsi di un fatto che ne ha impedito l’esercizio (Sez. 2, Sentenza n. 10280 del 29/04/2010, Rv. 612756-01; Sez. 2, Sentenza n. 326 del 16/01/1998, Rv. 511600-01).
La peculiarità della vicenda in esame è data dal fatto che la prescrizione del diritto di servitù è maturata all’esito del giudizio concluso con il passaggio in giudicato della sentenza di questa Corte nel 1980. Infatti, come si legge in sentenza, il Tribunale di Bergamo aveva condannato il Do.Lu. alla rimessione in pristino del terreno, mediante l’abbattimento dell’edificio ivi costruito abusivamente. Il disposto della sentenza è passato in giudicato con il rigetto del ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di conferma di quella di primo grado, quindi, con la pubblicazione della sentenza n. 5435/80 avvenuta il 10 ottobre 1980.
Il diritto di servitù di non edificare, a partire da tale data e in assenza di atti interruttivi, si è prescritto essendo decorsi ulteriori 20 anni senza che la Fondazione abbia esercitato lo ius prohibendi mediante un atto giudiziale volto ad interrompere il non uso del suo diritto. Il precetto, infatti, non è atto idoneo in tal senso in quanto contiene solo un’intimazione ad adempiere e non è diretto né all’instaurazione di un giudizio né del processo esecutivo (Cfr Cass. civ. n. 7737/07, n. 10738/14), e, dunque, come correttamente evidenziato dal P.G., può interrompere la prescrizione delle obbligazioni ma non dei diritti reali.
Inoltre, la sentenza è erronea anche nella parte in cui ha ritenuto ancora possibile eseguire il titolo mediante domanda ex art. 612 c.p.c. per la determinazione delle modalità di attuazione dell’ordine di demolizione.
Infatti, oggetto del giudizio era la domanda della Fondazione di costituire un nuovo titolo esecutivo perché quello precedente fondato sulla sentenza passata in giudicato si era prescritto, mentre non si era prescritto il diritto di servitù.
La sentenza passata in giudicato, infatti, conteneva due statuizioni: una a carattere reale che sanciva l’esistenza della suddetta servitù e l’altra a carattere obbligatorio che ordinava al ricorrente la riduzione in pristino di quanto costruito. L’obbligo nascente da questa seconda statuizione che trovava la sua fonte nel titolo giudiziale, si era anch’esso prescritto essendo decorsi dieci anni dall’atto di precetto senza altri atti interruttivi. Sul punto è utile il richiamo al seguente principio di diritto: in materia di prescrizione degli obblighi di fare, inerenti alla demolizione di opere edilizie realizzate in contrasto con le norme sulle distanze, sancita da sentenza di condanna passata in giudicato, il diritto derivante dall’actio iudicati si prescrive nell’ordinario termine decennale indicato dall’art. 2946 cod. civ., tanto nel caso di azione nascente da inadempimento di un’obbligazione propter rem, quanto nel caso in cui l’azione derivi da un diritto di servitù reciproca tra i condomini, connotandosi comunque come diritto personale ad una prestazione di fare nei confronti dell’obbligato inadempiente (Sez. 3, Sentenza n. 17449 del 31/07/2006, Rv. 592329-01).
Dunque, anche l’obbligo di demolire nascente dalla sentenza del 1980 si è prescritto essendo decorsi, al momento della domanda del presente giudizio, più di dieci anni dalla notifica dell’atto di precetto avvenuta nel 1993.
L’accoglimento del quarto e quinto motivo di ricorso determina l’assorbimento del primo, terzo e sesto motivo che per esigenze di sintesi si riportano solo nella rubrica indicata in ricorso.
6. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132, n. 3 c.p.c.; omesso esame circa alcuni fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione.
7. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e/o falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., connessa alla carenza di legittimazione ad agire del Comune di Almenno San Salvatore; violazione dell’art. 132, n. 4), c.p.c., per omessa motivazione della ragione per cui la domanda delle attrici sarebbe inammissibile.
8. Il sesto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1158 cod. civ., in relazione alla subordinata domanda di usucapione formulata dal ricorrente.
9. L’unico motivo del ricorso incidentale è così rubricato: errata interpretazione dell’art. 2943 c.c. art. 474 c.p.c. ed errata valutazione delle domande degli appellanti.
La posizione della Fondazione era chiara sussisteva e sussiste l’esigenza di procedere esecutivamente; il diritto di servitù era incontestato e valido, ma dal precetto 1993 che aveva interrotto la prescrizione del diritto, il titolo esecutivo si era prescritto e non poteva essere azionato in sede esecutiva ex art. 612 c.p.c. così che la scelta del giudizio di merito promosso con la citazione 2011 introduttiva della presente controversia era apparsa come l’unico modo per ottenere non già un nuovo pronunciamento nel merito che dichiarasse il diritto di servitù, non contestato, ma che sul presupposto – di tale diritto reale, confermasse il diritto alla demolizione statuendone le modalità esecutive in contraddittorio con il Comune e con la controparte. Sarebbe errata la ricostruzione giuridica fornita dalla Corte che ha equivocato nel non valutare l’applicabilità dell’art. 2934 c.c. in relazione al portato disposto di cui all’art.474 c.p.c., e dell’art. 612 c.p.c.
9.1 Il motivo del ricorso incidentale è l’opposto, in modo speculare, di quelli accolti e, dunque, è infondato sulla base delle medesime argomentazioni spese per affermare la fondatezza del quarto e quinto motivo del ricorso principale.
10. La Corte accoglie il quarto e il quinto motivo del ricorso principale, rigetta il secondo, dichiara assorbiti il primo, terzo e sesto e rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Brescia in diversa composizione che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
11. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti incidentali di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater, del D.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti incidentali di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2 Sezione civile in data 16 maggio 2024.
Depositata in Cancelleria il 16 luglio 2024.